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NUMERO 211 - GENNAIO / FEBBRAIO 2013
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EUROPA
SILVIA DECARLI
Ordine di Trento e Rovereto
IL COMMERCIALISTA VENETO
SEGUE A PAGINA 20
Costi e benefici dell'integrazione
economica e monetaria europea
I
n questo periodo si parla
molto dell’ipotesi
di fuoriuscita dell’Italia dall’euro. Ho rite-
nuto utile approfondire l’argomento per
capire se sussistano o meno – da un punto
di vista squisitamente economico – le condizioni
per sostenere questa ipotesi.
Mentre tentavo di fare chiarezza sul punto, mi
sono imbattuta casualmente in un
paper
prepa-
rato per il corso “Integrazione economica euro-
pea” tenuto dal prof. Pier Carlo Padoan
1
nell’am-
bito delMaster in Studi Europei del Collegio d’Eu-
ropa di Bruges (Belgio), frequentato nel 1998-
1999.
Lo riporto di seguito integralmente (opportuna-
mente tradotto dall’inglese), per poi trarre alcune
considerazioni sulla situazione italiana, il suo rap-
porto con l’Europa e l’opportunità odierna di
abbandonare l’Euro.
L
’Italia rappresenta – tra gli Stati
Membri dell’Unione europea (UE) – un
caso particolare nel processo di inte-
grazione. Sebbene si trovasse in una
situazione di svantaggio rispetto all’entrata nel
mercato comune europeo (MEC)
2
prima e nel-
l’Unione economica e monetaria (UEM)
3
poi,
l’Italia è riuscita a non mancare questi storici
appuntamenti. L’Italia ha infatti compreso che
i costi della non partecipazione sono maggiori
dei costi della partecipazione.
Analizzerò in primo luogo il MEC e il processo
di integrazione commerciale, concentrando l’at-
tenzione sulla posizione competitiva delle im-
prese italiane nell’UE. Discuterò quindi dei
costi e benefici dell’allargamento a Est del-
(ovvero, perché l'Italia non deve uscire dall'Euro)
l’Unione europea e delle possibili conseguenze
sull’occupazione. Infine, mi focalizzerò sull’in-
tegrazione monetaria.
Nel contesto del mercato comune europeo, il
sistema produttivo italiano è costituito preva-
lentemente da piccole e medie imprese.
4
Questo
sistema è caratterizzato da:
1.
produzione di beni tradizionali, a basso
valore aggiunto;
2.
economia statica, ovvero inesistente
adattamento ai cambiamenti e bassa (propen-
sione all’) innovazione.
Fino a tempi recenti, l’Italia si è sempre ripresa
da periodi di crisi economica attraverso lo stru-
mento del “tasso di cambio” (ovvero, svaluta-
zione). Ora che l’Unione economica e moneta-
ria è stabilita, l’uso di questo strumento non è
più ammesso, quindi non più possibile. Ciò no-
nostante, aver abbandonato il “tasso di cam-
bio” quale strumento di politica economica non
sembra rappresentare una perdita, né uno svan-
taggio, dato che, per contro, l’integrazione ha
condotto ad una maggiore specializzazione re-
gionale. E in un contesto di specializzazione
regionale, l’uso del “tasso di cambio” in caso
di
shock
asimmetrici non costituisce uno stru-
mento adeguato in quanto incide
indiscriminatamente sull’intero sistema paese e
non solo sulla regione interessata. In questa nuo-
va situazione, la competitività del nostro siste-
ma produttivo dipenderà dunque dalla capacità
delle nostre imprese di adattarsi ai cambiamenti
del mercato europeo ed internazionale.
P
er mantenere una posizione competitiva
5
in
un’Europa integrata, flessibilità e innovazio-
ne
6
costituiscono due elementi fondamentali. Al-
cune azioni in questa direzione sono già emer-
se, come ad esempio concentrazioni geografi-
che della produzione (i cosiddetti distretti pro-
duttivi)
7
. Ma altre azioni ed iniziative devono
ancora essere assunte. Penso ad esempio ad un
ulteriore allargamento del mercato, ad una
maggiore flessibilità dei fattori economici pro-
duttivi (lavoro e capitale), al reindirizzo della
produzione verso settori altamente specializza-
ti
8
e all’internazionalizzazione delle PMI
9
.
Il trend economico ha mostrato che l’Italia co-
stituisce un sistema dalle grandi potenzialità,
ma manca di una strategia per sfruttare appieno
1
Pier Carlo Padoan oggi è vice segretario generale e capo economista dell’OCSE; in passato è stato direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale per l’Italia, nonché
consulente della Banca Centrale Europea e della Commissione europea.
2
Il mercato comune europeo da realizzare entro fine 1992, ai sensi del Atto Unico Europeo del 1986. Per un approfondimento, si veda: Amstrong K.A., Bulmer S.J.,
The
governance of the Single European Market
, Manchester University Press, 1998; Wallace H., Young A.R.,
The Single Market: a New Approach to Policy
, in Wallace H., Wallace
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3
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5
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Nuovi scenari e nuove frontiere competitive per le imprese minori
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6
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7
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Quali prospettive per il modello
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Pier Carlo Padoan, OCSE