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NUMERO 205 - GENNAIO / FEBBRAIO 2012
IL COMMERCIALISTA VENETO
STORIA, STORIE /
L'arte e le donne nel XVII secolo
Artemisia Gentileschi
«pittora» scandalosa
KETI CANDOTTI
Ordine di Venezia
A
RTEMISIAGENTILESCHI ÈUNADELLEPOCHE eroine
femminili della Storia dell’arte europea.
Singolare e moderna è la sua vita errabonda che la porta da
Roma a Firenze, poi di nuovo a Roma, a Napoli, a Genova e
in Inghilterra. Allo stesso tempo però è anche la protagonista, in un
secolo come il 600 permeato di trasgressione, risse, comportamenti
spregiudicati, di una torbida vicenda a tinte fosche o, per meglio dire,
“caravaggesche”, mescolata a suggestioni sentimentali, erotiche, pa-
tetiche e fantastiche, in una strana fusione ro-
manzesca.
Nata aRoma l’8 luglio 1593, primogenita del noto
pittore toscano Orazio Gentileschi, inizia il suo
apprendistato presso la bottega paterna, assie-
me ai fratelli, ma da subito dimostra, rispetto ad
essi, maggiore talento. Il padre la definisce “uni-
ca in questa professione” e il talento naturale
del resto è ben nutrito dallo stimolante ambien-
te romano e dal fermento artistico che gravita
intorno alla sua casa, frequentata assiduamen-
te da altri pittori, amici e colleghi del padre come
Caravaggio, Guido Reni e i Carracci. Probabil-
mente Artemisia conosce personalmente
Caravaggio, che usa prendere in prestito strumenti dalla bottega di
Orazio.
L’apprendistato presso il padre rappresenta per Artemisia, pittrice don-
na in un mondo di maschi, l’unico modo per esercitare l’arte, essendole
precluse le scuole di formazione.
A quel tempo alle donne veniva negato l’accesso alla sfera del lavoro
e la possibilità di crearsi un proprio ruolo sociale. Il lavoro femminile
non era riconosciuto alla luce del sole, ma si realizzava perlopiù “clan-
destinamente”, come dimostrano i registri delle tasse e i censimenti. La
carriera artistica (come qualsiasi altra carriera) era pressoché impratica-
bile per le donne, costrette nei limiti che la società imponeva loro, limiti
di natura culturale (assenza pressoché totale di una preparazione sco-
lastica) e familiare (nelle famiglie patriarcali la donna era preposta alla
cura di tutti i suoi numerosi elementi).
La grandezza di Artemisia Gentileschi consiste nell’aver saputo far
fruttare il proprio talento riuscendo così a vincere questo rigidissimo
sistema sociale.
La figura di pittrice si è però spesso sovrapposta alla sua sofferta
vicenda privata, generando molte ambiguità di lettura.
La prima opera attribuita alla diciassettenne Artemisia è la
Susanna e i
vecchioni
. Per la critica è impossibile non associare la pressione su
Susanna da parte dei due Vecchioni, al complesso rapporto di Artemisia
con il padre e conAgostino Tassi, il pittore che nel maggio 1611 la stupra
e viene denunciato dal padre poiché dopo la violenza, non ha potuto
“rimediare” con un matrimonio riparatore (in quanto già sposato oltre
che impegnato in una relazione incestuosa con la sorella della moglie).
Del processo è rimasta esauriente testimonianza documentale, che
colpisce per la crudezza del resoconto di Artemisia (indubbiamente di
notevole impatto per la precisione dei dettagli)
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e per la violenza dei
metodi inquisitivi del tribunale.
La pittrice accetta infatti di deporre le accuse sotto tortura, la tortura
della Sibilla, in cui le dita vengono incordate fino a farle sanguinare.
Tortura doppia per lei che per necessità deve e vuole usare il pennello.
Dopo la conclusione del processo (lieve con-
danna del Tassi a otto mesi di cella e
archiviazione del caso) Orazio combina per
Artemisia un matrimonio con un modesto arti-
sta fiorentino, che serve a restituire alla donna,
violentata, ingannata e denigrata dal Tassi, uno
status
di sufficiente “onorabilità”.
La forza espressiva del linguaggio pittorico di
Artemisia si manifesta soprattutto quando i sog-
getti rappresentati sono le famose eroine bibliche,
che pare vogliano manifestare la ribellione alla
condizione in cui le condanna il loro sesso.
La
Giuditta che decapita Oloferne,
conserva-
to agli Uffizi, (analoga alla versione del
Caravaggio, conservata a Roma nella Galleria Nazionale di Arte Anti-
ca) impressionante per la tragicità della scena che raffigura, è stata
interpretata in chiave psicologica e psicoanalitica, come desiderio di
rivalsa rispetto alla violenza subita dal Tassi, o, più in generale, verso
le sopraffazioni subite a causa degli uomini.
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La vicenda dello stupro ha avuto grande influenza sulla lettura in
chiave femminista, data nella seconda metà del XX secolo, alla figura
di Artemisia Gentileschi. Tuttavia questa lettura “a senso unico” della
pittrice e della sua vita ha creato giusti malumori: per Camille Paglia, a
volte Artemisia è “
diventata un’etichetta da utilizzare
anacronisticamente per avanzare rivendicazioni infarcite di retori-
ca femminista
.”
Per Germane Greer “
dire che Artemisia Gentileschi fu la grande pit-
trice della guerra tra i sessi, è affermazione, di fatto, estremamente
riduttiva: un pittore con tanto talento come la Gentileschi non può
limitarsi a un messaggio ideologico
. “
Lo storico e critico d’arte Longhi ha espresso nei confronti diArtemisia
il seguente giudizio: «
l’unica donna in Italia che abbia mai saputo
che cosa sia pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità...».
La critica più recente ha quindi inteso dare una lettura meno riduttiva
della carriera di Artemisia, collocandola nel contesto dei diversi am-
bienti artistici che la pittrice frequentò, restituendo la figura di un’arti-
sta che lottò con determinazione, utilizzando le armi della sua persona-
lità e delle sue qualità artistiche, contro i pregiudizi che si esprimevano
nei confronti delle donne pittrici.
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Deposizione di Artemisia al processo per stupro del 1612:
“serrò la camera a chiave e […] mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto […]
avendo esso messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li
strappai i capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne.”
2
Nella lettura effettuata del dipinto Giuditta che decapita Oloferne il Longhi scriveva: «
Chi penserebbe infatti che sopra un lenzuolo studiato di candori e ombre
diacce degne d’un Vermeer a grandezza naturale, dovesse avvenire un macello così brutale ed efferato […] Ma - vien voglia di dire - ma questa è la donna terribile!
Una donna ha dipinto tutto questo?
»
e aggiungeva:
« ... che qui non v’è nulla di sadico, che anzi ciò che sorprende è l’impassibilità ferina di chi ha dipinto tutto questo ed è persino riescita a riscontrare che il sangue
sprizzando con violenza può ornare di due bordi di gocciole a volo lo zampillo centrale! Incredibile vi dico! Eppoi date per carità alla Signora Schiattesi - questo
è il nome coniugale di Artemisia - il tempo di scegliere l’elsa dello spadone che deve servire alla bisogna! Infine non vi pare che l’unico moto di Giuditta sia quello
di scostarsi al possibile perché il sangue non le brutti il completo novissimo di seta gialla? Pensiamo ad ogni modo che si tratta di un abito di casa Gentileschi, il
più fine guardaroba di sete del ‘600 europeo, dopo Van Dyck
»
(Roberto Longhi,
Gentileschi padre e figlia
, in “L’Arte”, 1916)