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NUMERO 206 - MARZO / APRILE 2012
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Confidentiality: la riservatezza
nell'istituto della
mediazione-conciliazione civile
NORME E TRIBUTI
PAOLA SCHIAVO
Ordine di Vicenza
IL COMMERCIALISTA VENETO
SEGUE A PAGINA 8
U
n importante sostegno
al buon funziona-
mento dell’istituto della mediazione civi-
le è il rispetto della disciplina della riser-
vatezza. Malgrado la problematica del controllo
e di conseguenza l’accertamento della violazio-
ne del dovere di riservatezza, la normativa nella
sua complessità non prevede alcuno strumento
di controllo né alcuna sorta di sanzione per il
caso di violazione.
Non facile, poi, dover dimostrare l’avvenuta vio-
lazione dell’obbligo di riservatezza -ad eccezione
dell’ipotesi di certezza che nessun altro fosse a
conoscenza dell’informazione-. Il tutto a fronte
di una procedura prettamente informale ove non
vi è previsione di dover verbalizzare quanto rife-
rito da una parte né di quanto la stessa ha auto-
rizzato a comunicare alle altre parti in sede di ses-
sioni private.
Pertanto, data la rilevanza e l’articolata normati-
va, non deve essere trascurato l’obbligo di riser-
vatezza cui tutti gli operatori nell’ambito della
procedura di mediazione-conciliazione sono te-
nuti. Aseguire segnalo alcune riflessioni in meri-
to alle diverse problematiche conseguenti.
Anzitutto va specificato che la riservatezza è un
istituto di derivazione anglosassone; inizialmen-
te configurato come diritto alla privacy, cioè a
dire il diritto di escludere gli altri dalla conoscen-
za di determinati fatti di vita, successivamente è
stato esteso al diritto a mantenere segrete
tipologie di informazioni sempre più ampie. L’art.
2 della Costituzione italiana vede i fondamenti
della riservatezza, così come la L. n. 675/96 e,
successivamente, più compiutamente disciplina-
to dal D.Lgs. n. 196/2003 Codice in materia di
protezione dei dati personali. Nell’ordinamento
italiano il termine riservatezza, e conseguente
“diritto” connesso, attengono non solo alla sfe-
ra privata della persona, ma in genere ad informa-
zioni, talvolta anche soltanto di rilievo sociale,
economico e/o industriale di cui, attraverso la
sua applicazione, si intende controllare la circo-
lazione tanto che la riservatezza da bene giuridi-
co in senso stretto è divenuta anche bene eco-
nomico in senso proprio, potendo la conoscenza
di certi fatti e metodologie riservati essere facil-
mente valutata economicamente.
Il legislatore, quindi, ha dato particolare rilevanza,
tanto che nel D.Lgs. 28/2010 sono stati dedicati
gli art. 9 e 10 e all’art. 3 è stato previsto che il
regolamento di procedura di ogni Organismo di
mediazione debba “in ogni caso garantire la ri-
servatezza del procedimento”.
Il dovere di riservatezza disciplinato dall’art. 9
comma 1 del suddetto decreto è rivolto a tutti gli
operatori dell’Organismo ed ai suoi ausiliari con
la precisazione che “Chiunque presta la propria
opera o il proprio servizio nell’Organismo o co-
munque nell’ambito del procedimento di media-
zione è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto
alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisi-
te durante il procedimento medesimo”. Inoltre
l’art. 2, comma 1 del Decreto Interministeriale 145/
2011 introduce la possibilità di assistere in forma
di tirocinio alle mediazioni e ciò implica che an-
che il soggetto tirocinante sia sottoposto al vin-
colo della segretezza e della riservatezza.
Pertanto il testo concerne non solo il mediatore,
ma anche il consulente tecnico, gli addetti al ser-
vizio di segreteria e di amministrazione dell’Or-
ganismo, il responsabile, il tirocinante, l’even-
tuale pubblico ufficiale in necessità di autentica
delle firme di un verbale che deve essere trascrit-
to ex art. 2653 c.c. e, in ogni caso, qualunque
altro soggetto che a qualsiasi titolo dovesse es-
sere coinvolto in una procedura di mediazione
inclusi gli eventuali professionisti e/o tecnici che
assistono le parti.
Inoltre all’art. 10, comma 2 del medesimo decreto,
al mediatore spetta il diritto al segreto professio-
nale. Infatti il testo della norma dispone che: “Il
mediatore non può essere tenuto a deporre sul
contenuto delle dichiarazioni rese e delle infor-
mazioni acquisite nel procedimento di mediazio-
ne, né davanti all’autorità giudiziaria né davanti
ad altra autorità”.
In pratica il mediatore dovrà mantenere il segreto
anche se, per esempio, abbia avuto
conoscenza
nel corso del procedimento di un fatto che costi-
tuisca
illecito. Non vi è unanime consenso su
tale punto legislativo: per alcuni permane l’ob-
bligo del mediatore di denunciare i fatti di cui sia
venuto a conoscenza nell’esercizio della sua at-
tività professionale. Va detto, comunque, che il
mediatore non è un pubblico ufficiale eccezion
fatta nel momento in cui gli viene riconosciuto il
potere di autenticare le firme delle parti. Pertanto,
il mediatore non può essere tenuto a testimonia-
re in merito a fatti di cui sia venuto a conoscenza
nel corso del procedimento, nè può essere obbli-
gato a denunciare eventuali fatti costituenti ille-
cito di cui sia venuto a conoscenza nell’esercizio
delle proprie funzioni.
Quindi, se l’intento del comma 2 dell’art. 10, è
volto a rafforzare quanto previsto dall’art. 9, il
segreto professionale non si dovrebbe limitare al
solo mediatore, ma dovrebbe trovare applicazio-
ne a tutti gli operatori in una mediazione. Tale
stortura produrrebbe l’effetto, per esempio in
sede di deposizione nel corso di un qualsiasi pro-
cedimento, che con un generico obbligo di riser-
vatezza cui sono sottoposti tutti i soggetti a qua-
lunque titolo coinvolti in una procedura di me-
diazione, solo il mediatore potrà avvalersi del
segreto professionale, dovendo invece tutti gli
altri rispondere ai quesiti loro rivolti.
Va inoltre segnalata la norma che argomenta il
controllo e la circolazione delle informazioni ac-
quisite dal mediatore nel corso del procedimento
e durante le sessioni separate, dette “caucuses”.
L’articolo 9, comma 2 del D.Lgs. 28/2010 novella
che “Rispetto alle dichiarazioni rese e alle infor-
mazioni acquisite nel corso delle sessioni sepa-
rate e salvo consenso della parte dichiarante o
dalla quale provengono le informazioni, il media-
tore è altresì tenuto alla riservatezza nei confron-
ti delle altre parti ”.
Anzitutto emerge che soltanto il mediatore ha la
facoltà di interloquire con le parti nel corso di
sessioni separate e che lo stesso è tenuto ad un
generalizzato obbligo di riservatezza nei confronti
di chiunque per ciò che viene a conoscenza du-
rante una procedura di mediazione, ed inoltre è
tenuto ad un ulteriore obbligo di riservatezza re-
ciproco nei confronti delle singole parti per quan-
to dalle stesse formulato. Infatti il mediatore non
può rivelare alle altre parti del procedimento le
informazioni né le dichiarazioni rese né il conte-
nuto di eventuali documentazione esibita nel
corso dei colloqui separati, salvo espressa auto-
rizzazione della parte.
Da ciò derivano aspetti tecnico-operativo in ordi-
ne alla fascicolazione ed archiviazione dei proce-
dimenti di mediazione tenendo conto del diritto
alla riservatezza delle parti ed al relativo accesso.
Lo stesso D.M. 180/2010 all’art.7, comma 6 di-
spone che: “Il diritto di accesso ha per oggetto
gli atti depositati dalle parti nelle sessioni comu-
ni ovvero, per ciascuna parte, gli atti depositati
nella propria sessione separata”, garantendo così,
non solo la riservatezza di tutto quanto emerso
nel corso degli incontri singoli con il mediatore,
ma anche di tutta la documentazione eventual-
mente prodotta. Inoltre sempre all’art 7, comma
7 viene specificato che “non sono consentite
comunicazioni riservate delle parti al solo media-
tore, eccetto quelle effettuate in occasione delle
sessioni separate”.
Quindi nell’ottica di garantire la massima riser-
vatezza di quanto è oggetto delle sessioni riser-
vate, anche l’accesso al fascicolo è limitato ai
soli documenti depositati dalle parti stesse, sen-
za potere acquisire quanto depositato dalle
controparti.
D’altro canto, alla parte che partecipa alla ses-
sione separata spetta la libertà di potersi espri -