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NUMERO 211 - GENNAIO / FEBBRAIO 2013
IL COMMERCIALISTA VENETO
dubbio di uno specifico rapporto tributario o di sanzioni inflitte da uffici tributari.
La stessa linea di pensiero si ritrova nella sentenza n. 231 della CTP di Salerno, 23
ottobre 2006.
Inoltre, ha rilevato che, a seguito della cosiddetta generalizzazione tributaria questa
debba necessariamente estendersi ad ogni controversia avente ad oggetto uno spe-
cifico rapporto tributario ovvero le sanzioni irrogate dagli Uffici Finanziari, di
talché anche l’enumerazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 D.Lgs.
546/1992 non può più considerarsi tassativa.
A seguito della riforma dell’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, anche la giurisprudenza
tributaria, fino ad allora ancorata saldamente alla tesi, sostenuta dalla Cassazione,
della non impugnabilità del diniego di autotutela in quanto espressione di un potere
esclusivamente della P.A. ed assolutamente discrezionale, ha iniziato ad esprimersi a
favore della giurisdizione delle Commissioni, valorizzando sostanzialmente gli stessi
argomenti utilizzati dai giudici amministrativi, in tal senso si sono espresse la CTP di
Lecce, 23 aprile 2002 n. 45 e per prima la CTP di Treviso, 21 febbraio 2000 n. 32.
Successivamente, con la sentenza n. 7388/2007, la Cassazione a Sezioni unite,
ferma la radicazione della giurisdizione tributaria “in base alla materia (in preceden-
ze su alcuni tributi, attualmente su qualunque tributo), indipendentemente dalla
specie dell’atto impugnato”, secondo quanto specificatamente statuito dal novellato
art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, ha tuttavia ineccepibilmente osservato che “la
problematica della riconducibilità dell’atto impugnato alle categorie indicate dall’art.
19 del D.Lgs. n.546/1992, non attiene alla giurisdizione, ma alla proponibilità della
domanda. Sarà, quindi, compito della Commissione tributaria verificare se l’atto in
contestazione possa ritenersi impugnabile nell’ambito delle categorie individuate
dall’art. 19.
U
n altro punto cardine della sentenza sopra citata, a parere di chi scrive,
riguarda il fatto che “la mancata inclusione degli atti in contestazione –
diniego di autotutela – nel catalogo contenuto in detto articolo comporte-
rebbe una lacuna di tutela giurisdizionale, in violazione dei principi contenuti negli
artt. 24 e 113 Cost.”. Si apre così la strada, secondo una lettura evolutiva e costituzio-
nalmente orientata, al riconoscimento in concreto della impugnabilità da parte del
contribuente degli atti di diniego di autotutela dell’Amministrazione Finanziaria.
A queste pronunce si sono poi attenute le Sezioni unite con le sentenze n. 2870/
2009, n. 3698/2009 (c.d. sentenza “Spelzini”) e n. 9669/2009.
Il giudice di legittimità, capovolgendo il precedente orientamento, ha affermato
nelle sentenze n. 2870/2009 e n. 3698/2009 che risulta inammissibile il ricorso
avverso il provvedimento di rigetto, espresso o tacito, dell’istanza di autotutela
promossa dal contribuente volta ad ottenere l’annullamento di un atto impositivo
divenuto definitivo (nella specie, per l’intervenuto giudicato formatosi sulla deci-
sione di reiezione del ricorso davanti alla CTP), in conseguenza sia della
discrezionalità nell’esercizio del potere di autotutela quanto dell’inammissibilità di
un nuovo sindacato giurisdizionale sull’atto di accertamento munito del carattere di
definitività. Le ragioni di questo orientamento sono essenzialmente fondate sul
principio del
ne bis in idem
, cioè dell’inammissibilità di una nuova controversia
sulla legittimità di un atto impositivo divenuto definitivo, e sul timore che il Giudi-
ce possa sostituirsi all’Amministrazione Finanziaria.
Successivamente nella sentenza n. 9669/2009, le Sezioni Unite della Cassazione
hanno ribadito quanto chiarito già nella sentenza n. 7388/2007, ossia che l’esercizio
del potere di autotutela non è, di per sé, uno strumento di tutela del contribuente e
che il giudizio delle Commissioni tributarie sul diniego di autotutela deve concerne-
re la legittimità del rifiuto medesimo e non può essere basato “sulla fondatezza
della pretesa tributaria”. Questa statuizione deriva dalla funzione della tutela attua-
ta e dalla necessità di conservare la definitività degli atti di accertamento.
Tuttavia, la definitività dell’atto ritenuto illegittimo dal contribuente non costitui-
sce un vincolo assoluto all’esercizio del potere di autotutela e questo è confermato
oltre che dall’art. 2 quater, comma primo, del D.L. n. 564/1994 e dall’art. 2, comma
primo, D.M. n. 37/1997, che prevedono l’annullabilità, dell’atto o dell’imposizio-
ne, anche in caso di non impugnabilità, dalla circolare n. 195/E del 1997, con la quale
l’Amministrazione Finanziaria ha sostenuto che l’esercizio del potere di autotutela
non incontra altri limiti al di fuori di quello della sentenza passata in giudicato.
Infatti, in dottrina si ritiene che nel caso in cui l’atto illegittimo sia divenuto defini-
tivo per decorrenza dei termini di impugnazione, l’ufficio dovrebbe comunque
valutare se questo atto non sia stato impugnato per caso fortuito o errore scusabile
da parte del contribuente, poiché l’Amministrazione Finanziaria ha il dovere di
agire con imparzialità ed oggettività, rinunciando ad una posizione di vantaggio
quando questa sia oggettivamente ingiusta, sebbene il contribuente non abbia impu-
gnato l’atto. Nel caso in cui l’atto sia divenuto definitivo per effetto della sentenza
passata in giudicato e cioè, come sancito dall’art. 324 del c.p.c., quando la sentenza
non sia più contestabile, qualora il giudicato abbia interessato questioni di natura
formale, dato che il giudice non si è pronunciato sul merito del rapporto tributario
perché la decisione è un mero giudicato “in rito”, il giudicato definitivo non ostacola
né l’Amministrazione Finanziaria, la quale conserva il proprio potere di riesame, né
il giudice tributario il quale può decidere in ordine al rapporto oggetto della contro-
versia. Nel caso in cui, invece, la
res iudicata
sia entrata nel merito del rapporto
tributario, la potestà dell’Amministrazione trova un limite invalicabile essendo
quindi anche precluso al giudice tributario di pronunciarsi nel merito, potendo
solamente limitarsi a valutare la legittimità del diniego di autotutela.
Tuttavia, questa limitazione non si applica qualora vi sia l’acquisizione di nuovi
elementi. Questo significa che è possibile riesaminare la sentenza quando nel-
l’istanza di autotutela vengono addotti elementi in fatto e/o diritto diversi da quelli
esposti nel ricorso avverso l’atto originario. In questo caso, a causa della
sopravvenienza di fatti non conosciuti
ab origine
dal contribuente, i quali potreb-
bero essere idonei a comportare il venir meno della pretesa, il diniego di autotutela
potrebbe essere ritenuto un provvedimento illegittimo.
La possibilità di rimuovere un atto illegittimo sebbene inoppugnabile, attraverso
l’esercizio dell’autotutela, permette di assicurare la corretta esazione del tributo
oltre che la correttezza dell’azione del Fisco.
Si ritiene condivisibile che l’Amministrazione Finanziaria eviti di penalizzare il
contribuente che abbia sostanzialmente ragione per l’aver omesso di impugnare
l’atto. La dottrina, a seguito delle succitate sentenze, ha aderito alle situazioni della
Cassazione chiarendo alcuni punti “non sufficientemente approfonditi” in queste
sentenze. In particolare, il primo punto meritevole di chiarimenti concerne l’inqua-
dramento del diniego di autotutela, espresso o tacito, nel novero degli atti impugnabili
ex art. 19 del D.Lgs n. 546/1992.
Superata la tassatività dell’elenco che il legislatore ha stilato nell’art. 19 del D.Lsg.
n. 546/1992, non essendo volto a creare un numero chiuso di atti impugnabili
autonomamente, ma semplicemente ad affermare il connotato specifico del proces-
so tributario, ovvero il principio della predeterminazione normativa degli atti
impugnabili, appare corretto riconoscere l’autonoma impugnabilità al diniego di
autotutela, riconducendolo nel novero degli atti previsti alla lettera i) del primo
comma dell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992.
Infatti, segni di una
voluntas
legislativa volta all’impugnabilità dei provvedimenti
con cui viene chiuso il procedimento di autotutela, si rinvengono nella disciplina
dell’autotutela tributaria compresa nell’art. 2 quater del D.L. n. 564/1994 e nel
D.M. n. 37/1997.
È necessario, oltre a quanto appena esposto, considerare che, come sostenuto dalla
Cassazione nella sentenza già citata, n. 7388/2007, il mancato inserimento del
diniego di autotutela nel novero degli atti impugnabili ex art. 19 del D.Lgs. n. 546/
92, implicherebbe un
gap
di tutela giurisdizionale, violando i precetti costituzionali
degli artt. 24 e 113.
A
ltro punto sul quale la dottrina si è soffermata, attiene alla natura discrezio-
nale dell’autotutela tributaria. In particolare, questo profilo di discrezionalità
dell’autotutela tributaria, “è rilevante, ma non assorbente”.
Nel diritto tributario, il legislatore non ha posto limiti ai motivi deducibili nei ricorsi
in cui si impugnano gli atti autonomamente impugnabili, pertanto, qualsiasi vizio
potrà essere liberamente dedotto anche nel ricorso avverso i dinieghi di autotutela,
siano questi ultimi espressi o taciti. Va specificato che i vizi potenzialmente deducibili
devono comunque attenere all’operato dell’Amministrazione Finanziaria che ha
portato al diniego di autotutela.
Non possono infatti essere dedotti in sede di ricorso “motivi che si riportino al
diretto sindacato degli atti impositivi a fronte dei quali è stato attivato il procedi-
mento di autotutela, in quanto tale sindacato risulta comunque inammissibile, non
potendo l’impugnativa del diniego di autotutela ridursi ad una diretta impugnativa
del provvedimento impositivo sottostante. Salvo questo limite, ogni vizio potrà
essere dedotto”.
Ultimo punto posto in evidenza dalla dottrina concerne la portata della pronuncia
del giudice tributario sul ricorso avverso il diniego di autotutela, ovvero quali siano
gli effetti che seguono alla pronuncia delle Commissioni sul diniego impugnato.
Precisamente, se il giudice tributario non accoglie il ricorso, il diniego di autotutela
non viene annullato e se questa pronuncia non viene a sua volta impugnata “potrà
assurgere alla stabilità del giudicato”.
Qualora, invece, il giudice tributario accolga il ricorso, il diniego di autotutela viene
annullato e se la sentenza passa in giudicato, l’Amministrazione Finanziaria dovrà
procedere ad un riesame dell’istanza di autotutela, tenendo conto ovviamente della
pronuncia del giudice tributario di annullamento del diniego. In caso di inerzia da
parte dell’Amministrazione Finanziaria è possibile esperire legittimamente l’azio-
ne di risarcimento dei danni, poiché si configurerebbe come illecito.
Con una recentissima pronuncia la n. 698/2010, la Suprema Corte di Cassazione ha
trattato un tema molto caro ai contribuenti che, per affrontare il contenzioso tribu-
tario con il Fisco, abbiano sostenuto delle spese legali, per le quali il giudice non ne
abbia poi disposto la refusione da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
Detta sentenza ha destato un vivo interesse, attesa la particolarità del tema trattato.
I giudici di legittimità sono tornati nella materia per affermare che il contribuente
debba essere risarcito dei danni subiti a seguito di mancata o tardiva autotutela da
parte dell’Amministrazione Finanziaria relativamente ad un avviso di accertamen-
to illegittimo.
Nei motivi di ricorso, la difesa erariale denunciava la violazione dell’art. 2043 del
c.c., in quanto la decisione impugnata “
..ha ritenuto violato il divieto del
neminem
L'autotutela nel diritto tributario
e l'impugnabilità dei provvedimenti di diniego
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