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NUMERO 203/204 - SETTEMBRE / DICEMBRE 2011
IL COMMERCIALISTA VENETO
SEGUE DA PAGINA 23
L' interpello disapplicativo
D.Lgs. n. 546/1992, se il giudizio si instaura tra Am-
ministrazione e soggetto passivo
17
.
E qui – si tratta della seconda presa di posizione netta
della sentenza – i giudici procedono ad una
sussunzione diretta del diniego di disapplicazione nel-
la categoria degli atti autonomamente impugnabili, se-
guendo un percorso argomentativo logico ma, proba-
bilmente, viziato nei presupposti. Secondo la Supre-
ma Corte, il provvedimento di disapplicazione costi-
tuirebbe una deroga alla regola generale, consentita sol-
tanto per la determinata fattispecie documentata dal
singolo contribuente. E poiché un’agevolazione fisca-
le si definisce come
un trattamento preferenziale in
campo tributario condizionato alla esistenza di deter-
minati presupposti di fatto
, concedere all’istante di
non applicare la disposizione antielusiva costituireb-
be, per l’appunto, ipotesi di agevolazione fiscale
18
.
Negare la disapplicazione, di converso, integrerebbe la
fattispecie del diniego di agevolazione, individuato dalla
legge quale atto impugnabile
19
.
Orbene, se certamenteun’agevolazione fiscale si sostanzia
in un trattamento diverso rispetto a quello generale, di-
niego di disapplicazione e diniego di agevolazione non
possono essere equiparati: sotto il profilo ontologico,
non può sussistere piena coincidenza tra la rimozione di
un ostacolo posto dal legislatore per evitare un effetto
elusivo, stabilito nel contesto di norme sulla determina-
zione e la tassazione della ricchezza, e una condizione di
favore che prescinde in tutto o in parte dall’interesse
fiscale, in quanto posta a tutela di interessi diversi
20
.
Non possono quindi essere condivise le argomentazioni
della Corte in ordine a questo accostamento. Inoltre, si
ritiene necessario avvertire che tale assunto, se recepi-
to integralmente, potrebbe essere foriero di conseguenze
dirompenti sulle sorti dell’istante e, più in generale,
finirebbe per stravolgere l’essenza stessa dell’istituto.
L’assimilazione del diniego di disapplicazione al di-
niego di agevolazione, infatti, obbligherebbe l’applica-
zione al primo delle norme sostanziali e procedurali
previste per il secondo, in quanto normativamente
predeterminato: trattandosi di atto tipico ed autono-
mamente impugnabile, il diniego sarebbe suscettibile
di divenire definitivo se non tempestivamente conte-
stato. Pertanto, qualora al diniego non impugnato fa-
cesse seguito un comportamento non conforme del
contribuente, il successivo avviso di accertamento – o
il diniego di rimborso, in caso di adeguamento – sareb-
be a sua volta impugnabile, ma esclusivamente per
vizi suoi propri, essendosi consolidata la qualificazio-
ne di elusività delle operazioni poste in essere
21
. Det-
to diversamente, si configurerebbe un rapporto di
presupposizione tra responso ricevuto ed avviso di
accertamento, di talché la difesa contro l’atto succes-
sivo (l’avviso) resterebbe pregiudicata.
La parificazione del provvedimento di diniego al di-
niego di agevolazione, in sostanza, porta alla statuizione
dell’onere di impugnare che, a sua volta, potrebbe com-
portare la decadenza del diritto di agire. Insomma, lo
sforzo argomentativo dei giudici di legittimità, pure
apprezzabile perché per la prima volta, esplicitamen-
te
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, porta a dichiarare l’autonoma impugnabilità del
diniego di disapplicazione, conduce a conclusioni molto
problematiche e, peraltro, non condivisibili.
Fermo l’obiettivo di non ledere il diritto di difesa del-
l’istante, attraverso un percorso alternativo si può
giungere ad un diverso orientamento.
Proprio con riferimento all’interpello disapplicativo,
è opportuno rammentare che l’attenta ricostruzione
di una giurisprudenza di merito
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, sulla scorta dell’in-
dirizzo più volte espresso dalla Cassazione, aveva
valorizzato l’istituzione della categoria degli atti
fa-
coltativamente
impugnabili, ovvero quelli, ancorché
non elencati nell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, nei
confronti dei quali si ravvisa in capo al contribuente
un interesse (
ex
art. 100 c.p.c.) sufficientemente forte
da risultare meritevole di tutela immediata. In partico-
lare, in queste pronunce è stata ritenuta ammissibile la
facoltà di ricorrere al giudice tributario
“avverso tutti
gli atti adottati dall’ente impositore che, con
l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuri-
diche) che la sorreggono, porti, comunque, a cono-
scenza del contribuente una ben individuata pretesa
tributaria, senza necessità di attendere che la stessa,
ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adem-
pimento cui è “naturaliter” preordinato, si vesta della
forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espres-
samente impugnabili dall’articolo 19"
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. Inoltre, sono
stati qualificati come avvisi di accertamento o di liqui-
dazione di un tributo tutti quegli atti con i quali l’Am-
ministrazione comunica al contribuente una pretesa
tributaria ormai compiuta e definita, ancorché tale co-
municazione si concluda non con una formale intima-
zione al pagamento sorretta dalla prospettazione in
termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invi-
to “bonario” a versare quanto dovuto
25
.
Ebbene, a tale categoria dovrebbe appartenere il dinie-
go
de quo
, in quanto l’atto che scaturisce dal procedi-
mento amministrativo descritto possiede i requisiti
appena richiamati. In specie, la pretesa è
compiuta
perché nessun organo dell’Amministrazione può le-
gittimamente procedere ad un riesame dell’atto. Trat-
tandosi, come si è ricordato, di un provvedimento “de-
finitivo”, né l’organo gerarchicamente sovraordinato
(la Direzione centrale) né quello inferiore (Ufficio lo-
cale o Direzione provinciale) potranno disconoscere o
sostituire il diniego. E ciò, si badi bene, indipendente-
mente dall’atteggiamento dell’istante nei confronti del
responso. Inoltre, considerando la mancata
disapplicazione di un regime (quello delle società di
comodo), o la mancata deduzione integrale di un costo
(le spese promiscue), o la mancata possibilità di ripor-
tare una perdita, è evidente che il carico fiscale sia già
determinabile sin dalla dichiarazione relativa al perio-
do d’imposta corrente, e quindi sin dal versamento
delle imposte che ne deriva. E dunque non può che
essere
definita
la pretesa tributaria, laddove un atto
dell’Amministrazione – insindacabile in sede ammini-
strativa – contenga i criteri per la determinazione del
reddito con riferimento ad una componente, o addirittura
comporti la tassazione di un reddito “minimo”, non rea-
lizzato, da ottenersi applicando i parametri induttivi pro-
pri del regime delle società di comodo. Non riesce poi
difficile immaginare quale danno grave, irreparabile ed
attuale ciò provocherebbe all’equilibrio finanziario di una
società che, come sostiene, nel periodo d’imposta non ha
potuto ottenere ricavi. Insomma, anche se non nella mi-
sura esatta, la pretesa finisce per essere definita nelle
proprie modalità di determinazione.
Quanto appena esposto conduce ancora ad una consi-
derazione in ordine all’efficacia vincolante del diniego,
la cui sussistenza rappresenta a sua volta una condi-
zione per adire il giudice tributario. In dottrina è stato
sostenuto che si tratterebbe di un atto non espressivo
di un potere impositivo, in quanto sostanzialmente
interpretativo, la cui ricezione non comporterebbe ef-
fetti immediatamente lesivi nella sfera giuridica del
contribuente, libero di uniformarsi o meno al provve-
dimento, del quale pertanto si nega la vincolatività
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conformemente a quanto sostenuto dall’Agenzia delle
Entrate
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. In difetto di accoglimento, in altri termini, il
contribuente dovrebbe versare maggiori imposte, chie-
derne il rimborso e, solo successivamente, azionare il
contenzioso per ottenere la ripetizione di quanto in-
debitamente versato; ovvero, decidendo di non unifor-
marsi al provvedimento ricevuto, dovrebbe impugna-
re il (probabile) avviso di accertamento conseguente.
17
Si tratta dei limiti cd. interni della giurisdizione tributaria. L’elencazione di cui all’art. 19 cit. è tassativa; tuttavia, ogni atto indicato è suscettibile di interpretazione estensiva od
integrazione analogica, secondo una lettura che tenga conto della funzione ad esso assegnata. Cfr. G. Falsitta,
Manuale di diritto tributario
Parte generale
, Milano, 2010, pag. 576;
P. Russo,
L’ampliamento della giurisdizione tributaria e del novero degli atti impugnabili: riflessi sugli organi e sull’oggetto del processo
, in Rass. trib., 2009, pag. 1576, nota 59;
F. Batistoni Ferrara, B. Bellè,
Diritto tributario processuale,
Padova, 2009, pag. 43.
18
L’unica peculiarità rispetto all’ipotesi tipica di agevolazione fiscale si riscontrerebbe sul piano soggettivo-procedurale, essendo interlocutore la Direzione regionale delle Entrate
e non l’Ufficio locale.
19
Art. 19, comma 1, lett. h) del D.Lgs. n. 546/1992. Propendono per questa assimilazione L. Tosi,
Gli aspetti procedurali nell’applicazione delle norme antielusive
, in Corr. trib.,
2006, pag. 3126; F. Batistoni Ferrara, B. Bellè,
Diritto tributario processuale
, cit., pag. 45. Per la giurisprudenza si veda Comm. trib. prov. Bari, 2 dicembre 2010, n. 226.
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Ed è questa la principale ragione per cui i primi commentatori hanno individuato nella sentenza elementi di criticità. Si veda F. Tundo,
Impugnabile il diniego di disapplicazione
delle norme antielusive?
, in Corr. trib., 2011, pag. 1701.
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Testualmente: “la mancata impugnazione in termini di tale atto tipico comporta la intangibilità dello stesso, con esclusione di contestabilità successiva, ponendosi come fatto di
per sé preclusivo della pretesa del contribuente nell’ambito del giudizio sul rifiuto espresso o tacito di rimborso”.
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Invero Cass., sez. trib., 21 dicembre 2004, n. 23731, pronunciandosi su caso analogo aveva deciso “direttamente” la questione sottostante senza argomentare intorno all’autonoma
impugnabilità del diniego, avallandone implicitamente la configurabilità. Mai, tuttavia, il diniego era stato definito come “un atto recettizio di immediata rilevanza esterna”,
direttamente impugnabile innanzi alle Commissioni tributarie. Si vedano R. Lupi,
Riflessi processuali del diniego di disapplicazione di norme antielusive
, in Rass. trib., 2005, pag.
1708; D. Stevanato,
Quale tutela avverso il diniego di disapplicazione di norme antielusive?
, in Riv. giur. trib., 2005, pag. 349.
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Comm. trib. reg. Puglia, 11 maggio 2010, n. 71.
24
Cass., sez. trib., 8 ottobre 2007, n. 21045, in Riv. giur. trib., 2008, pag. 348, con nota di G. Tabet,
Verso la fine del principio di tipicità degli atti impugnabili?
, ed in Rass. Trib.,
2008, pag. 460, con nota di G. Randazzo,
“Avvisi bonari” ed esercizio informale di funzioni tributarie
.
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Cass., SS.UU., 24 luglio 2007, n. 16293 in Riv. giur. trib., 2008, pag. 317, con nota di G. Tabet,
Contro l’impugnabilità degli avvisi di pagamento della TARSU
; Cass., sez. trib.,
25 febbraio 2009, n. 4513; Cass., sez. trib., 17 dicembre 2010, n. 25591, in Riv. giur. trib., 2011, pag. 281, con nota di G. Tabet,
Diritto vivente e tutela anticipata nei confronti di
atti atipici.
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D. Stevanato,
Il diniego di disapplicazione delle norme antielusive: assenza di “efficacia preclusiva”
e superfluità di una tutela giurisdizionale
, in Dialoghi dir. trib., 2005, pag.
30; Id, Quale tutela, cit., pag. 350; F. Pistolesi,
Gli interpelli
, cit., pag. 94. Sostengono inoltre l’impossibilità di tutela immediata F. Tesauro,
Gli atti impugnabili e i limiti della
giurisdizione tributaria
, in Giust. trib., 2007, pag. 15; A. Baldassarre,
L’interpello tributario
, in Dir. prat. trib., 2008, I, pag. 1044; F. Tundo,
Impugnabile il diniego
, cit., pag. 1705.
La tesi opposta è proposta da G. Zoppini,
Lo strano caso
, cit., pag. 1033; L. Tosi,
Gli aspetti procedurali
, cit., pag. 3126; G.
Fransoni,
L’Agenzia delle Entrate illustra,
cit., pag. 1134; P. Russo,
L’ampliamento della giurisdizione
, cit., pag. 1578, nota 61; G. Falsitta,
Manuale di diritto tributario
, cit., pag.
226, nota 6. Infine, la competenza delle Commissioni tributarie nel solo contesto della tutela differita è stabilita in Cons. Stato, sez. IV, 26 gennaio 2009, n. 414: è stato affermato
che il giudice tributario ha il potere “non solo di disapplicare, ma anche di annullare, tutti gli atti non generali, che il contribuente abbia ritenuto di impugnare unitamente a un atto
rientrante nell’elencazione dell’art. 19, in quanto ne costituiscono il presupposto o l’antecedente logico-giuridico”; tuttavia, tale potere sarà “tempestivamente e a tempo debito”
attivabile contro “gli eventuali atti rientranti nella previsione dell’art. 19 D.Lgs. n. 549 del 1992, nei quali dovesse farsi applicazione delle disposizioni antielusive il cui esonero è
stato negato”.
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Da ultimo, nelle citate circolari 3 marzo 2009, n. 7/E e 14 giugno 2010, n. 32/E.
SEGUE A PAGINA 25