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NUMERO 207 - MAGGIO / GIUGNO 2012
IL COMMERCIALISTA VENETO
d’altronde, per quanto riguarda la possibilità di dimostrare il possesso di risorse
finanziarie non imponibili, quest’ultima era già prevista, e nel momento in cui il
contribuente offre tale dimostrazione non si può certo parlare di contradditorio, in
quanto tali risorse ed il loro impiego o esistono e sono documentate, o non esistono
e non possono essere prese in considerazione. Ciò che invece può essere discusso
in contradditorio è l’entità o l’esistenza stessa delle spese presunte sulla base della
disponibilità di un bene o servizio “indice”: in quest’ottica allora ecco che i valori
previsti dalle tabelle ministeriali sono valori “standard” che devono essere assunti
per effettivi, salvo che il contribuente non dimostri la loro diversa entità.
E’ opportuno ricordare come nel vigore della vecchia normativa l’orientamento
dominante in giurisprudenza negasse la possibilità di attribuire al possesso di un
indice
una spesa diversa rispetto a quanto previsto dalle tabelle allegate ai decreti
ministeriali: ad esempio, è noto che l’orientamento prevalente in giurisprudenza
non riconoscesse valore, ai fini del redditometro, nemmeno alle tabelle ACI per
quanto riguarda i consumi e le spese degli autoveicoli.
Nell’ultimo biennio, invece, parte della giurisprudenza sia di merito che di legittimi-
tà ha fornito una chiave di lettura tendente ad assimilare il redditometro agli accer-
tamenti di tipo “standardizzato” del reddito di impresa.
Se valessero i principi espressi in tema di parametri e studi di settore, l’Ammini-
strazione potrebbe sì applicare i valori “standard” previsti dai D.M. di prossima
emanazione, ma al contribuente sarebbe consentita la dimostrazione delle spese
effettivamente sostenute in relazione al possesso di un bene o alla fruizione di un
servizio, e il Giudice avrebbe l’obbligo di
valutare
l’applicabilità dei valori “medio
ordinari” al caso concreto; dovrebbe quindi svolgere una sommaria valutazione dei
dati
fattuali
forniti (o non forniti) dal contribuente, per verificare la concordanza dei
risultati del redditometro con la peculiare situazione del contribuente, e per evitare
quantomeno di confermare dette risultanze qualora risultino palesemente abnormi
e inconciliabili con l’utilità che l’utilizzatore trae dal bene indice. Si deve ritenere
infatti che anche in presenza di presunzioni semplici l’onere della prova permanga
in capo al contribuente -il quale voglia dimostrare che il reddito calcolato non esiste
o esiste in altra misura- ma che per il Giudice tributario non basti replicare all’even-
tuale prova contraria ma debba motivare in relazione all’utilizzabilità dei coefficienti
nello specifico caso. La fase istruttoria svolta dall’Amministrazione dovrebbe quindi
essere tale da creare nel Giudice il convincimento nella
plausibilità
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dell’inferenza
tra il possesso degli indici e il reddito presunto.
In altre parole, il contribuente potrebbe dimostrare ad esempio l’uso limitato di un
bene, piuttosto che la sua manutenzione svolta “in economia”, e sostenere che le
spese ad esso connesse sono inferiori a quanto “presunto” attraverso i calcoli
redditometrici. Non solo, ma se si fosse in presenza di presunzioni semplici una
tale dimostrazione potrebbe portare il Giudice a ritenere non valida nel caso concre-
to l’affermazione
di massima
contenuta nei decreti attuativi del redditometro, per
la quale il possesso di un dato bene comporta una tal spesa (dalla quale poi si
desume, in via relativa, il possesso di un reddito).
E’ quindi interessante analizzare se l’orientamento giurisprudenziale più recente,
che tende ad inquadrare le presunzioni del redditometro quali presunzioni semplici
(anziché legali relative) risulti più coerente con gli obiettivi della nuova normativa,
soffermandosi sulle argomentazioni fornite dai Giudici che hanno aderito all’una e
all’altra tesi.
Il redditometro come sistema di presunzioni semplici:
argomentazioni contro e a favore nella giurisprudenza più recente
La tesi per cui il meccanismo “logico” del redditometro appartenga al novero delle
presunzioni semplici, e sia assimilabile a quello dei c.d. “parametri” si ritrova per la
prima volta nella giurisprudenza della Corte di Cassazione nell’Ordinanza 22 otto-
bre 2010, n. 21661 laddove la suprema Corte sospende la decisione in attesa di una
pronuncia delle sezioni unite in tema di parametri; in seguito alla sospensione la
Corte afferma che la procedura di accertamento da redditometro ricade tra gli accer-
tamenti standardizzati e “costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui
gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del
reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati ... ma nasce solo in
esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accerta-
mento, con il contribuente”. Va detto che la decisione non può dirsi ben argomenta-
ta, in quanto il Giudice semplicemente si limita a stabilire
tout court
l’appartenenza
del redditometro a tale tipologia di accertamenti, e a sospendere la decisione in
attesa della pronuncia delle Sezioni unite in tema di “parametri”.
Né può dirsi che la successiva Sentenza 11389 depositata il 17 giugno 2011 argo-
menti in modo più esaustivo la scelta di propendere per la categoria delle presun-
zioni semplici: anche in questo caso la suprema Corte si è limitata a stabilire
l’applicabilità dei citati principi in tema di studi di settore alla metodologia accertativa
in commento, partendo probabilmente dall’effettiva somiglianza del procedimento
logico che accomuna le due tipologie di accertamento; benché gli indici considerati
dalle due norme abbiano natura differente (la spesa del reddito da un lato, e i fattori
della produzione del reddito dall’altro), in entrambi i casi appare doveroso ammet-
tere che i risultati ottenuti con calcoli basati su valori medio ordinari debbano essere
sottoposti alla valutazione di un Giudice terzo rispetto all’Amministrazione che ha
elaborato i calcoli stessi: e che il Giudice abbia la facoltà di valutare l’idoneità di
detti calcoli a rappresentare la situazione concreta sul quale è chiamato ad espri-
mersi.
Elementi in grado fare maggiore chiarezza sulla questione si possono però trovare
nella più recente giurisprudenza di merito. In questo senso è stato affermato che è
illegittimo l’accertamento che non consideri la realtà peculiare in cui vive il contri-
buente (Cfr. CTP di Sondrio, Sentenza del 25 marzo 2011, n. 24); qui i Giudici
danno rilievo alla circostanza per cui “
la contribuente aveva residenza in una zona
(…) di’Italia che gode di notevoli agevolazioni sui prezzi dei carburanti, lubrifican-
ti, pneumatici ecc. e dell’esenzione IVA, per cui i costi gestionali connessi alla
disponibilità dei cespiti risultano sicuramente ridotti.”
.
Inoltre i Giudici osservano che
“…in generale il
redditometro” con applicazione
acritica e tabellare dei parametri costituisce, in rapporto alle situazioni di fatto
come questa, ormai solo presunzione semplice di maggior capacità reddituale, e
quindi contributiva, e che per trovare efficace applicazione ai fini del recupero di
imposta deve essere accompagnato e sostenuto da verifiche di fatto circostanziate
e documentate circa la effettiva e reale capacità reddituale del soggetto verificato”.
Nel merito della questione è entrata anche la CTP di Torino nella sentenza 136
depositata il 1 luglio 2011: osservano i Giudici che benché
“il contribuente non può
contestare… formula di calcolo utilizzata per giungere alla conclusione che il
mantenere un autoveicolo…eccependo l’erroneità della formula o la più o meno
arbitrarietà e/o ragionevolezza dei criteri con cui la stessa è stata costruita.”
Ciò
non toglie, a detta dei Giudici torinesi, che il contribuente possa “
provare che nello
specifico caso le spese di mantenimento di quel bene per quell’annualità siano state
inferiori a quelle legislativamente presunte e, che quindi, in quell’anno il manteni-
mento del bene abbia inciso sul reddito del contribuente in modo inferiore a quello
preventivato dal legislatore.”
E ciò in forza della
“natura indiscutibilmente sem-
plice”
delle presunzioni da redditometro.
Di opinione decisamente contraria
è invece la più recente Cassazione n. 27545
del 19 dicembre 2011, che torna a ricondurre le presunzioni del redditometro nel
novero delle presunzioni
legali relative
: in estrema sintesi, pur riconoscendo che al
contribuente è fatta salva la possibilità di dimostrare “che il reddito presunto non
esiste, o esiste in misura inferiore”, si riafferma la contraddizione per cui il Giudice
tributario non può attribuire agli indici redditometrici un valore, in termini di reddi-
to presunto, diverso da quello previsto nelle tabelle ministeriali: non sarebbe quindi
opinabile né la quantificazione del reddito né la spesa presunta da cui tale
quantificazione trae origine.
La Cassazione pare quindi essere tornata sui suoi passi, disconoscendo l’applicabilità
al redditometro dei ragionevoli principi elaborati in tema di accertamento standar-
dizzato; e di fatto riaprendo la contraddizione per la quale il contribuente può sì
dimostrare che il reddito calcolato sulla base di spese presunte è inferiore di quello
scaturente dall’applicazione dei coefficienti ministeriali, ma non può dimostrare né
l’effettiva entità delle spese sostenute –cosa che sarebbe invece consentita se si
fosse in presenza di presunzioni semplici-, né può obiettare l’irragionevolezza dei
calcoli contenuti nelle tabelle allegate ai D.M. attuativi.
Le ripercussioni dell’una e dell’altra tesi sul piano
del diritto alla difesa: conclusioni e prospettive
In altre parole, la tesi “tradizionale” per cui le presunzioni del redditometro sono
presunzioni legali
relative
non può senz’altro dirsi superata, benché come da più
parti osservato lasci aperto un interrogativo enorme circa la sua stessa coerenza
logica, nonché sotto il profilo del diritto di difesa che dovrebbe essere garantito al
contribuente sottoposto ad accertamento.
Benché da un lato non si possa negare che la presunzione di reddito collegata alla
disponibilità di un indice sia stabilita dalla Legge (elemento che fa senz’altro pro-
pendere per la tesi della presunzione legale), poco convincente a questo punto è
l’accezione di “relatività” della presunzione cui ha fatto riferimento sin ora la
giurisprudenza. Infatti se partendo da un fatto noto (
a)
-la disponibilità di beni e
servizi
- si afferma un primo fatto in realtà
ignoto (
b) -il sostenimento di un determi-
nato costo connesso a detta disponibilità
-; e dato
quest’ultimo fatto
(b)
si afferma
la sussistenza di un ulteriore fatto
(c)
anch’esso ignoto –
ovvero che il sostenimento
di detti costi sia avvenuto con risorse di natura reddituale sottratte all’imposizione
;
ebbene in presenza di un siffatto ragionamento, o entrambe le presunzioni sono
relative e suscettibili di essere confutate (dimostrando ad esempio che la spesa
connessa ad un indice è inferiore a quella presunta), oppure il meccanismo presuntivo
che lega al possesso di un determinato bene una predeterminata spesa
si configura
di tipo assoluto
, al di là del
nomen iuris
.
A tal proposito i Giudici torinesi nella già citata Sentenza 136 hanno giustamente
sottolineato la necessitá che
“il dettato letterale dell’art. 38 del D.P.R. 600/1973
debba essere interpretato nel modo più esteso possibile, e, cioè che al contribuente
sia consentito provare … che le spese di gestione dei beni indice sono state inferiori
al presunto. Opinare diversamente esporrebbe, ad avviso della Commissione, le
norme a vizi di incostituzionalità per violazione del principio di capacità contribu-
tiva e di ragionevolezza, oltre che trasformare, di fatto, l’imposta sul reddito
(quindi su un fattore dinamico) in una patrimoniale, slegata del tutto dalla effettiva
capacità reddituale del soggetto tassato, ma legata unicamente alla semplice pro-
prietà/possesso di determinati beni, piuttosto che di altri.”
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In tema di obblighi motivazionali del Giudice in presenza di presunzioni semplici e relative, si veda A. Marcheselli,
Gli accertamenti analitico-induttivi e gli studi di settore tra
presunzioni semplici e legali
in Corriere Tributario nr. 44/2009.
SEGUE DA PAGINA 3
Il redditometro dopo il D.L. 78/2010