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NUMERO 209 - SETTEMBRE / OTTOBRE 2012
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Modeste proposte per provocare
ATTUALITÀ
FLAVIO PILLA
Ordine di Treviso
IL COMMERCIALISTA VENETO
SEGUE A PAGINA 6
La questione
La spesa pubblica e la lotta all’evasione fiscale sono argomenti che occupano una
parte preponderante dei giornali (stampati e radiotelevisivi) e dei dibattiti in ogni
forma ammanniti ai cittadini, quindi non ripeterò qui né elogi né critiche alle inizia-
tive, che ritengo spettacolari e terroristiche più che efficaci, quali i controlli sul-
l’emissione degli scontrini fiscali da parte degli esercizi pubblici nelle località turi-
stiche o la ricerca dei proprietari degli yachts incautamente rimasti nei porti italiani.
Intervengo perché non riesco a sopportare il clima di caccia alle streghe in cui
attualmente è condotta la lotta all’evasione fiscale, frutto di una manipolazione che
colloca tutti i problemi dal solo lato dell’entrata, come se da quello della spesa fosse
tutto così perfetto che non vale neanche la pena di parlarne.
Lo spazio dedicato alla lotta all’evasione è senz’altro maggiore di quello riservato
alla
spending review
e, soprattutto, quest’ultima è stata condotta in base a principi
di razionalizzazione della spesa senza neanche
sfiorare il vero problema: spetta a ciascuno deci-
dere come usare (consumare, risparmiare, sciala-
re) quello che produce e, perciò, la quota parte di
prodotto che viene spesa per i bisogni cosiddetti
pubblici deve essere decisa dai cittadini in rela-
zione alle spese che essi desiderano.
Attualmente, invece, vi è un rincorrersi continuo
tra l’aumento delle imposte necessario per co-
prire globalmente un insieme, anch’esso sempre
crescente, di spese decise senza, in quella sede,
preoccuparsi della copertura.
Quando, circa mezzo secolo fa, ero liceale, la
classe dirigente di provincia che frequentavo ave-
va non paura, ma terrore, dei “rossi”, ossia dei
comunisti che, se fossero andati al potere, le
avrebbero sottratto la proprietà dei mezzi di pro-
duzione (la conoscenza del marxismo raramente andava più in là), cioè terra e
fabbriche che rappresentavano la libertà di produrre.
L’esproprio di terra e fabbriche non si è verificato, si è invece, senza il concorso dei
“rossi” e, quel che è peggio, in almeno formale legalità, verificato l’esproprio di una
parte preponderante del prodotto, in quanto già da tempo oltre la metà del PIL
viene spesa non secondo le intenzioni di chi lo ha prodotto, ma secondo la volontà
di governanti e burocrati
1
.
Ho intenzione di offrire ai miei lettori alcuni spunti di riflessione sull’origine della
limitazione di libertà che i cittadini contribuenti, italiani ma non solo, hanno inconsa-
pevolmente subito e anche qualche altro spunto per rimediare alla situazione, cioè per
collegare la colonna delle entrate di ogni bilancio pubblico con quella delle uscite.
Indignazione è la sola parola con cui riesco a definire il mio stato d’animo quando,
tramite la stampa o la televisione, vengo a contatto con tutto ciò che invita a pagare
le tasse e versa disprezzo e ludibrio sugli evasori che vengono trattati come appestati
e non sento neanche una sola parola sul controllo della spesa da parte del popolo.
Ho già fatto notare che la recente
spending review
si è risolta in una serie di consigli
su come spuntare prezzi più favorevoli negli acquisti, e non poteva essere diversa-
mente a causa del mandato tecnico che il commissario straordinario Enrico Bondi
aveva ricevuto. Io invece sento l’esigenza di una rivoluzione politica dell’atteggia-
mento verso la spesa pubblica, perché non ne posso più di sentir vituperare gli
evasori senza che analogo atteggiamento venga riversato su chi, decidendo spese
senza preventiva meditazione, porta la fetta di ricchezza annualmente prodotta che
viene sottratta alla libera disponibilità del cittadino a livelli espropriativi, tanto che
l’evasione è solo una forma di difesa.
Il Fraser Institute
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, elaborando annualmente una gran mole di dati, misura la libertà
ovvero:
Apologia dell'evasione fiscale
«Nasce, da qui [la confusione tra la sovranità popolare della democrazia rappresentativa e il costituzionalismo liberale], anche il problema dell’«obbligazione
politica»: c’è un dovere morale di ubbidire alla legge solo perché è la legge? E - sotto il profilo della legittimità politica - un governo è (sempre) giustificato nel
chiederci di ubbidire alla legge? (A
BNER
S. G
REENE
,
Against Obligation
, Harvard University Press, 2012). Forse - nel Paese con il maggior numero di leggi, e la più
alta tassazione, prima di lamentare lo scarso senso civico dei cittadini, compreso quello fiscale - ci si dovrebbe porre il problema.»
P
IERO
O
STELLINO
,
La dottrina delle libertà tra troppe leggi e molto fisco
in
Corriere della Sera
lunedì 1° ottobre 2012
economica di cui godono i cittadini di quasi tutti gli Stati del mondo (sono esclusi
solo i microstati quali San Marino e Andorra); ne risulta una classifica che permette
di mettere in ordine i Paesi osservati a partire da quello in cui la libertà economica
è più ampia a quello in cui è minore che in ogni altro.
Sarà interessante vedere la posizione dell’Italia in particolare in relazione alle di-
mensioni del settore pubblico, le quali sono il primo dei cinque aspetti valutati dal
Fraser Institute perché tanto maggiori esse sono, tanto più piccola è la libertà
lasciata ai singoli individui di decidere che cosa fare del frutto delle loro fatiche.
I discorsi sull’obbligo di pagare, continuamente fatti senza neanche un accenno
all’uso che di quel denaro viene fatto, mi fanno sentire come un devoto cittadino (o,
piuttosto, suddito) di uno Stato che ha riunito i suoi uomini e le sue donne in un
unico fascio lasciando loro solo le facoltà di credere (che la spesa pubblica sia giusta
in sè, senza verifiche), obbedire a norme inique e pagare le tasse.
Lo slogan televisivo dell’Agenzia delle Entrate
che, con didattica pazienza degna di una classe
di allievi ritardati, spiega che “se tutti pagano le
tasse, le tasse ripagano tutti con più servizi”
non tiene conto che lo Stato (o, meglio, gover-
nanti e burocrati) prima di erogare i servizi do-
vrebbe chiedere ai cittadini se quei servizi li de-
siderano e se, per usufruirne, sono disposti a
pagare, sotto forma di imposte, i prezzi che lo
Stato pretende per erogarli.
Sono profondamente convinto che se tali con-
sultazioni avvenissero, il risultato sarebbe mol-
to deludente per
les hommes de l’État
.
La libertà economica e l’assemblea costi-
tuente italiana
I deputati che il 2 giugno 1946 furono chiamati
a comporre l’assemblea costituente evitarono di proclamare che ogni uomo e donna
italiani sono liberi perché esistono e distribuirono le libertà in diversi articoli,
sempre preoccupandosi di collegarle coi doveri. Così nell’art 2 si garantiscono,
peraltro senza definirli, «i diritti inviolabili dell’uomo» in cambio dell’«adempimento
dei doveri inderogabili [anch’essi non chiariti] di solidarietà politica, economica e
sociale». Negli articoli successivi si trovano espressioni che ancora meglio fanno
capire che la libertà può dagli italiani essere goduta non in quanto singoli individui
che ne hanno diritto semplicemente perché esistono, ma solo quali membri di un
organismo. Così nell’art 3 secondo comma il compito della Repubblica di rimuove-
re gli ostacoli che limitano di fatto «la libertà e l’eguaglianza dei cittadini» ha lo
scopo di realizzare «l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazio-
ne politica, economica e sociale del Paese», nell’art 4 si sancisce il dovere di ogni
cittadino di concorrere «al progresso materiale o spirituale della società».
Esaurita l’enunciazione dei “principi fondamentali” appena richiamata, i deputati
passarono a proclamare i “diritti e doveri dei cittadini” nei quali si trova l’inviolabilità
di una serie di specifici diritti (libertà personale, inviolabilità del domicilio, libertà e
segretezza della corrispondenza, libertà di circolare nel territorio nazionale, di uscirne
e rientrarvi, di riunirsi, di associarsi, di professare la propria fede religiosa, manife-
stare il proprio pensiero), libertà ed inviolabilità comunque sempre derogabili nei
modi in ciascun articolo contemplati.
Non è quindi per nulla strano che anche a proposito di economia i deputati non
1
Traduco così l’espressione “les hommes de l’État” di Pascal Salin, economista francese di cui parlerò più avanti.
2
Think Tank canadese di impronta liberale.
La foto: un fermo immagine di un discutibile spot del Ministero...