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NUMERO 203/204 - SETTEMBRE / DICEMBRE 2011
IL COMMERCIALISTA VENETO
giunto” (l’acquisizione di elementi obbiettivi a
“prova” del dolo specifico è doverosa e deve es-
sere effettuata dal Pubblico Ufficiale all’atto della
formalizzazione della denuncia penale - non rileva
il fatto che il PM avesse chiesto l’archiviazione
del procedimento per prescrizione);
-
CTP di Treviso la n. 112 del 02 dicembre
2010, che chiamata a decidere sulla legittimità del
raddoppio in caso di archiviazione del procedi-
mento penale, ha proceduto alla qualificazione
dell’atto di archiviazione verificando che le ra-
gioni risiedevano non già in una mera prescrizio-
ne ma nella circostanza che il fatto non costitui-
va reato e per tale motivo ha ritenuto non dimo-
strati i presupposti per l’obbligatorietà della de-
nuncia; nella stessa sentenza vi sono altri due
elementi di interesse, il primo teso a conferire alla
norma una
ratio
diversa da quella riportata nella
relazione governativa e nelle circolari, quasi ad
anticipare il tema ampiamente sviluppato nella
successiva sentenza della Corte Costituzione, ed
inoltre affrontando il tema dell’applicabilità o
meno del raddoppio anche ai soggetti legati alla
società accertata da rapporti fiscali di trasparen-
za, quali i soci (art. 5 o art. 115TUIR).Atal riguar-
do il giudice risolve la questione con
argomentazioni tanto semplici quanto
condivisibili, evidenziando che la natura sogget-
tiva del procedimento penale non può comporta-
re il trasferimento degli effetti a soggetti diversi
rispetto all’autore materiale nei confronti del qua-
le i soci sono legati da meri rapporti reddituali. La
Commissione infine ritiene che ci debba essere
stretta correlazione tra fatti penalmente rilevanti
e fatti posti alla base della rettifica reddituale,
non potendosi ampliare la rettifica a tutte le ope-
razioni fiscalmente rilevanti poste in essere nella
medesima annualità (la conclusione è
condivisibile ma limitata agli accertamenti ad
in-
nesco esterno
– mentre risulta forzata se applica-
ta alle verifiche compiute dallo stesso Ufficio
nell’ambito delle quali si materializzi la notizia di
reato);
-
CTP di Reggio Emilia del 04 ottobre 2010,
che pur riconoscendo al giudice il compito della
c.d.
“diagnosi postuma”, ha ritenuto sussistente
l’ipotesi di reato e dunque il raddoppio del termi-
ni non avendo il contribuente – ad opinione del
collegio – fornito indicazioni contrarie alla falsità
del documento fiscale utilizzato per la redazione
della dichiarazione annuale. La sentenza, per quel-
lo che si è potuto comprendere dal testo disponi-
bile, non ha preso in considerazione l’inversione
dell’onere della prova a carico dell’Ufficio, scari-
cando sul contribuente l’onere di dimostrare la
non falsità del documento fiscale utilizzato per la
redazione della dichiarazione annuale;
-
CTP di Massa Carrara del 17 febbraio
2011, la sentenza condiziona il raddoppio del ter-
mine alla semplice esistenza di una notizia di rea-
to; dalla lettura del testo della sentenza sembre-
rebbe non avanzata la richiesta pregiudiziale di
“diagnosi postuma” al giudice da parte del ricor-
rente;
-
CTP di Torino la 97/15/11 del 08 giugno
2011, che chiamata a decidere sulla legittimità del
raddoppio, ha ribadito che l’archiviazione per-
ché il fatto non costituisce reato, venendo meno
anche l’obbligo di denuncia penale in capo al
pubblico ufficiale, comporta la decadenza del-
l’avviso di accertamento (ancorché recente
Cassazione abbia sancito la legittimità del rad-
doppio a prescindere dalle sorti del procedimen-
to penale);
-
CTP di Milano la 231/40/11 del 26 settem-
bre 2011, chiamata a decidere sulla legittimità del
raddoppio, ripercorre il passo della sentenza del-
la Corte Costituzionale in tema di “prognosi po-
stuma” e del “
onus probandi
” in capo all’Ammi-
nistrazione Finanziaria. Nel caso di specie l’Uffi-
cio non aveva esibito l’atto di denuncia penale
né (soprattutto) era stato in grado di dimostrare
il dolo specifico in capo al contribuente. La sen-
tenza è condivisibile anche se l’assenza della
denuncia penale non è elemento sufficiente a
decidere sull’illegittimità del raddoppio, essen-
do invece determinante che l’Ufficio non sia sta-
to in grado di dimostrare l’esistenza dei presup-
posti oggettivi del reato tali da rendere obbligato
alla denuncia il P.U. (a pena di sanzione ex art.
326 c.p.p.).
In sintesi il quadro che emerge nell’ottica della
difesa del contribuente pare essere il seguente:
-
la difesa, nei motivi del ricorso, deve sem-
pre censurare l’operatività del raddoppio, rile-
vando, anche con il supporto di documentazio-
ne (vedi copia notizia di reato compilata con “mo-
dalità standard”), che non erano presenti gli estre-
mi per l’obbligo di denuncia;
-
sarà l’Ufficio a dimostrare che invece sus-
sistevano gli estremi per l’obbligo di inoltro della
denuncia (tale dimostrazione dovrebbe essere già
contenuta nell’atto di accertamento pena la de-
cadenza dell’atto per difetto di motivazione – si
pone anche il problema di coordinamento tra di-
versi organi nell’ipotesi in cui la verifica venga
materialmente svolta dalla G.D.F. e non dall’Uffi-
cio accertatore);
-
sicuramente l’inapplicabilità del raddop-
pio avrà maggior
appeal
in tutte quelle
fattispecie di accertamento che non comportano
automaticamente una responsabilità penale, come
ad esempio: “abuso del diritto”, “clausola
antielusiva” ex art. 37bis,
transfert pricing
, ac-
certamenti sintetici
alias
redditometro, ecc.
Conclusioni
Non è facile immaginare una coerente applicazio-
ne della norma sia in fase istruttoria da parte del-
l’Ufficio che in quella di verifica e controllo da
parte del Giudice Tributario. Si potranno verosi-
milmente verificare situazioni in cui l’Ufficio (o la
G.D.F.), storicamente abituato alla denuncia pe-
nale da “sopra soglia”, sia poco sensibile ad ar-
gomentare circa le ulteriori ragioni che hanno in-
dotto il funzionario a ritenere sussistenti le ipo-
tesi di reato; dall’altro il Giudice non sarà sempre
sensibile a distinguere, nella verifica dei presup-
posti per il raddoppio, tra sussistenza degli estre-
mi per l’obbligo di denuncia e accertamento del
reato (quest’ultimo estraneo alla competenza
dell’Ufficio).
In sintesi la sensazione è che lo strumento abbia
bisogno di un’ulteriore passaggio interpretativo
di ugual livello e che nelle more sia realistico im-
maginare che l’attività accertativa
extra time
si
debba limitare a quelle ipotesi ove la rilevanza
penale sia già acclarata e cioè nelle ipotesi frutto
della prima fase interpretativa (messe in secondo
piano dalla Consulta) che attualmente rappresen-
tano una sintesi equilibrata di tutela sia degli in-
teressi erariali che del contribuente.
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