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NUMERO 211 - GENNAIO / FEBBRAIO 2013
IL COMMERCIALISTA VENETO
queste potenzialità (cosiddetta “economia bloc-
cata”). Non è dunque solo questione di ristrut-
turare il sistema (delocalizzazione), ma piutto-
sto di cambiare il modello di specializzazione
(flessibilità e innovazione).
10
Il “miracolo italiano” è terminato. Per essere
competitivi si tratta ora di comprendere la na-
tura irripetibile del passato e la necessità di
cambiamento.
In questo contesto, il sistema produttivo delle
PMI e la loro capacità di adattamento e possi-
bilità di rilocalizzazione possono costituire
un’opportunità eccezionale. La prospettiva del
prossimo allargamento (ad Est) può amplifica-
re le
performance
positive del “sistema Italia”
in quanto offre l’opportunità di:
a)
aumentare l’export;
b)
delocalizzare la produzione (con conse-
guenti minori costi di produzione).
Per quanto riguarda poi il modello di
specializzazione, qualche problema di
competitività potrebbe sorgere in settori tradi-
zionali (perché nei Paesi dell’Est i costi sono
minori), ma non in settori ad elevata
specializzazione in cui l’Italia ha un vantaggio
comparato.
Tuttavia, il vantaggio sul lato dei costi (di pro-
duzione) che la delocalizzazione porta con sé
accrescerà gli effetti negativi sul mercato del la-
voro. Le strategie di delocalizzazione, infatti, non
contribuiranno a ridurre la disoccupazione na-
zionale perché la forza lavoro sarà reclutata di-
rettamente in loco (Est) dove il costo del lavoro
è più basso.
Il problema della disoccupazione in Italia è però
legato anche (per non dire soprattutto) alla de-
cisione di partecipare all’Unione monetaria eu-
ropea. I
policy-maker
erano ben consci del fatto
che diminuire l’inflazione per garantire la stabi-
lità dei prezzi avrebbe condotto, nel breve perio-
do, ad un aumento della disoccupazione
11
. La
disoccupazione rappresenta dunque il prezzo da
pagare per essere credibili (in termini monetari)
all’interno dell’Unione economica e monetaria.
Tuttavia, l’adozione di politiche del lavoro vol-
te ad una maggiore flessibilità del mercato del
lavoro, sia in termini di mobilità che di salario,
contribuirà nel lungo termine ad invertire il
trend
negativo di breve periodo e a contenere
l’elevata frammentazione (lavoratori altamen-
te specializzati vs lavoratori non specializzati)
tipica del sistema italiano (problema che po-
trebbe essere ulteriormente accentuato dalla
delocalizzazione ad Est).
Per quanto riguarda infine l’integrazione mo-
netaria, l’Italia ha affrontato e sostenuto sforzi
notevoli per essere inclusa nell’Unione econo-
mica e monetaria con il primo gruppo, ovvero
fin dall’inizio dell’avvio del processo. Risultati
importanti sono stati raggiunti in questi ultimi
anni in termini di inflazione, deficit pubblico e
tassi di interesse. Ma il vero nodo era rappre-
sentato dai due criteri di finanza pubblica da
soddisfare: deficit e debito pubblico. E questo a
causa dei problemi strutturali del nostro Pae-
se. Questo ha evidenziato il bisogno di riforme
strutturali per il Paese, quali il sistema
pensionistico e gli interessi sul debito pubbli-
co. Quest’ultimo aspetto appare come una so-
luzione particolarmente significativa (oltre che
imprescindibile) in quanto permetterà di ridur-
re l’ammontare totale del debito (eliminando
così il “circolo vizioso”
12
) e conseguentemente
di poter beneficiare del tasso di interesse euro-
peo, che è inferiore.
Ad oggi
(leggi, allora 1999)
, il comportamento
economico italiano è parso essere cambiato a
sufficienza per poter rispettare le politiche fi-
scali e monetarie intraprese con l’UEM, orien-
tate alla stabilità. E l’Italia è stata infine am-
messa ad entrare nella moneta unica. In conse-
guenza di ciò, l’Italia può ora beneficiare di
bassi tassi di interesse e bassa inflazione e, dal
punto di vista prettamente politico, può godere
di quella credibilità che ancora mancava fino
a qualche mese fa.
In conclusione, l’Italia ha compreso che non può
mancare l’appuntamento dell’integrazione eu-
ropea. Gli sforzi fatti e da fare sono stati e sono
ancoramolti, specie nel breve periodo, ma il lungo
periodo mostrerà tutti i vantaggi di questa scel-
ta. Per l’Italia, questa è certamente la giusta pro-
spettiva da cui guardare al processo di integra-
zione europea. È indubbio che l’integrazione è
un processo costoso per tutti gli stati Membri, e
in particolare per alcuni di essi (tra cui l’Italia).
Ma i costi della non partecipazione sarebbero
di gran lunga superiori a quelli della partecipa-
zione. L’integrazione europea era ed è dunque
l’unica scelta da compiere…
Q
uindici anni fa erano
dunque ritenu-
ti indispensabili per l’Italia, affinché
potesse beneficiare appieno dell’in-
tegrazione europea: flessibilità, inno-
vazione, internazionalizzazione e ri-
forme strutturali (specie per il contenimento del
debito pubblico).
Oggi dobbiamo constatare che le misure allora
necessarie non sono state tempestivamente ed
efficacemente adottate. Da un lato, le caratteri-
stiche di staticità e scarsa propensione all’inno-
10
Van Dijk M.P.,
Flexible Specialisation, The New Competition and Industrial Districts
, Small Business Economics, 7(1), 1995, pp. 15-28.
11
Questo fenomeno è rappresentato dalla “curva di Phillips”. In macroeconomia, la curva di Phillips è una relazione inversa tra il tasso di inflazione e il tasso di disoccupazione:
un aumento della disoccupazione risulta correlato ad un relativo decremento del saggio dei prezzi.
12
La spesa per interessi aggrava il deficit pubblico facendo aumentare ulteriormente il debito. Questo può innescare un circolo vizioso in cui all’aumento vorticoso del debito
corrisponde un aumento della spesa per interessi, del deficit e quindi del debito pubblico stesso.
13
Occorsio Eugenio,
Una crisi sottovalutata, in gioco è l’Unione. Debito italiano sostenibile se il Pil crescerà
, la Repubblica, 25/03/2013.
14
Ibidem.
15
Eurozona: Padoan, creare strumenti per instabilità future
, Radiocor-Il Sole 24 Ore, 11/02/2010, http://archivio-radiocor.ilsole24ore.com/articolo-782650/eurozona-
padoan-creare-strumenti/#ixzz2QWYCbuaM.
16
Ocse: Cipro non preoccupa, ma adesso all’Italia serve la crescita
, Il Sole 24 Ore, 28/03/2013.
vazione e all’internazionalizzazione, specie delle
PMI, persistono e continuano a bloccare la cre-
scita del sistema produttivo nazionale. Dall’al-
tro, serie e difficili (e dolorose) riforme strutturali
per il contenimento e la riduzione del debito pub-
blico hanno preso avvio di recente, e richiedono
ora misure più drastiche di quanto sarebbe stato
necessario quindici anni fa.
A ciò si è aggiunta una gravissima crisi economi-
ca.
Nell’attuale contesto di crisi economica, la ten-
denza è però quella di accusare l’Europa di esse-
re eccessivamente rigorista e ostinatamente con-
centrata sul problema del debito pubblico. Tut-
tavia, la gestione di una ristrutturazione del debi-
to in un contesto europeo è un processo com-
plesso, in cui sono coinvolti Paesi, istituzioni,
banche e la distribuzione di costi e benefici non è
tema di facile soluzione. Infatti, il legame ancora
troppo stretto fra banche e sostenibilità del debi-
to pubblico è un aspetto che accomuna molti
Paesi dell’euro
.
13
Come ha recentemente dichiarato Pier Carlo
Padoan: “
In Italia il debito pubblico è alto, ma
sostenibile. Il problema è che potrebbe essere
ancora più sostenibile se si intraprendessero
decise politiche per la crescita”
.
14
Il problema cruciale è dunque la mancanza di cre-
scita e l’assenza di adeguate ed efficaci politiche
a sostegno della crescita, che si sommano ai pro-
blemi strutturali del nostro Paese già presenti al-
l’inizio del processo di integrazione economica e
monetaria europea, e quindi prima della crisi eco-
nomica in atto. Come sosteneva Padoan già nel
2010, la crisi sta solo
“evidenziando che l’euro è
una macchina incompiuta. Mancano pezzi che
non possono essere fatti durante la crisi, ma
appena superata sarà necessario mettere mano
a strumenti che permettano di gestire situazio-
ni di instabilità che potrebbero essere più fre-
quenti nei prossimi anni per debito crescente e
crescita calante”
.
15
L’Italia può risollevarsi da questa crisi con ade-
guate politiche interne per la crescita
16
, però
restando sempre nell’Europa comune e (sem-
pre più) integrata. L’Italia era ben consapevole
del percorso da intraprendere per la riuscita
del processo di integrazione economica e mo-
netaria, ed a questo si era impegnata. Oggi ri-
scontriamo che il percorso non è stato intra-
preso come dovuto. I mali attuali dell’Italia non
possono quindi essere imputati all’Europa o
all’Euro. L’auspicio, che appare più come una
stringente necessità, è dunque di non uscire
dall’Euro, ma premere piuttosto per una mag-
giore integrazione, in direzione anche di
un’unione bancaria.
Costi e benefici dell'integrazione
economica e monetaria europea
SEGUE DA PAGINA 19