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NUMERO 206 - MARZO / APRILE 2012
IL COMMERCIALISTA VENETO
2011 trova applicazione la ritenuta del 12,50% o del 27% a seconda del
ricorrere delle condizioni stabilite dall’art. 26 del D.P.R. n. 600 del 1973 nella
sua previgente formulazione);
– sui proventi delle accettazioni bancarie di cui all’art. 1 del D.L. n.
546/1981 la ritenuta del 20% è applicata sui proventi divenuti esigibili a
decorrere dal 1° gennaio 2012 (sui proventi divenuti esigibili entro il 31
dicembre 2011, la ritenuta è applicata nella misura del 27%);
– sui proventi delle cambiali finanziarie la ritenuta di cui all’art. 26,
comma 1, del D.P.R. n. 600/1973 è applicata nellamisura del 20%sui proven-
ti maturati a decorrere dal 1° gennaio 2012 (sui proventi maturati fino al 31
dicembre 2011 trova applicazione la ritenuta del 12,50% o del 27% a secon-
da del ricorrere delle condizioni stabilite dall’art. 26 del D.P.R. n. 600/73
nella sua previgente formulazione);
– sui proventi dei
titoli atipici
di cui agli artt. 5 e 8 del D.L. n. 512/
1983, la ritenuta del 20% è applicata sui proventi divenuti esigibili a decor-
rere dal 1° gennaio 2012 (sui proventi divenuti esigibili entro il 31 dicembre
2011, la ritenuta è applicata nella misura del 27%).
Per quanto attiene alla disciplina transitoria relativa ai risultati negativi di
gestione accumulati dagli organismi di investimento per effetto del regime
di tassazione vigente fino al 30 giugno 2011
12
, l’Agenzia delle Entrate pre-
cisa che il passaggio all’aliquota del 20% “
non ha alcuna incidenza sul-
l’importo del risparmio d’imposta rilevato nei prospetti contabili degli
organismi di investimento in quanto l’ammontare dello stesso, determi-
nato con riferimento alla situazione esistente al 30 giugno 2011, rappre-
senta il 12,50 per cento dell’ammontare dei risultati negativi consegui-
ti
”. Tuttavia, nel caso in cui alla cessazione dell’organismo di investimento
i risultati negativi non siano stati utilizzati in compensazione con i redditi di
capitale derivanti dalla partecipazione ad organismi di investimento sog-
getti alla ritenuta di cui all’art. 26 quinquies del D.P.R. n. 600/73, “
l’importo
della minusvalenza riconosciuto ai partecipanti in proporzione alle quote
o azioni possedute ai sensi dell’art. 2, comma 72, del D.L. n. 225/2010
deve essere ridotta ad un importo pari al 62,50 per cento del relativo
ammontare
”.
In altre parole, le minusvalenze corrispondenti ai risultati negativi dell’or-
ganismo di investimento non utilizzati in compensazione alla data di cessa-
zione dell’organismo di investimento medesimo possono essere portate in
deduzione dalle plusvalenze e dagli altri redditi diversi di natura finanziaria
realizzati a decorrere dal 1° gennaio 2012 “
per una quota pari al 62,50 per
cento del loro ammontare
” ai sensi dell’art. 68, comma 5, del TUIR e degli
artt. 6 e 7 del D.Lgs. n. 461/97 entro il quarto periodo d’imposta successivo a
quello della data di cessazione dell’organismo di investimento.
Al riguardo, la Circolare ricorda che la “
SGR, la SICAV o il soggetto inca-
ricato del collocamento delle quote o azioni di fondi lussemburghesi
storici rilasciano a ciascun partecipante apposita certificazione dalla
quale risulti l’importo della minusvalenza spettante, senza indicazione
della data di maturazione del risultato negativo in capo all’organismo
di investimento
”.
Sempre in materia di regime transitorio, la Circolare chiarisce ulteriormente
quanto segue in merito alla possibilità di compensazione dei risultati nega-
tivi accumulati dai fondi fino al 30 giugno 2011 con i redditi di capitale
derivanti dalla partecipazione ad organismi di investimento soggetti alla
ritenuta di cui all’art. 26 quinquies del D.P.R. n. 600/73. In particolare, seb-
bene il comma 71 del citato art. 2 del D.L. n. 225/2010 stabilisca che la SGR,
la SICAV o il soggetto incaricato del collocamento delle quote o azioni di
fondi lussemburghesi storici accreditano al fondo o al comparto al quale è
imputabile il risultato negativo di gestione compensato “
un importo pari
al 12,50 per cento del relativo ammontare
”, con l’aumento dell’aliquota
della ritenuta di cui al citato art. 26 quinquies del D.P.R. n. 600/73 al 20%, “
al
fondo o al comparto potrà essere accreditato un importo pari al 20 per
cento dell’ammontare dei redditi soggetti a tale ritenuta nei limiti, ov-
viamente, dell’importo del risparmio d’imposta residuo rilevato nei pro-
spetti contabili del fondo o comparto medesimo
”.
SEGUE DA PAGINA 19
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Cfr. la citata Circolare n. 33/E del 2011.
Fondi comuni
di investimento mobiliari:
aliquota del 20%
SENTENZE
LACORTE
DI CASSAZIONE
E ILREDDITOMETRO
Con la sentenza n. 13289 del 17-6-2011, emessa inmateria di redditometro,
la Corte di Cassazione ha posto in chiara evidenza i seguenti importanti
punti cardine: 1) il contraddittorio fra le parti ha lo scopo precipuo di
raggiungere un coerente <
adeguamento della elaborazione statistica degli
standard alla concreta realtà economica del contribuente
>, non potendosi
esaurire il procedimento accertativo in una pedissequa applicazione dei
parametri ministeriali costituenti il sistema redditometrico; 2) l’accerta-
mento in base a parametri redditometrici
costituisce un sistema di presun-
zioni semplici (
art. 2729 c.c., ndr)
, la cui gravità, precisione e concordanza
non è
ex lege
determinata in relazione ai soli standard in sé considerati
>,
cosicché – conclude la sentenza in rassegna – <
il contribuente ha, nel
giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento, la più ampia
facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può
liberamente valutare tanto l‘applicabilità degli standard al caso concreto, che
deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto
offerta dal contribuente stesso
>. In base a tali principi, dovrebbe pertanto
ritenersi illegittimo l’accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate
laddove questa, supponendo di avere dato “prova legale” delle proprie
presunzioni, escludesse di fatto (il che avviene pressoché SEMPRE!) la
possibilità in capo al contribuente di provare a sua volta, nell’ambito del
contraddittorio o addirittura in giudizio, la congruità del tenore di vita
proprio e della propria famiglia rispetto alle proprie fonti di entrata.
A fronte di tali enunciazioni, quando esse vengono riportate dalla difesa
del contribuente in sede di ricorso, l’Agenzia delle Entrate normalmente
obietta che tale pronuncia costituirebbe una sorta di “mostro
giurisprudenziale” (quasi a far intendere che quel giorno i giudici di
legittimità fossero sotto gli effetti di un colpo di sole…), ponendosi essa in
contrasto con una lunga serie di altre sentenze della Suprema Corte che,
sempre a detta dell’Agenzia delle Entrate, confermerebbero la tesi orto-
dossa della natura (divina?) di “presunzione legale relativa” del sistema
redditometrico nel suo complesso.
Ebbene, tale asserzione è del tutto infondata. La pronuncia di cui si
discute, infatti, contrariamente a quanto opinato dagli Uffici, non intende
affatto mettere in discussione la “presunzione legale relativa” che l’art.
38 comma 4 e ss. del D.P.R. 600/1973 fa discendere dal possesso dei beni
indice di capacità contributiva, bensì si limita a definire alla stregua di
presunzioni semplici, opponibili dal contribuente con presunzioni dello
stesso tipo e liberamente apprezzabili dal giudice, gli STANDARD, e cioè
quei coefficienti di origine meramente statistica che stanno alla base
degli algoritmi utilizzati dall’Amministrazione Finanziaria per giunge-
re alla determinazione del reddito sintetico. In altre parole, mentre l’art.
38 c. 4 del D.P.R. 600/1973, quale norma di legge, fissa una presunzione di
carattere, appunto, legale relativo, stabilendo il principio che dal posses-
so di taluni beni specifici si possa far discendere l’esistenza di un reddito
spendibile, i Decreti ministeriali 10-9-1992 e ss., quali fonti di natura
regolamentare, si limitano a delineare quegli STANDARD che la Supre-
ma Corte ritiene essere appunto, stante la loro origine puramente stati-
stica (alla stessa stregua dei parametri o degli Studi di settore), presun-
zioni semplici. Tale ragionamento è del resto confermato dalla semplice
lettura dei testi degli artt. 2727 e seguenti del codice civile. Mentre quella
di cui all’art. 38 c. 4 del D.P.R. 600/1973 è, come sopra sottolineato, pre-
sunzione stabilita dalla Legge (art. 2727 c.c.) sulla base della rilevazione
di fatti certi (come il possesso di determinati beni), da cui si può risalire
al fatto ignorato dell’esistenza di un reddito spendibile, gli STANDARD
di cui ai D.M. 10-9-1992 e ss. sono presunzioni non stabilite dalla Legge,
bensì da regolamenti, le quali, a norma dell’art. 2729 c.c. e giusta la
corretta interpretazione data dalla Corte di Cassazione con la più volte
citata sentenza n. 13289/2011, sono lasciate alla prudenza del giudice.
E a conferma di tale interpretazione soccorre, peraltro, anche la Corte Costi-
tuzionale la quale, trattando la materia degli accertamenti parametrici di cui
all’art. 3 c. 184 e ss. della Legge n. 549/1995, con la sent. n. 105 dd. 1-4-2003 ha
già da tempo avuto modo di chiarire che le <
disposizioni subprimarie di attua-
zione
> (quali sono, appunto, anche iD.M. del 1992 inmateriadi redditometro),
sono <
sindacabili dal giudice competente per il merito
>.
È chiaro, poi, che per convincere il giudice del merito dell’inapplicabilità
del Redditometro al caso del singolo contribuente, sia necessario calarsi
nella realtà dei fatti e dimostrare
per tabulas
(ad esempio ricostruendo fin
dove possibile documentalmente il reale regime di spesa del soggetto,
ovvero le sue eventuali fonti alternative di finanziamento) l’inapplicabilità
degli algoritmi nella fattispecie specifica. Ma riuscire a vincere la
pregiudiziale di cui sopra può rappresentare in molti casi la chiave (in-
glese…) necessaria per iniziare a smontare pezzo per pezzo un accerta-
mento da Redditometro.
Claudio Polverino
(Ordine di Gorizia)