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NUMERO 211 - GENNAIO / FEBBRAIO 2013
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IL COMMERCIALISTA VENETO
laedere
, per avere l’ufficio finanziario colpevolmente ritardato l’annullamento in
autotutela dell’atto impositivo illegittimo. Ciò comporterebbe violazione di princi-
pio informatore del diritto, per difetto dell’ingiustizia del danno, in quanto l’annul-
lamento in autotutela della Pubblica Amministrazione non costituisce obbligo del-
l’Amministrazione: né è configurabile colpa dell’Amministrazione, non essendo
previsto dalla legge alcun termine per procedervi
”.
Si ritiene che la Cassazione abbia correttamente ritenuto questo motivo non fonda-
to, poiché sebbene non sia previsto dalla legge alcun preciso termine per procedere,
la
voluntas
legislativa che emerge è quella di garantire il corretto operato della
Pubblica Amministrazione nei confronti dei contribuenti che si concretizza nell’eli-
minazione per tempo di un atto o imposizione illegittima. A sostegno di ciò, si può
citare l’art. 21 novies, della L. n. 241/1990, introdotto con la L. n. 15/2005, il quale
sancisce che il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d’uf-
ficio “entro un termine ragionevole, tenendo conto degli interessi dei destinatari”.
Detta pronuncia appare particolarmente innovativa, poiché giunge a presumere
l’incondizionata risarcibilità dei danni conseguenti all’attivazione di un procedi-
mento di annullamento in autotutela, in quanto l’esistenza di un atto
contra legem
imporrebbe all’Amministrazione emittente l’obbligo di valutarne la fondatezza e la
legittimità e di procedere alla sua eliminazione ogni qualvolta esso risulti emesso in
violazione del principio del
neminem ledere
, sancito dall’art. 2043 del c.c.
I
n conclusione, la novità più importante contenuta nella sentenza n. 698/2010
non è tanto quella di aver inaugurato un nuovo indirizzo promuovendo l’omes-
so intervento in autotutela a indice sintomatico di colpevolezza, ma è quella di
aver confermato come il dovere di agire in autotutela sorga in conseguenza della sola
emanazione di un atto di imposizione che, una volta denunciato dal contribuente
come illegittimo tramite istanza, trasforma il pericolo di un danno patrimoniale
ingiusto da potenziale in attuale, imponendo all’ufficio di intervenire per verificare,
eventualmente eliminare, la fonte stessa del pericolo in ossequio a tutti quei princi-
pi che ex art. 97 della Costituzione governano l’azione dell’Amministrazione.
Ma la sentenza risulta importante anche sotto un altro aspetto, come rilevato dalla
circolare n. 20/IR. Dopo la sua pubblicazione, oltre all’obiettivo di evitare al contri-
buente un danno ingiusto, il rischio che l’Amministrazione Finanziaria, condannata
al risarcimento si rivalga ex art. 28 della Costituzione nei confronti del funzionario
– agente avviando un giudizio di responsabilità dinanzi la Corte dei Conti, potrà
costituire un ben più importante stimolo per gli uffici a superare tutti quei
condizionamenti psicologico – gerarchici che da sempre frenano l’attivazione
dell’autotutela in campo tributario.
Il contribuente può ricorrere avverso il diniego di autotutela o il mancato esercizio
della stessa da parte dell’Amministrazione Finanziaria su un atto ritenuto illegitti-
mo o infondato, ma il giudice tributario può soltanto valutare la condotta omissiva
dell’ente impositore, senza potersi pronunciare sul merito della pretesa erariale
avanzata. E’ questa la decisione assunta dalla Cassazione con la sentenza n. 26313/
2010 e nelle recenti sentenze della Cassazione, n. 6283 del 20 aprile 2012 e n.
19740 del 13 novembre 2012.
L
a questione è stata ampliamente dibattuta sia dalla giurisprudenza che dalla
dottrina, anche e soprattutto negli ultimi tempi, ma l’istituto continua anco-
ra ad essere al centro dell’attenzione, specie per l’interesse manifestato da
parte dei contribuenti, per i quali esso può rappresentare un ulteriore strumento di
difesa dei propri interessi. La Suprema Corte, poi, con la pronuncia n. 5120/2011,
ha nuovamente affrontato l’istituto dell’autotutela, per soffermarsi ad approfondi-
re la natura del danno cagionato al contribuente per effetto del suo mancato eserci-
zio e della contestuale prosecuzione delle attività di accertamento e riscossione.
L’analisi ivi condotta ha consentito ai giudici di ritenere che in tali fattispecie sia
perfettamente configurabile l’ipotesi di cui all’art. 2043 del c.c., dovendosi ravvisa-
re il danno ingiusto nelle spese indebitamente sopportate dal contribuente per
l’instaurazione della relativa controversia.
Infatti nella sentenza della Cassazione n. 6283/2012 i giudici di legittimità, hanno
sostenuto che le regole che governano l’azione amministrativa impongono il ricono-
scimento in tempi ragionevoli del diritto del contribuente, anche quando, come nel
caso di specie, non sia previsto uno specifico termine per l’adempimento. Sarà il
giudice di merito a stabilire, volta per volta e considerando la situazione concreta se
il tempo impiegato dalla Pubblica Amministrazione sia o meno rispettoso delle
regole di cui all’art. 97 della Costituzione. In ogni caso, ha ribadito la Suprema
Corte, l’onere probatorio grava sul contribuente, cui spetta dimostrare che il ritardo
nell’esercizio dell’autotutela gli ha cagionato un danno e che tale danno non si
sarebbe verificato ove il provvedimento della Pubblica Amministrazione fosse sta-
to tempestivo.
In seconda analisi, la Suprema Corte ha mosso un rilievo all’affermazione fatta dal
Tribunale circa il carattere facoltativo dello sgravio in sede di autotutela, dal mo-
mento che esso si pone in contrasto con il dovere della Pubblica Amministrazione
di conformarsi ai principi fissati dal citato art. 97 della Costituzione. E’ evidente,
hanno precisato gli Ermellini, che i predetti principi impongono alla Pubblica Am-
ministrazione, una volta informata dell’errore in cui è incorsa, di compiere le neces-
sarie verifiche e poi, accertato l’errore, di annullare il provvedimento riconosciuto
illegittimo o, comunque errato. Non vi è, dunque, spazio per la mera discrezionalità
poiché essa verrebbe necessariamente a sconfinare nell’arbitrio, in palese contrasto
con l’imparzialità, correttezza e buona amministrazione che sempre debbono in-
formare l’attività dei funzionari pubblici.
Ricollegandoci a questo tema esaminiamo quali sono, se vi sono, i rimedi
giurisprudenziali contro il diniego espresso o il silenzio mantenuto dall’Agenzia
delle Entrate sull’istanza di autotutela. Anche nei confronti del mancato esercizio
del potere di riesame – così come il suo cattivo uso – si pone l’esigenza di tutelare
il contribuente che abbia presentato istanza di annullamento d’ufficio di un atto
impositivo ritenuto illegittimo.
Tale istanza deve considerarsi vincolante per l’ufficio, sussistendo in capo ad esso
un dovere giuridico di procedere al riesame (e di fornire al contribuente una risposta
negativa). L’inadempimento di un obbligo giuridicamente rilevante (quale è l’obbli-
go di riesame) costituisce una condotta contraria alla legge, rispetto alla quale
occorre garantire una tutela – anche sul piano risarcitorio – in favore di colui che ne
abbia ricevuto un pregiudizio (e che vanti un interesse meritevole di protezione).
Sicché, a fronte dell’inerzia dell’Amministrazione Finanziaria – ovvero della sua
risposta tardiva – viene in essere una fattispecie di silenzio-inadempimento, istitu-
to attualmente disciplinato dall’art. 2, comma 8, L. n. 291/990.
Il silenzio-inadempimento si configura come un fatto giuridico (e non come un
provvedimento) e si pone quindi il problema della tutela giurisdizionale del contri-
buente nei riguardi di un contegno puramente omissivo, o comunque privo di valore
provvedimentale.
Inoltre, non si deve trascurare il fatto che il processo tributario si attiva mediante
l’impugnazione di provvedimenti, quali risultano dall’elenco dell’art. 19, D.Lgs. n.
546/1992. Il silenzio-inadempimento, invece, non è un provvedimento né può
essere ad esso equiparato; e neppure si rinviene nell’art. 19 l’indicazione di atti che
possano, ancorché impropriamente, riferirsi all’inerzia dell’Amministrazione Fi-
nanziaria sull’istanza di autotutela (come avviene ad esempio per il silenzio in
materia di rimborsi, menzionato dall’art. 19, comma 1, lett. G). Sembra possibile
far rientrare nell’alveo della giurisdizione tributaria anche le controversie sul man-
cato esercizio dell’autotutela, ove si ammette – ai sensi del comma 3 dell’art. 19 –
un’impugnazione differita del silenzio congiuntamente ad un atto successivo auto-
nomamente impugnabile.
Il giudice tributario, inoltre, è legittimato ad accertare la violazione da parte dell’uf-
ficio dell’obbligo di pronunciarsi sull’istanza di autotutela, e a condannare l’ufficio
stesso ad adottare un provvedimento.
La CTR della Puglia, nella sentenza n. 3/2012, ha ritenuto illegittimo il diniego di
autotutela da parte dell’Amministrazione Finanziaria, in quanto il prolungato si-
lenzio serbato sulla motivata istanza di autotutela avanzata dal contribuente con-
trasta con i fondamentali principi costituzionali e ordinamentali che presiedono al
corretto e leale rapporto fra l’Amministrazione e il cittadino-contribuente. L’affer-
mazione appare condivisibile considerato che l’autotutela tributaria non può essere
assimilata,
“tout court”
, all’analogo istituto sorto in ambito amministrativo, ma
alla stessa va riconosciuta una propria specialità, alla luce della natura del rapporto
tributario e della regolamentazione positiva dell’istituto. In tale ottica, la risposta
da parte dell’Amministrazione Finanziaria all’istanza di autotutela del contribuen-
te appare doverosa, in considerazione degli interessi in gioco e della rilevanza dei
principi che governano il rapporto tra Fisco e contribuente. Avverso il rifiuto
dell’Amministrazione, sia esso tacito che espresso, al contribuente, titolare di una
posizione giuridica soggettiva, dovrà essere riconosciuta la possibilità di ricorrere
innanzi agli organi della giustizia tributaria, nonché di promuovere un’azione di
risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., qualora l’Amministrazione Finanziaria non
abbia posto in essere l’autotutela invocata secondo le regole della diligenza e della
prudenza.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
La riconducibilità dell’autotutela tributaria alla funzione di amministrazione attiva
evidenzia lo scopo primario dell’istituto, costituito dalla tutela dell’interesse ad
una imposizione fiscale conforme alla legge.
D’altra parte non si può negare che, sotto certi profili, lo strumento dell’autotutela
svolga una funzione analoga a quella di altri istituti presenti nell’ordinamento tribu-
tario. Ci si riferisce, in particolare all’accertamento con adesione, accumunati dalla
finalità di prevenire, sul piano procedimentale o nella primissima fase del giudizio,
il maggior numero di controversie tra Fisco e contribuenti (si parla, infatti, di
strumenti deflattivi del contenzioso).
Si deve, comunque, osservare che l’accertamento con adesione si distingue
dall’autotutela in quanto, innanzitutto, la disciplina giuridica di quest’ultima diver-
ge in più punti da quella dell’accertamento con adesione, richiedendo la sussistenza
di un vizio di legittimità dell’atto tributario che consente all’Amministrazione di
intervenire rimuovendo la causa del potenziale (o attuale) conflitto con il contri-
buente. Ma, soprattutto, pare opportuno evidenziare le peculiarità dell’autotutela
anche sul piano funzionale, considerato che essa assolve ad una funzione deflattiva
nella sola ipotesi in cui sia favorevole al contribuente e si concreti quindi nell’annul-
lamento d’ufficio (o semmai nella convalida) del provvedimento impositivo.
SEGUE DA PAGINA 12
SEGUE A PAGINA 14
L'autotutela nel diritto tributario
e l'impugnabilità dei provvedimenti di diniego