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NUMERO 211 - GENNAIO / FEBBRAIO 2013
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MICHELE SONDA
Ordine di Bassano del Grappa
IL COMMERCIALISTA VENETO
SEGUE A PAGINA 18
Elusione e abuso del diritto:
alcune riflessioni
sui profili sanzionatori
L’art. 37 bis come norma procedimentale
L’art. 37 bis del D.P.R. 600/73 è stato oggetto di
un combattuto contrasto dottrinale in relazione
alla sua natura: si tratta di una norma
procedimentale o sostanziale? La risposta non
rappresenta lo sterile soddisfacimento di un que-
sito accademico in quanto la natura della norma
in commento comporta effetti anche a fini
sanzionatori. La dottrina maggioritaria si è con-
vinta che il fatto che la disciplina in questione
ponga dei vincoli all’azione amministrativa dalla
quale non sono ricavabili effetti vincolanti per il
contribuente in relazione alla dichiarazione del
reddito, l’art. 37 bis sia una norma procedimentale
(e quindi non sostanziale). La dichiarazione dei
redditi infatti accoglie in sé, in relazione alle ope-
razioni potenzialmente elusive indicate al comma
terzo del citato art. 37 bis, una esternazione di
scienza che non collide con l’aspetto formale
dell’operazione conseguente all’effettuazione di
quegli atti potenzialmente elusivi, i quali, seppur
formalmente corretti, potrebbero, senza valide
ragioni economiche, aggirare obblighi o divieti
dell’ordinamento tributario.
L’abuso del diritto
Il concetto di “abuso del diritto”, invece, nasce
curiosamente come eccezione di illegittimità
rilevabile in qualunque momento del processo
dal giudice, anche senza una precisa istanza di
parte (e quindi d’ufficio). In definitiva, in ogni
stato e grado del processo (addirittura anche per
la prima volta presso il supremo giudice di legit-
timità) può essere eccepito il vizio di abuso del
diritto. D’altro canto l’uso che gli uffici ne hanno
fatto ha lasciato lo spazio a veri e propri abusi
“dell’abuso del diritto”, il quale viene utilizzato
quale “evergreen” motivazionale ogni volta in
cui l’Amministrazione si trova di fronte a
fattispecie asseritamente antieconomiche, ma
produttive di, anche limitati, effetti fiscali danno-
si per l’erario. Si tratta, quindi, di una fattispecie
di natura assolutamente residuale nel senso che
l’eccezione di abuso del diritto, e quindi di rifles-
so il divieto di abuso, rappresenta un elemento
ultimo, nel catalogo delle ipotesi “elusive” che
va a coprire tutti quegli spazi non adeguatamen-
te presidiati dall’art. 37 bis del D.P.R. 600/73. La
differenza tra i due istituti è fondamentale: il pri-
mo è norma precettiva, nel senso che le fattispecie
elusive sono specificamente indicate nella loro
forma ed estensione e l’elenco non può essere
dilatato in sede accertativa (elenco tassativo).
L’abuso del diritto invece non prevede categorie
predefinite, ma rappresenta una sorta di
fattispecie pervasiva e trasversale tra le imposte,
nonché elemento immanente nel nostro ordina-
mento tributario. In definitiva, il sistema tributa-
rio è permeato dal divieto di abuso del diritto.
Sotto il profilo genetico, il divieto di abuso del
diritto nasce con la sentenza della Corte di
Cassazione n. 22932 del 14/11/2005 (ben prima
quindi della nota sentenza Halifax della Corte di
Giustizia Europea, risalente al 2006), quando i
supremi giudici, trattando un caso di costituzio-
ne e cessione del diritto di usufrutto su azioni,
evocarono per la prima volta nel panorama
giurisprudenziale tributario italiano il concetto di
abuso del diritto. In particolare, essi precisarono
che: “
col negozio posto in essere la O. non con-
seguiva alcun vantaggio economico, in quanto
corrispondeva alla società straniera titolare un
valore economico pari, se non inferiore, a quel-
lo che avrebbe conseguito. Tale squilibrio tra
prestazioni era reso, sul piano economico, an-
cora più evidente quando la società titolare
conservava l’esercizio del diritto di voto, ma
restava sempre evidente anche nell’altra ipote-
si, nella quale il diritto di voto era
funzionalizzato alla percezione del dividendo
nella misura prevista. A ciò si aggiunga l’inse-
rimento di clausole destinate ad impedire che
l’usufruttuario percepisse dividendi d’importo
inferiore a quello anticipato, corrispondente a
quello da percepire. Infine sono di particolare
rilievo, al fine di escludere qualunque valida
ragione economica dell’operazione, i tempi in
cui la O. poteva esercitare il diritto di recesso e
quelli in cui tale diritto era stato in concreto
esercitato. Tale mancanza di ragione, che inve-
ste nella sua essenza lo scambio tra le presta-
zioni contrattuali, costituisce, prima ancora che
indizio di simulazione oggettiva o
interposizione fittizia, un difetto di causa, il
quale dà luogo a nullità del contratto (tipico)
di costituzione o traslazione di usufrutto per-
ché dallo stesso non consegue per
l’usufruttuario alcun vantaggio economico. Per
parafrasare un’autorevole dottrina, le parti non
possono trasferire beni soltanto per trasferirli e
cioè senza perseguire uno scopo economico, che
deve dare l’impronta giuridica alla volontà
contrattuale. Secondo la giurisprudenza della
Corte (si vedano, in particolare, le sentenze n.
12401/92 e 5917/99), l’accertamento dell’esi-
stenza dell’elemento causale, definito come sco-
po economico - sociale, deve essere effettuato
sul negozio o sui negozi collegati, nel loro com-
plesso, e non con riferimento alle singole pre-
stazioni. Pertanto, per verificare l’esistenza del-
la giustificazione socio - economica del nego-
zio occorre valutare le attribuzioni
patrimoniali nella loro reciproca connessione.
Nella specie, quindi, l’esistenza della causa del
contratto deve essere ricercata, non solo nel
fatto che una parte ottenga anticipatamente, e
a condizioni non di mercato, una somma pari a
futuri dividendi, ma nello scambio di tale attri-
buzione con un adeguato vantaggio ottenibile
dall’altra parte; in altre parole, nell’equiva-
lenza delle prestazioni o nella ragione
giustificativa di ciascuna prestazione…..Deve,
inoltre, rilevarsi che la stessa difesa della ri-
corrente non ha allegato l’esistenza di concre-
te ragioni economiche, limitandosi a sostenere,
sotto diversi profili, la liceità dell’operazione,
pur se volta all’esclusivo fine di conseguire un
risparmio d’imposta.”
Per la Corte di Cassazione,
pur non esistendo nell’ordinamento fiscale ita-
liano una clausola generale antielusiva, non può
negarsi l’emergenza di un principio secondo cui
non possono trarsi benefici da operazioni intra-
prese ed eseguite al solo scopo di procurarsi un
risparmio fiscale.
Rapporto tra elusione e abuso del diritto
Come già detto l’elusione e l’abuso del diritto
sono fattispecie che convivono nel panorama
dei comportamenti “patologici” affliggenti il si-
stema tributario italiano. La seconda però è di
portata più generale rispetto l’elusione fiscale,
poiché discendendo dall’art. 53 della Costituzio-
ne è un principio applicabile a tutte le imposte.
L’art. 37 bis del D.P.R. 600/73 invece è norma “per-
fetta”, prospettante una casistica tassativa delle
fattispecie, nonché garanzie procedimentali a tu-
tela del contribuente (contraddittorio, a pena di
nullità dell’accertamento, e divieto di riscossio-
ne in pendenza di giudizio). La dottrina ritiene
che, nel caso in cui venga evocato l’abuso del
diritto, se si tratta di una delle fattispecie tassati-
vamente indicate nell’art. 37 bis, l’ufficio non
possa evitare di applicare le cautele precedente-
mente individuate nella citata norma di legge. Si
consideri comunque che il catalogo è molto am-
pio e quindi è ragionevolmente difficile che
l’operazione contestata di abuso del diritto non
ne faccia parte, con conseguente beneficio in
termini di applicabilità delle previsione del comma
4 dell’art. 37 bis.
I profili sanzionatori
E’ importante domandarsi a questo punto, in re-
lazione all’art. 37 bis del D.P.R. 600/73, se la
punibilità amministrativa prima, e penale poi, pos-
sa essere connessa al mancato rispetto di una
norma meramente procedimentale (come appun-
to quella a presidio dell’elusione fiscale). La que-
stione può essere risolta facendo riferimento a
quanto disposto dall’art. 1, comma secondo, del
D.Lgs. 471/97 rubricato: “Violazioni relative alla
dichiarazione delle imposte dirette”. La norma
appena richiamata recita, al secondo comma,
quanto segue: “
Se nella dichiarazione è indi-
cato, ai fini delle singole imposte, un reddito
imponibile inferiore a quello accertato, o, co-
munque, un’imposta inferiore a quella dovuta
o un credito superiore a quello spettante, si
applica la sanzione amministrativa dal cento
al duecento per cento della maggior imposta o
della differenza del credito. La stessa sanzione
si applica se nella dichiarazione sono esposte
indebite detrazioni d’imposta ovvero indebite
deduzioni dall’imponibile, anche se esse sono
state attribuite in sede di ritenuta alla fonte”.
ABUSO DEL DIRITTO / 2