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NUMERO 203/204 - SETTEMBRE / DICEMBRE 2011
IL COMMERCIALISTA VENETO
SEGUE A PAGINA 35
Gli strumenti di difesa e di
risanamento per uscire dalla crisi
DIRITTO FALLIMENTARE
EZIO BUSATO
Ordine di Padova
Le strategie, le azioni,
il ruolo dei professionisti,
l’esito dei nuovi istituti
giudiziari per
il salvataggio delle
imprese, il nuovo accordo
di ristrutturazione
del debito
per le imprese minori
La Storia
Il 14 settembre 2008 Lehman Brothers chiede la liqui-
dazione volontaria dopo aver cercato invano un acqui-
rente. Il giorno successivo 15 settembre, fallisce la
famosa Banca d’affari americana dopo circa 160 anni
di attività. Hanno fatto il giro del mondo le immagini
emblematiche dei dipendenti che escono dagli uffici
della Banca con i propri effetti personali.
Da quel giorno in poi lo “tsunami” della crisi finanzia-
ria ha investito, con effetto “domino”, non solo gli
Istituti di credito ed il mondo delle attività finanziarie,
ma anche l’economia reale globale e le imprese ne sono
state le prime vittime incolpevoli.
Una crisi sottovalutata nel 2007, hanno detto alcuni
noti economisti americani, perché nessuno immagina-
va il crollo dei “mutui subprime”, ossia di quei prestiti
concessi a famiglie di dubbia capacità economica per
acquistare una casa, che ha fatto scatenare la grande
insolvenza delle Banche e nessuno prevedeva lo “scop-
pio” anche dei “derivati”.
I primi segnali partono dagli USA nell’agosto del 2007,
quando schizzano i prezzi sui prodotti finanziari, come
le polizze impiegate dagli investitori per assicurarsi il
rischio di insolvenza di qualunque obbligazione (credit
default swap sui prestiti obbligazionari societari), crol-
lano i rendimenti dei titoli di stato ed ancheWall Street
subisce i primi scossoni. Alcune banche americane
chiedono l’accesso alla nota procedura fallimentare
statunitense del Chapter 11, altre congelano i rimborsi
dei fondi di investimento legati ai subprime.
Un vero disastro finanziario, la peggiore recessione
dagli anni Trenta, così è stata definita.
Gli effetti della crisi si sono ripercossi velocemente
anche in Europa e non sono passati anzi, ancora oggi i
conti economici delle imprese risentono delle riper-
cussioni negative prodotte dalla riduzione dei fatturati
e dei margini, dalla contrazione dei consumi, dall’au-
mento del costo delle materie prime, dalla restrizione
del credito, da problemi di liquidità. In sei mesi, a caval-
lo del 2008/2009, si è assistito ad una caduta vertiginosa
di tutti gli indicatori economici e finanziari.
La velocità
con la quale si sono manifestati i primi
segnali negativi della crisi ha trovato impreparati gli
imprenditori, che non hanno avuto modo di reagire
con tempestività alla crisi, adottando strumenti cor-
rettivi drastici ed immediati.
Da un recente rapporto Cerved del 2011, sui dati del
2010, l’andamento dei costi conferma che le imprese
hanno compiuto sforzi notevoli per il loro
contenimento. Dice il rapporto che è stata accertata
una certa crescita dei fatturati per le società di maggio-
ri dimensioni, le piccole imprese, invece, hanno diffi-
coltà all’accesso al credito e presentano risultati tali da
non rendere praticabile l’autofinanziamento.
Le aziende che maggiormente hanno avuto risultati
positivi sono quelle indirizzate all’esportazione, an-
che se tutta la fase di crisi ha rallentato le decisioni di
investimento, le aziende si sono sforzate di contenere
i costi adottando anche nuove strategie di fornitura,
sfruttando reti web o creando reti di impresa, ma que-
sto in minima parte. I dati ufficiali dicono che nel 2010
e nel 2011 si è assistito ad una timida ripresa dell’eco-
nomia (1% del PIL), grazie alle esportazioni in cresci-
ta ed agli investimenti in settori innovativi e creativi.
Cos’è la crisi e la sua
governance
Non esiste una definizione legislativa di “
crisi
”. Solo
l’art. 5 della legge fallimentare fa riferimento alla no-
zione di “insolvenza” ma non di crisi anche se in que-
sti ultimi anni la parola “crisi” è stata la più pronun-
ciata e scritta. Sotto il profilo aziendalistico, mi piace
riportare la definizione di crisi data dal Prof. Stefano
Garzella dell’Università Parthenope di Napoli, esper-
to in strategie, che dice: “
la crisi aziendale altro non è
se non la manifestazione di una grave disfunzionalità
operativa dovuta, in ultima analisi e per la gran parte
dei casi, alla carenza di valori e di idee, alla squilibra-
ta combinazione degli elementi del governo-
imprenditorialità e managerialità
”.
In pratica la crisi è una perdita del vantaggio competitivo
che l’azienda aveva nel mercato. In relazione alla gestio-
ne della crisi da parte degli organi di amministrazione
societaria, come ha affermato in un suo recente inter-
vento pubblicato sul Sole 24 Ore, la dott.ssa Cristina
Bauco, ricercatore IRDCEC (Istituto di Ricerca della
nostra categoria), sono
“assenti specifiche disposizioni
dedicate al comportamento degli organi di amministra-
zione nella delicata fase della crisi
”. È il tema della
governance
durante la crisi di impresa, non regolamentata
in Italia da alcuna norma o disposizione.
L’argomento trattato dalla ricercatrice è in linea con il
tema di questo intervento, in quanto riguarda le
metodologie ed i rimedi adottati dagli organi amministra-
tivi delle società nella scelta delle strategie dirette alla
definizione dei piani di risanamento ed alla individuazione
degli strumenti di difesa per uscire dalla crisi.
L’
ottica vincente
, si dice spesso,
è quella di valutare
la crisi non come “trauma” per la perdita di vantaggio
competitivo, ma come “
opportunità
” per un cambia-
mento drastico di rotta.
Gestire la crisi
vuol dire gestire l’emergenza, vuol
dire individuare i primi interventi da adottare con
banche, fornitori, clienti e maestranze, vuol dire
rivedere l’intero progetto imprenditoriale per po-
ter trovare una nuova dimensione strutturale e
produttiva, vuol dire individuare nuove strategie,
nuove opportunità di lavoro ed impiegare le risor-
se finanziarie ed umane adeguate
.
La
tempistica dell’intervento
rappresenta una delle
variabili più importanti per il successo di un
risanamento aziendale, sia in via giudiziaria che
extragiudiziaria.
L’importanza della prevenzione
Proprio in relazione alla tempistica di interven-
to
, al fine di evitare di arrivare ad uno stato di crisi
irreversibile, la
prevenzione
è sicuramente la prima
risposta da dare alla crisi d’impresa, quantomeno nel
momento in cui iniziano a manifestarsi i primi campa-
nelli d’allarme ed i primi segnali di criticità aziendale.
Ogni impresa ha caratteristiche differenti, il successo
o l’insuccesso di un progetto d’impresa dipendono da
diverse condizioni di equilibrio o disequilibrio econo-
mico–patrimoniale e finanziario.
Ogni azienda ha punti di forza e di debolezza, il loro
monitoraggio continuo e l’emersione di segnali di allerta
consente di prevenire stati di declino o di crisi.
Purtroppo manca in Italia la cultura della preven-
zione all’insolvenza delle imprese.
La fase di diagnosi
La fase di diagnosi rappresenta il primo step di un
processo di risanamento durante il quale vengono va-
lutate la capacità di sopravvivenza dell’azienda a bre-
ve ed a medio-lungo termine, la decisione se liquidare o
risanare l’impresa, ponendo a confronto costi o bene-
fici di entrambe le ipotesi, le cause del declino o della
crisi ed il suo livello. Gli strumenti fondamentali di
controllo in contesti di crisi ci sono, basta attivarli!
La
gestione
dell’impresa richiede strumenti efficaci
di
controllo
per poter prevenire stati di declino o di
crisi irreversibili. Meglio prevenire che curare, dicono
i medici! Vale lo stesso anche per un’azienda in crisi.
L’azienda può disporre di una serie di strumenti che,
se attivati per tempo, possono fornire tutte le indica-
zioni necessarie per la valutazione del suo stato di
salute. Mi riferisco alle analisi di bilancio e finanziarie,
alle analisi di settore e del mercato in cui opera l’im-
presa, al Rendiconto economico-patrimoniale e finan-
ziario, ai risultati ottenuti dall’adozione di un efficien-
te “
controllo di gestione
”.
Nuovi strumenti di difesa
Tra i nuovi strumenti di difesa e di risanamento per uscire
da uno stato di crisi che stanno avendo un certo successo,
si segnalano i “contratti di rete di impresa” (tema già
trattato nel nostro giornale n. 200 Marzo-Aprile 2011 a
pag. 8 e 36) ed il riacquisto dell’Azienda da parte dei
dipendenti, il cosiddetto “workers buy out”.
Contratto di Rete d’impresa
Il contratto di rete (art. 3 D.L. 5 del 10.02.2009 modi-
ficato dall’art. 42 della legge 122 del 30.07.2010) è un
accordo tra più imprese avente per obiettivo comune
lo sviluppo di sinergie, intese commerciali o produtti-
ve, al fine di accrescere individualmente e collettiva-
mente le proprie capacità innovative e la propria
competitività nel mercato. Non determina la nascita di
una nuova società.
Per il regolamento fiscale del nuovo istituto, dove sono
previste anche agevolazioni, l’Agenzia delle Entrate si
è espressa con le circolari n. 4/E del 5.02.2011 e n. 15/
E del 14.04.2011.
Anche sotto il profilo del credito, il contratto di rete è
agevolato dalla concessione di finanziamenti bancari a
tassi con spread ridotti fino al 30%.
Workers buy out
Il “workers buy out” è uno strumento per mantenere
in vita un avviamento, le forze lavoro, i marchi e bre-
vetti, pacchetto clienti, ecc, di un’azienda fallita, ma
anche per aziende ad un passo dalla chiusura.
È una tipologia di operazione diffusa soprattutto negli
USA, ma che si va affermando anche in Italia.
Prevede l’acquisto di una società in crisi realizzato dai
dipendenti dell’impresa target, costituiti il più delle
volte in forma di cooperativa, attraverso l’intervento
dei Fondi pensione ed il ricorso a fondi propri (riscat-
to mobilità). Il supporto finanziario può essere dato
anche da Banche, dal Ministero dello Sviluppo Eco-
nomico e da società commerciali terze.