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NUMERO 209 - SETTEMBRE / OTTOBRE 2012
IL COMMERCIALISTA VENETO
nella struttura, il grado di alfabetizzazione informatica, la motivazione, il
clima esistente e l’organigramma adottato;
e)
individuare gli strumenti di gestione del rischio di studio:
sarà
utile verificare se è stato redatto un accordo fra i professionisti dello studio
che, oltre a prevedere il divieto di concorrenza, contempli le regole di fun-
zionamento per l’ingresso di un nuovo professionista (es: livello di fattura-
to minimo da apportare) e/o la fuoriuscita di un professionista
senior
(es:
obbligo di presenza in studio per un numero prestabilito di anni).
Sotto l’aspetto quantitativo, si passerà a:
a)
identificare il
«perimetro valutativo»
: si tratterà di effettuare un con-
solidamento fra i dati contabili dello studio e dei singoli professionisti. Con-
solidamento che, chiaramente, dovrà prevedere anche le rettifiche di conso-
lidamento necessarie per pervenire ad una reale situazione complessiva dello
studio: dalla rettifica di fatturazioni fra i singoli professionisti e/o fra profes-
sionista e studio alla revisione del criterio di imputazione dei ricavi (necessa-
rio allorché lo studio sia esercitato nella forma societaria), dalla quantificazione
di un compenso medio - normale per l’opera prestata da ciascun professioni-
sta all’interno dello studio alla normalizzazione del carico fiscale indipenden-
temente dalla posizione soggettiva del singolo percipiente;
b)
analizzare il fatturato
dello studio, scomponendolo per tipologia
di servizio offerto e verificando il
trend
seguito nel corso degli ultimi anni,
specie in termini di insoluti nei pagamenti. Occorrerà verificare il grado di
concentrazione del fatturato rispetto alla clientela. Sarà utile poi scindere il
fatturato sulla base dell’appartenenza di ciascun cliente all’uno o all’altro
professionista: questo processo individuerà i professionisti da cui lo stu-
dio è più dipendente così poi da comprendere il rischio di perdita del
fatturato relativo. Non da ultimo, sarà opportuna un’analisi volta a verifica-
re la presenza di cause legali con la clientela e il grado di utilizzo della
copertura assicurativa negli anni per errori commessi;
c)
stimare il potenziale fattore g di crescita:
dopo aver analizzato
qualitativamente e quantitativamente il fatturato annuale e il trend storico,
occorrerà comprendere come lo studio oggetto di valutazione si approccia
al mercato. L’indagine servirà per la determinazione del fattore
g
di crescita.
Sarà così possibile dare risposta a vari interrogativi, fra i quali:
-
lo studio cresce esclusivamente basandosi sul “passaparola” e sulla
rete di conoscenze ?
-
lo studio segue una strategia ben definita per l’acquisizione pro-
grammata di clientela?
-
lo studio ha scelto una esclusiva politica di consolidamento della
clientela esistente trascurando per scelta le nuove acquisizioni?
Al termine dell’analisi suddetta, si passerà ad
individuare la motivazione
alla base della quale è stata commissionata la perizia. Solitamente le motiva-
zioni alla base della necessità di una stima del valore di uno studio profes-
sionale sono riconducibili alle seguenti casistiche:
-
stima per cessione o conferimento
dell’intero studio (o di parte di
esso). Ai fini del passaggio generazionale, ma anche per aggregazioni con
altri studi, liquidazione della quota di un partner, etc);
-
stima volta a supportare un’
analisi periodica delle performance
.
3.
Le «trappole» nella valutazione dello studio
Nella stima di uno studio professionale occorrerà, ad avviso del sottoscrit-
to, fare molta attenzione a non cadere in due «trappole» abbastanza ricor-
renti che qui si definiscono come la trappola del «fatturato soggettivo» e la
trappola «dello specchio». La
trappola del «fatturato soggettivo»
è tipica
degli studi basati sulla figura di uno o pochi professionisti e di ridotte
dimensioni. In queste tipologie di studi professionali il fatturato e la
redditività derivano dall’abilità del professionista di attrarre e mantenere
clientela grazie al rapporto fiduciario instaurato negli anni. Pensare che la
clientela possa trasmettersi anche dopo l’abbandono dei professionisti
fondatori è molto rischioso e può portare ad errori anche gravi in sede di
stima. La struttura è infatti modellata intorno ai professionisti che sbrogliano
le situazioni più difficili, offrono continue conferme al proprio personale
che è quindi dotato di un’autonomia veramente parziale.
La
trappola «dello specchio»
è invece tipica dei grandi studi organizzati.
L’errore sta nell’attribuire un eccessivo peso alla componente patrimoniale
tangibile dello studio. Si pensi all’adozione della metodologia patrimoniale
semplice piuttosto che a quella mista basata sulla media aritmetica sempli-
ce fra risultato patrimoniale e risultato reddituale.
Pur riconoscendo agli studi più strutturati l’importanza della componente
patrimoniale ai fini di una quantificazione finale, occorrerà proiettare que-
sta componente sul futuro. Ossia occorrerà chiedersi, per esempio, in qua-
le misura la localizzazione della sede dell’ufficio in uno stabile di pregio, in
una zona strategica inciderà nella formazione di una immagine di prestigio
sulla clientela o comunque accrescerà la capacità di attrazione di clientela
di una certa importanza. In altre parole, occorrerà chiedersi in che misura e
secondo quale tempistica l’attuale patrimonio tangibile dello studio, sarà
in grado di generare flussi, reddituali o di cassa, negli esercizi futuri. Senza
per questo trascurare l’altro insostituibile
driver
di ogni studio professio-
nale: il capitale intangibile e la rete relazionale.
Che senso avrebbe, infatti, quantificare il valore dello studio calcolando il
valore corrente attribuibile allo stabile e agli arredi?
Esiste infine un’altra trappola, tipica anche delle imprese familiari: la
«trappola
della commistione»
. Si tratta dell’errore in cui ci si potrebbe imbattere nel
momento in cui si assumesse che tutto il patrimonio tangibile presente nei
registri contabili fosse effettivamente a servizio dell’attività professionale. Il
perito dovrà fare attenzione a questo in quanto, come per le piccole imprese
familiari, anche negli studi c’è un forte rischio di commistione patrimoniale fra
beni dello studio e beni privati dei professionisti che comprometterebbe ineso-
rabilmente la stima senza la previsione di opere di disinquinamento fiscale.
4.
La scelta del modello valutativo
nella stima dello studio professionale
Sgombriamo innanzitutto il campo da false credenze: il professionista può
aver fatto crescere lo studio in termini di fatturato, clientela, personale
impiegato, ampiezza dei locali della sede, ma non è la crescita a creare
valore! Ricordiamo bene questo aspetto che spesso facciamo notare ai
nostri clienti, perché
per la creazione di valore occorre la presenza di
rendimenti in eccesso rispetto al costo del capitale
impiegato, concetto
molto chiaro se si pensa a tutte quelle modalità di valutazione delle perfor-
mance
value-based
come l’Eva
3
, espressione di modelli di
excess return
:
Eva =NOPAT– ( i x Co )
dove il Nopat è la redditività operativa aziendale e il prodotto fra il tasso di
rendimento del capitale i e il capitale investito iniziale Co rappresenta il
rendimento minimo che deve essere guadagnato per aggiungere nuovo
valore al complesso aziendale. Scrive infatti Stewart:
un’azienda deve
guadagnare un rendimento superiore al costo del capitale. Chi riesce a
fare ciò, aggiungerà valore al capitale impiegato ... altri che non riusci-
ranno a cogliere tale obiettivo, verranno valutate con uno sconto rispet-
to al capitale impiegato
.
Tale concetto, parimenti, è presente a livello internazionale nel
Residual
Income Model
attribuito a Edward, Bell e Ohlson, dove il valore aziendale
è visto come la somma fra patrimonio aziendale a valori correnti e valore
attuale dei
residual earnings
, espressione per l’appunto del rendimento
reddituale eccedente il reddito normale. Il costo del capitale da utilizzare nei
modelli valutativi, come è noto, non è un costo monetario: è un costo
opportunità di un investitore che, investito un certo capitale, pretende un
rendimento minimo dopo aver remunerato tutti i fattori produttivi.
Ne consegue che ai fini della valutazione dello studio professionale, occor-
rerà considerare fra i costi anche la remunerazione medio - normale per il
lavoro prestato da ciascun professionista all’interno dello studio. In caso
contrario si commetterebbe un errore molto grave.
Ai fini dell’individuazione
dei
drivers
di valore di uno studio professiona-
le ho personalmente trovato molto illuminante un
recente contributo del
prof. Mauro Bini
dell’Università Bocconi, che ha trattato il tema della valu-
tazione di uno studio professionale ai fini di un conferimento ad una socie-
tà tra professionisti
4
. Una casistica in cui, quindi, l’esperto
assume scopi di
garanzia societaria
. Tuttavia l’intervento è di ampio respiro ed esamina a
fondo quali possono essere i
drivers
del valore di uno studio professiona-
le anche al fine di comprendere se lo studio è generatore di avviamento.
Il pensiero del prof. Bini è riassumibile attraverso uno schema che ho tratto
liberamente dal suo articolo e che riporto di seguito:
La valutazione
di uno studio professionale
SEGUE DA PAGINA 19
SEGUE A PAGINA 21
3
Per un’analisi del modello dell’Eva (Economic Value Added) si veda opportunamente il libro di G. Bennet Stewart III, autore che ha introdotto questa misurazione del valore
aziendale:
La ricerca del valore. Una guida per il management e per gli azionisti
, Egea, Milano, 1998 (edizione italiana dell’originario
The Quest for Value: The Eva
Management Guide
, HarperCollins Publishers Inc., 1991). La citazione di seguito riportata è tratta dall’edizione italiana del testo, pag. 111.
4
Bini M.,
La valutazione di uno studio professionale a fini di conferimento ad una S.T.P
., Le società, n. 5, pag. 37, Ipsoa, Milano.