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NUMERO 205 - GENNAIO / FEBBRAIO 2012
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Leasing, risoluzione di diritto
e azione revocatoria
NORME E TRIBUTI
AMEDEO ALBÈ
Praticante Ordine di Vicenza
IL COMMERCIALISTA VENETO
SEGUE A PAGINA 14
Premessa
Analizziamo un tema di grande attualità, soprat-
tutto nell’attuale periodo di crisi economica del
paese: la revocatoria fallimentare dell’atto di ri-
soluzione di diritto di un contratto di leasing;
osserviamo fin da subito come non siano molte
le pronunce edite rinvenute sull’argomento.
Focalizziamo l’attenzione, in particolare, sull’ana-
lisi dei presupposti per l’esercizio dell’azione
revocatoria fallimentare ai sensi dell’art. 67,
comma 2, L.F. nei confronti di un atto di risoluzio-
ne di diritto di un contratto di locazione finanzia-
ria immobiliare avvenuto prima della dichiarazio-
ne di fallimento della società
utilizzatrice.
Il caso concreto
La fattispecie può essere così
configurata: una società di
leasing concede in locazione fi-
nanziaria un immobile industria-
le ad un’impresa, convenendo il
pagamento di un certo numero
di ratemensili di canone e la pos-
sibilità, al termine del contratto,
di riscattare il bene mediante il
pagamento di un prezzo
predeterminato nel suo ammon-
tare. Tale contratto prevede, fra
le altre, una clausola risolutiva
espressa a favore del conceden-
te per l’ipotesi di inadempimento
dell’utilizzatore nel pagamento
delle rate di canone.
Dopo qualche anno dalla con-
clusione del contratto, in segui-
to al peggioramento delle condi-
zioni economiche e patrimoniali
dell’utilizzatrice e al ritardo nel pagamento di alcu-
ne rate di leasing, la società concedente provoca
la risoluzione di diritto della locazione finanziaria
avvalendosi della clausola risolutiva espressa
contenuta nelle condizioni generali del contratto.
Cinque mesi e mezzo dopo la risoluzione del con-
tratto, la società utilizzatrice è dichiarata fallita.
La società concedente, che alla data del fallimen-
to dell’utilizzatrice non era ancora rientrata nella
disponibilità materiale dell’immobile oggetto del
contratto di leasing risolto, presenta al Tribunale
fallimentare domanda di restituzione dell’immo-
bile e domanda di ammissione al passivo falli-
mentare per le rate scadute e non pagate, nonché
gli interessi e le penali contrattuali.
In vista dell’udienza fissata per l’esame dello sta-
to passivo, il curatore fallimentare depositava il
progetto di stato passivo ai sensi dell’art. 95,
comma 2, L.F. proponendo il rigetto sia della do-
manda di restituzione dell’immobile, sia della do-
manda di insinuazione al passivo. In particolare,
secondo il curatore: a) l’atto di risoluzione di di-
ritto del contratto di leasing appare revocabile ai
sensi dell’art. 67, comma 2, L.F. in quanto atto a
titolo oneroso compiuto nel semestre anteriore
alla dichiarazione di fallimento; b) la domanda di
insinuazione risulta infondata in considerazione
dell’inesistenza di un credito della società con-
cedente opponibile al fallimento per canoni di
leasing arretrati, interessi e penali.
Alla luce degli orientamenti giurisprudenziali e
dottrinali in materia, si verificherà la fondatezza
della tesi del curatore, attraverso l’analisi dei re-
quisiti oggettivi, soggettivi e temporali necessa-
ri al fine di poter esperire l’azione revocatoria
fallimentare.
Analisi dei requisiti ex art. 67, comma 2, L.F.
Con riferimento al requisito oggettivo, due sono
gli orientamenti giurisprudenziali che si contrap-
pongono in materia.
Il primo, maggioritario in dottrina e in giurispru-
denza, è favorevole alla revocatoria fallimentare
dell’atto di risoluzione di diritto di un contratto, e
qualifica tale atto come “a titolo oneroso” ai sen-
si dell’art. 67, comma 2, L.F. senza fare alcuna
distinzione tra atti compiuti dal fallito e atti com-
piuti da terzi, ma concentrando l’attenzione sul-
l’idoneità dell’atto ad arrecare pregiudizio alla
massa dei creditori. In particolare (cfr. per tutti
Trib. Milano 03.02.2003, in
Giurisprudenza mi-
lanese
2003, 12, 413) “
la risoluzione unilaterale
del contratto da parte del contraente “in bonis”
costituisce atto a titolo oneroso suscettibile di
revocatoria fallimentare, comportando esso un
depauperamento del patrimonio del debitore,
a nulla rilevando che l’atto non sia stato com-
piuto dal fallito, né che questi non vi abbia in
alcun modo cooperato
”. Secondo tale interpre-
tazione infatti
“… argomento che solitamente è
addotto contro la tesi della revocabilità della
risoluzione di diritto è quello letterale. Si so-
stiene infatti che gli atti a titolo oneroso
revocabili sono quelli che provengono dal de-
bitore. Senonchè, in primo luogo, deve repli-
carsi che l’argomento letterale non è decisivo,
poiché nell’art. 67, comma secondo, L.F. la ca-
tegoria degli “atti a titolo oneroso” non è rife-
rita ad un soggetto. Né il mancato riferimento
al soggetto del debitore può
configurare un elemento
interpretativo di significato
soltanto equivoco, dovendosi
considerare […] che sono
revocabili anche gli atti posti
in essere da terzi, come l’iscri-
zione dell’ipoteca volontaria
e dell’ipoteca giudiziale non-
ché la riscossione di mandati
di pagamento …”.
Il secondo orientamento,
minoritarioma più recente, qua-
lifica invece come “a titolo one-
roso” solo gli atti compiuti dal
fallito, escludendo quelli posti
in essere da terzi, e ciò a pre-
scindere dai riflessi negativi sul
patrimonio del debitore. Il Tri-
bunale di Roma con la recente
sentenza datata 01.10.2010, sta-
bilisce che “…
dal tenore lette-
rale dell’art. 67, comma 2, L.F.
appare chiaro che oggetto del-
l’azione revocatoria sia unicamente l’atto com-
piuto dal fallendo nel c.d. periodo sospetto,
mentre nella fattispecie oggetto di revoca sa-
rebbe, secondo la pretesa della curatela, la di-
chiarazione di avvalersi della clausola risolu-
tiva espressa, rilasciata tuttavia da soggetto
altro e diverso rispetto al fallendo”.
Dall’analisi dei due orientamenti, si condivide
quello che ritiene ammissibile l’azione revocatoria,
in quanto maggiormente coerente con il sistema
fallimentare vigente (che, a mero titolo esemplifi-
cativo, qualifica i pagamenti coattivi come atti a
titolo oneroso revocabili ai sensi dell’art. 67,
comma 2, L.F., ancorché siano pacificamente atti
compiuti da terzi, e non invece dal fallito che di
fatto li subisce) e in accordo con autorevole dot-
trina (MaffeiAlberti, ad esempio, ritiene che:
“per
poter affermare la revocabilità della risoluzio-
ne sembra sufficiente ammettere che la
revocatoria fallimentare può colpire anche atti
posti in essere da terzi senza alcuna partecipa-
(Immagine tratta dal sito
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