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NUMERO 203/204 - SETTEMBRE / DICEMBRE 2011
IL COMMERCIALISTA VENETO
brerebbe auspicabile. Tale ultimo orientamento
trova sicuramente il consenso di tutta la platea di
quei soggetti che abbiano impugnato un “atto
d’imposizione”, inteso nel suo significato più
vasto. Purtroppo però tale posizione non sembra
condivisibile. A tale conclusione induce anche il
collegamento alla disposizione di cui all’articolo
2 quinquies della L. 656/1994. Nonostante il rife-
rimento a “ciascun atto d’imposizione”, la giuri-
sprudenza di allora aveva risolto ogni
contenzioso affermando che la definizione riguar-
dava le liti pendenti su pretese creditorie del-
l’Amministrazione, ulteriori rispetto a quelle di-
scendenti dagli elementi indicati dallo stesso
contribuente per la determinazione dell’imposta,
alla luce della
ratio
propria di ogni disciplina di
definizione agevolata, cioè ridurre il contenzioso
con incassi immediati per l’Erario, anche se infe-
riori rispetto a quelli conseguibili proseguendo
le cause
12
. Con questa premessa pare impossibi-
le estendere il significato di “atto d’imposizione”
inserito nella disposizione in esame. Anzi, proba-
bilmente il legislatore con la locuzione “ogni al-
tro atto d’imposizione”, successivo ad “avvisi di
accertamento e provvedimenti di irrogazioni del-
le sanzioni”, intendeva proprio operare un colle-
gamento tra le espressioni, con il fine di limitare
l’ambito di definizione, confermando l’orienta-
mento univoco della giurisprudenza della Supre-
ma Corte in relazione alla precedente chiusura.
Un altro tema sollevato dalla dottrina, per argo-
mentare l’ampliamento dell’ambito di applicazio-
ne della nuova chiusura delle liti pendenti, è quel-
lo secondo il quale la disposizione, come fin’ora
interpretata, potrebbe essere passibile
d’incostituzionalità, per violazione dell’articolo
3
13
. Nulla di più sbagliato. Il condono è di per sé
in contrasto con i principi costituzionali di cui
agli articoli 3, 23 e 53, ma nella fattispecie in esa-
me, se l’interpretazione rimane quella originaria,
non si può parlare di discriminazione tra contri-
buenti. Sarebbe, piuttosto, stato discriminatorio
prevedere l’adesione alla definizione agevolata
in base alla denominazione dell’atto, ma una vol-
ta precisato il rilievo del contenuto sostanziale,
la disposizione può essere ritenuta al riparo da
questioni di legittimità. Probabilmente il legisla-
tore per evitare contenziosi, in un ambito in cui
una delle finalità è proprio quella di deflazionare
l’attività giudiziaria, doveva specificare quali
dovessero essere le caratteristiche degli atti per
poter rientrare nel novero di quelli definibili con
la sanatoria di cui all’articolo 16. Dal canto suo
l’Amministrazione Finanziaria ha cercato di chia-
rire l’oggetto di tale tipologia di condono in di-
verse Circolari. In particolare, la Circolare n. 12/E,
del 21 febbraio 2003, al paragrafo 11.3 ha definito
l’oggetto delle liti pendenti allo stesso modo del
legislatore: “avvisi di accertamento, provvedi-
menti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro
atto di imposizione”. La medesima Circolare, al
paragrafo 11.3.3, ha specificato che “non sono
definibili l’avviso di liquidazione, l’ingiunzione e
il ruolo, in considerazione della natura di tali atti,
non riconducibili nella categoria degli “atti
impositivi”, in quanto finalizzati alla mera liqui-
dazione e riscossione del tributo e degli acces-
sori”. Riguardo l’esclusione dal novero degli atti
definibili degli avvisi di liquidazione, la Circolare
stessa, ne offre la spiegazione: “Attengono a
procedimenti
che
non
prevedono
l’autoliquidazione dei tributi. Essi non presup-
pongono, di norma, operazioni di rettifica delle
dichiarazioni presentate dai contribuenti, ma si
limitano a trarre le necessarie conseguenze dai
dati in esse dichiarati”.
Ancora l’Amministrazione Finanziaria ha inseri-
to una deroga al principio espresso in preceden-
za asserendo che se gli atti menzionati assolvo-
no, oltre alle funzioni di liquidazione e di riscos-
sione, anche quella “impositiva”, possono rien-
trare tra le controversie definibili in base all’arti-
colo 16 della L. 289/2002. In definitiva, la legge
non menziona espressamente tali atti; e, dal can-
to suo, l’Amministrazione Finanziaria, nella più
volte citata Circolare, non inserisce, come aveva
fatto nel 1994
14
, in linea generale, tali liti nel novero
delle liti definibili “pendenti”; ma, successiva-
mente, prevede un’eccezione a tale principio nel
caso in cui assolvano una funzione di atti di “im-
posizione”. Tale concetto è stato rafforzato dalle
Circolari 3/E e 12/E, entrambe del 2003; quest’ul-
tima, al paragrafo 11.3.5, ha affermato che il ruolo
assolve alla funzione di provvedimento
impositivo nelle disposizioni previste dagli arti-
coli 36 bis e 36 ter del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54
bis del D.P.R. n. 633 del 1972; infatti, in questi
casi, si è in presenza di vere e proprie rettifiche di
dichiarazioni accompagnate da una maggiore pre-
tesa tributaria. Di conseguenza, non sono og-
getto di definibilità: gli atti con funzione di mera
liquidazione in quanto non esplicano una fun-
zione accertativa ma solo di riscossione (ad esem-
pio, le cartelle di pagamento notificate a seguito
di un precedente avviso di accertamento non im-
pugnato dal contribuente); gli atti da cui non
risultano maggiori imposte, ritenute e contributi;
gli atti relativi a tributi non erariali, quindi tributi
non gestiti dallo Stato e dall’Amministrazione
Finanziaria. Successivamente, l’Agenzia delle En-
trate, nella Circolare n. 22/E, del 28 aprile 2003, al
paragrafo 12.2, ha affermato che la cartella di pa-
gamento preceduta da un avviso di accertamen-
to non costituisce un “atto impositivo” ma un
atto di riscossione. Diversamente, se la cartella
di pagamento, pur preceduta da avviso di accer-
tamento, sia impugnata dal contribuente per in-
validità della notifica del relativo atto impositivo,
sempre che quest’ultimo non costituisca ogget-
to di distinto giudizio, la lite si può ritenere
definibile. Ancora, la medesima Circolare, al pa-
ragrafo 12.3, ha preso in esame la possibilità o
meno che l’avviso di liquidazione dell’imposta di
successione rientri tra gli “atti impositivi”; l’Uffi-
cio, secondo quanto disposto dall’articolo 33 del
D.Lgs. n. 346/90, deve liquidare l’imposta in base
a quanto dichiarato dall’erede. Ne consegue che
il relativo avviso di liquidazione non è definibile
perché determina il tributo secondo i dati dichia-
rati dal contribuente
15
, a meno che alcuni dati
non siano in contestazione. Tale orientamento
ministeriale sembra confermare quanto già affer-
mato in precedenza
16
inmerito alla definibilità delle
liti fiscali relative all’imposta sulle successioni
17
e donazioni, di registro, ipotecaria, catastale e
comunale dell’incremento degli immobili. Dopo
questa breve disamina si può asserire che la prassi
amministrativa, oltre ad essere coerente con quella
della sanatoria del 1994, è sempre stata in linea
con l’orientamento originario della giurispruden-
za e della dottrina. In definitiva, appare possibile
confermare che la “regola” generale, per indivi-
duare se un atto rientri o meno nel novero di
quelli definibili ex art. 16, debba prevedere l’esa-
me del contenuto impositivo.
Quindi, l’oggetto della definizione non deve es-
sere un mero atto di liquidazione, ma un atto che
contenga una indiscussa attività valutativa da
parte dell’Amministrazione.
2. Il “valore della lite”
Il contribuente che intenda definire la propria
posizione debitoria dovrà versare una somma
determinata in base al “valore della lite”. A tal
proposito, l’articolo 16, terzo comma lettera c),
della legge n. 289/2002, definisce il “valore della
lite” come “l’importo dell’imposta che ha forma-
to oggetto di contestazione in primo grado, al
netto degli interessi e delle eventuali sanzioni
collegate al tributo, anche se irrogate con sepa-
rato provvedimento”. Ne consegue che, qualora
il contribuente abbia parzialmente impugnato l’ac-
certamento, non opponendosi a una parte della
pretesa dell’Ufficio, il valore della lite corrispon-
de all’imposta in contestazione e non al com-
plessivo valore della maggiore imposta risultan-
te dall’avviso di accertamento. È altresì irrilevan-
te l’eventuale riunione di più giudizi, in quanto il
valore da considerare è sempre quello relativo
alla singola lite instaurata. La definizione ha per
oggetto il contenuto complessivo di ogni singo-
la controversia e il valore della lite deve essere
calcolato con riferimento al totale delle imposte
oggetto di contestazione in primo grado. È, quin-
di, possibile solo l’integrale definizione della lite
pendente e non anche la sua definizione parziale
limitatamente ad uno solo dei tributi accertati.
Se, quindi, la lite riguarda un avviso relativo sia
ad IRPEF che ad IRAP, non è possibile effettuare
una definizione parziale relativamente solo
all’IRPEF o all’IRAP, ma dovrà essere versata
una quota del totale delle imposte in contenzioso.
Solo le controversie relative all’INVIM, quan-
d’anche essa sia accertata con il medesimo atto
contestualmente all’imposta di registro, rappre-
sentano liti autonome, il cui valore è determinato
distintamente dalle altre imposte. Conseguente-
mente è possibile definire la lite relativa all’INVIM
e non quella concernente altre imposte ugual-
mente contestate con lo stesso atto.
12
Si veda la Sentenza della Corte di Cassazione, Sez. trib., del 19 dicembre 2000, n. 15933, in Corriere Tributario, n. 3/2001, pp. 273 e ss.
13
Si veda MARONGIU G.,
Cartelle e ruoli nella lata nozione di lite pendente “condonabile”
, in Rassegna Tributaria, n. 5/2003, pp. 1763 e ss.
14
Infatti, con la Circolare n. 197/E del 30 novembre 1994, in www.agenziaentrate.it, l’Amministrazione dichiarava: “Sono considerati atti di imposizione anche l’avviso di
liquidazione, l’ingiunzione e il ruolo nei casi in cui costituiscono il primo atto che manifesta la pretesa impositiva”.
15
Si veda la Sentenza della Corte di Cassazione del 18 dicembre 2002, n. 18046, in www.agenziaentrate.it.
16
Si vedano le Circolari n. 190/E, del 4 luglio 1997, in www.agenziaentrate.it e 197/E, del 30 novembre 1994, cit., paragrafi 1.2.2 e 1.4.1.
17
La Circolare n. 22/E, del 28 aprile 2003, cit., al paragrafo 12.3, ha preso in esame la possibilità o meno che l’avviso di liquidazione dell’imposta di successione rientri tra gli
“atti impositivi”: l’Ufficio, secondo quanto disposto dall’articolo 33 del D.Lgs. n. 346/1990, deve liquidare l’imposta in base a quanto dichiarato dall’erede; ne consegue che il
relativo avviso di liquidazione non è definibile perché determina il tributo secondo i dati dichiarati dal contribuente, a meno che alcuni dati non siano in contestazione.
18
Il diniego di definizione può avvenire per irregolarità della domanda di definizione o per omesso integrale pagamento di quanto dovuto.
SEGUE DA PAGINA 19
SEGUE A PAGINA 21
Definizione liti pendenti