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NUMERO 209 - SETTEMBRE / OTTOBRE 2012
IL COMMERCIALISTA VENETO
CONTABILITÀ: TORNIAMO
ALLE REGOLE DI FRA' LUCA PACIOLI
GIORGIO MARIA CAMBIÈ
Ordine di Verona
C
he la difficile situazione attuale sia dovuta alle crimi-
nali banche americane ed alla loro emissione sciente
di titoli tossici, supportati dalle conniventi società di
rating (nessuna delle quali ha pagato per i misfatti)
era noto, ma a far danno nel sistema c’è dell’altro.
Lo hanno individuato due esperti, Ben Levenstein, capo dei titoli
inglesi della USS Investment Management e Robert Talbut, capo
degli investimenti al Royal London Asset
Management.
Questi due specialisti sul prestigioso (alme-
no lo era quando parlava male di Berlusconi)
Financial Times hanno scritto recentemen-
te un articolo dal titolo : “
End the pernicious
influence of US accounting rules
”, ovvero
“ Basta con l’ influenza perniciosa delle re-
gole contabili americane.”
Essi partono dal fatto che “ in Europa, i conti
erano basati su un sistema di amministra-
zione che teneva in considerazione la gestio-
ne e la proprietà, e dipendeva dalla prudenza
e dai valori realizzabili per garantire la prote-
zione del capitale.” Al contrario di questo
in America i conti sono basati su un siste-
ma di rapina: mordi e fuggi. La contabilità negli Stati Uniti si è
sviluppata per facilitare le transazioni nelle borse valori, il che vuol
dire che maggiore enfasi è stata posta nella “neutralità” e nelle
valutazioni di mercato. Pertanto, per gli autori, “ Non è possibile
avere conti che siano sia costantemente prudenti (privilegiando le
considerazioni per evitare di sopravvalutare il capitale o il reddito)
sia neutrali (privilegiando le valutazioni correnti di mercato).
L’ imposizione in Europa di una “neutralità”
stile americano ha disciolto il collante che univa
assieme la contabilità e l’amministrazione della
società” Gli autori passano ad esaminare gli
effetti, particolarmente perniciosi, nel siste-
ma bancario. “ Nell’avvicinarsi della crisi fi-
nanziaria, venne proibito alle banche dagli
IFRS di provvedere a contabilizzare le per-
dite su mutui previste. Esse dovettero inve-
ce adottare un modello di “provvedimenti per
le perdite su mutui sostenute” che permette-
va solo di accantonare fondi per mutui che
erano già deteriorati. Secondo l’IFRS, dato
che i mutui più pericolosi sono quelli che
rendono maggiori interessi, le banche pos-
sono comunque evidenziare maggiori
margini senza tenere conto delle perdite
previste. Complessivamente, i conti delle banche non presenta-
no una “vera e reale descrizione” della loro salute economica.
Inoltre, i dirigenti delle banche, il cui bonus era spesso legato ai
profitti a breve termine, erano incentivati ad espandere i prestiti
rapidamente e spesso con prestiti del tipo più rischioso.
La valutazione mark to mark (e mark to model) dei libri commer-
ciali delle banche, non legati ad un alto livello di prudenza, hanno
aggiunto legna al fuoco.”
Per principio, i revisori delle banche dovrebbero essere stati capa-
ci di individuare dei conti che non mostravano un aspetto vero e
reale . In pratica, l’enfasi sull’adeguamento agli IFRS ha distolto
gli amministratori e i revisori dall’usare il loro giudizio professio-
nale per denunciare che si era contravvenuto al “vero e reale”. Ciò
è stato anche peggiorato da debolezze strutturali nel mercato dei
revisori che hanno minato la loro indipendenza e la loro volontà di
contrastare dirigenti delle società. Per gli autori “secondo una
ricerca effettuata dal Local Authority Pension Fund Forum, le
banche inglesi fallite fra il 2008 e il 2010 avevano perso circa il
doppio del loro capitale dichiarato nel 2007. In altre parole, i titoli
degli azionisti avevano perso il doppio del loro valore.” “Ciò non
sarebbe stato possibile se ci fosse stato un criterio contabile di
prudenza” concludono i due esperti. Per loro
i conti prudenziali sono vitali “per appoggia-
re la stabilità economica, tramite il loro effet-
to sulla fiducia degli investitori e sul compor-
tamento dei dirigenti. E’ tempo che i legisla-
tori nel Regno Unito e nell’Unione Europea
controllino se i principi IFRS forniscano i giusti
risultati per gli azionisti, per le società e per la
crescita economica.”
Quanto da loro detto vale anche per la no-
stra economia. L’applicazione degli IAS e
delle norme IFRS sono talora stridenti con i
vecchi principi che ci vengono da oltre mille
anni di esercizio e di affinamento, con il per-
fezionamento tramite la pratica e l’esperien-
za di regole risalenti a Fibonacci ed a Luca
Pacioli. Il considerare vecchie le loro norme prudenziali ed il vo-
lerne applicare delle nuove, spinti dall’ingordigia di immediati gua-
dagni, in tutte le epoche, dai banchieri fiorentini ad oggi, come ha
ampiamente dimostrato Jesus Huerta De Soto nel suo
Moneta, cre-
dito bancario e cicli economici
ha sempre e solo significato in
breve periodo gravi catastrofi ed il crollo di imperi finanziari gi-
ganteschi. Bisogna pertanto cambiare atteg-
giamento: dimenticare che tutto quello che
viene dagli USA sia nuovo e bello, buttare nel
cestino i principi contabili che servono per
un’economia di rapina e riprendere i nostri
vecchi e saggi principi, con le loro norme di
accantonamenti prudenziali nel caso di peri-
coli o di eventi dubbi, in modo da salvaguar-
dare l’integrità societaria, il patrimonio socia-
le, il capitale degli azionisti e l’economia del
Paese in generale.
Come giustamente hanno considerato gli au-
tori citati, i principi contabili europei (leggi
italiani in quanto derivavano da norme stabili-
te dai nostri vecchi maestri) non badavano
ad un risultato mordi e fuggi che poteva an-
che non riprodursi nel tempo, ma ad un pro-
gressivo e graduale sviluppo, prevedendo e superando i momenti
difficili nell’ ottica della continuazione della vita delle imprese e del
loro possibile sviluppo. In questo caso, si è visto, gli USA non
hanno niente da insegnarci e prima verranno cestinati i loro princi-
pi, meglio sarà per noi. E noi italiani e veneti riandiamo invece agli
insegnamenti dei nostri vecchi maestri, che per un millennio hanno
governato l’andamento dell’agricoltura, la trasformazione da eco-
nomia agricola ad industriale, il “miracolo economico” ed il “mo-
dello veneto”. I nomi sono tanti, da quelli citati a Pareto, a Pantaleoni,
a Besta, a Zappa.
Guardiamo alle eccellenze di casa nostra. Il voler sempre conside-
rare il “foresto” migliore non è altro che una sciocca dimostrazione
di provincialismo.