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NUMERO 202 - LUGLIO / AGOSTO 2011
IL COMMERCIALISTA VENETO
nella relazione di accompagnamento al decreto
legislativo, dove è chiarito che “
[…] piuttosto
che sancire un generico dovere di vigilanza e
di controllo dell’ente sulla falsariga di quanto
disposto dalla delega […], si è preferito allora
riempire tale dovere di specifici contenuti: a
tale scopo un modello assai utile è stato fornito
dai Compliance Programs, da tempo funzionanti
negli Stati Uniti
”.
Sull’opportunità di tale scelta da parte del legi-
slatore italiano emergono però evidenti «zone
d’ombra», in quanto la realtà economica statuni-
tense ha pochi e scarsi punti di contatto con
quella italiana.
Mentre negli Stati Uniti la rilevante presenza di
aziende di grandi dimensioni a proprietà molto
frazionata e la conseguente asimmetria di inte-
ressi tra azionisti e
manager
impone ai primi, per
limitare il rischio dell’opportunismo dei secondi,
di investire sul controllo del
management
, anche
attraverso i modelli organizzativi, in Italia invece
si ha un quadro completamente differente, dove
l’«asse portante» è rappresentato dalle piccole e
medie imprese che si caratterizzano per la
tendenziale sovrapposizione tra proprietà e con-
trollo e per un modello di
governance
general-
mente imperniato sull’imprenditore fondatore.
In altri termini, mancano totalmente i presuppo-
sti che hanno generato, negli Stati Uniti, l’assi-
dua adozione dei modelli organizzativi, con risul-
tati, tra l’altro, pressoché fallimentari
3
.
Per quanto concerne le finalità dei modelli orga-
nizzativi, questi devono, in particolare, rispon-
dere alle seguenti esigenze
4
:
– individuare le attività nel cui ambito pos-
sono essere commessi reati (in sostanza, si trat-
terà di analizzare le singole attività aziendali al
fine di individuare quelle maggiormente rilevanti
rispetto alle tipologie di reato previste);
– prevedere specifici protocolli diretti a pro-
grammare la formazione e l’attuazione delle deci-
sioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire
(in sostanza, si tratterà di redigere un chiaro co-
dice di comportamento interno che fissi le linee
di orientamento generale nell’ambito delle quali
dovranno svolgersi le attività aziendali);
– individuare modalità di gestione delle ri-
sorse finanziarie idonee ad impedire la commissio-
ne di reati (ad esempio, attraverso il controllo delle
modalità di pagamento, dei flussi finanziari, ecc.);
– prevedere obblighi di informazione nei con-
fronti dell’organismodeputatoavigilare sul funziona-
mentoe l’osservanzadeimodelli (il c.d.Organismodi
Vigilanza di cui ci occuperemo dettagliatamente in al-
tra parte del presente elaborato);
– introdurre un sistema disciplinare idoneo
a sanzionare il mancato rispetto delle misure in-
dicate nel Modello.
Da quanto appena enunciato, si evince una chia-
ra indicazione proveniente dal legislatore, il qua-
le, tuttavia, era ben consapevole dell’incapacità
di predefinire a livello legislativo il contenuto dei
modelli organizzativi, alla luce dell’ampia etero-
geneità delle società destinatarie.
L’art. 6, comma 3, prevede, infatti, che i modelli in
esame possano essere impiegati - sempre che
assicurino le esigenze dapprima suindicate - an-
che “
sulla base di codici di comportamento re-
datti dalle associazioni rappresentative
5
degli
enti, comunicate al Ministero della Giustizia
che, di concerto con i Ministri competenti, può
formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla
idoneità dei modelli a prevenire i reati
6
”.
L’obiettivo è quello di promuovere già all’inter-
no delle associazioni interessate il culto dell’os-
servanza scrupolosa della legge, nonché la for-
mazione di codici tecnicamente strutturati me-
diante i quali consegnare un valido punto di rife-
rimento ai soggetti interessati.
Il tutto è poi oggetto di una successiva verifica
da parte del Ministero della Giustizia al fine di
impedire che siano adottati codici di comporta-
mento unicamente formali o, comunque, inidonei,
fermo restando che il giudizio finale sulla corret-
ta rispondenza dei modelli ai requisiti dettati dal
Decreto spetta sempre e comunque al giudice,
non avendo la valutazione fatta dal Ministero
valenza esimente.
Il quadro, alla luce di quanto finora asserito, si
presenta come segue: il giudice ha il potere di
compiere un’indipendente valutazione di
congruità (ad esempio, attraverso un controllo
accurato delle prassi operative, delle deleghe di
funzioni, degli organigrammi, ecc.) in assoluto, e
cioè anche allorquando i modelli organizzativi
siano stati attuati nel rispetto dei principi dettati
dal legislatore e abbiano avuto anche il succes-
sivo benestare del Ministero
7
.
Bisognerà ad ogni modo verificare se davvero “
i
giudici useranno il potere di disapplicare il c.d.
“bollino doc” rilasciato dal Ministero della
Giustizia a quei modelli organizzativi
conformi
ai “codici etici” elaborati dalle varie Associa-
zioni”
e, nel caso, “
con quale severità e con
quale approfondimento
8
.
A livello operativo, varie sono le indicazioni che
provengono dalla giurisprudenza in materia di
modello organizzativo, le quali possono essere
distinte tra enunciazioni di principi di carattere
generale ed enunciazioni di principi di carattere
prettamente operativo.
Con riferimento alle
prime
, la giurisprudenza af-
ferma che:
– il Modello deve essere costruito, secondo
la specifica realtà aziendale, individuando le attività
nel cui ambito possono essere commessi reati non-
ché le possibili modalità attuative dello stesso.
In particolare, per individuare le attività nel cui
ambito possono essere commessi reati, occorre
individuare i momenti di vita della società che
devono poi essere parcellizzati e
procedimentalizzati per poter essere adeguata-
mente controllati
9
;
– il Modello per essere idoneo a prevenire i
reati ed efficacemente attuato deve essere:
spe-
cifico,
in relazione all’ente e alla sua storia non-
ché al settore ove il reato è stato compiuto;
effet-
tivo,
nel senso che è necessaria un’attività di
formazione del personale e la previsione di un
sistema disciplinare per la sua inosservanza;
di-
namico,
nel senso che esso deve evolvere in
relazione ai cambiamenti, che devono essere per-
cepiti attraverso un sistema di monitoraggio
10
.
Con riferimento alle
seconde
, vi sono state pro-
nunce:
– che hanno ritenuto non idoneo il Modello
che non poneva attenzione all’area dei subappalti
ove esisteva il rischio di creazione di subappalti
per precostituire costi a bilancio fittizi
11
;
– che hanno affermato che il Modello deve
porre attenzione ai meccanismi di creazione dei
fondi extracontabili, alle modalità di redazione dei
bilanci, alle fatturazioni infragruppo
12
;
– che hanno ritenuto non idoneo il Model-
lo che non prevedeva strumenti idonei ad indivi-
duare gli elementi sintomatici della commissione
degli illeciti, quali la presenza di conti correnti
riservati all’estero
13
.
Concludendo, alla domanda “
D.Lgs. n. 231/2001.
Un quesito risolto?
” si può rispondere che è
indubbio che ci si trovi in presenza di un provve-
dimento di grande complessità e di non facile at-
tuazione sia per le imprese che per i magistrati
inquirenti, che soltanto nella pratica giornaliera tro-
verà un auspicato e definitivo punto di equilibrio.
3
In argomento, si veda la riflessione di Assumma B. (a cura di),
Principi e fondamenti della responsabilità amministrativa degli enti
, Atti del Convegno Lido di Ostia del 9
dicembre 2002, in www.gdf.it, consultato nel mese di Settembre 2009, pag. 10, secondo il quale “se la nostra imprenditoria italiana vuole rifarsi ai modelli già sperimentati negli
Stati Uniti dovrà fare, necessariamente, i conti con l’insuccesso che negli USA hanno avuto questi modelli organizzativi. Quelle aziende avevano sistemi di controllo molto
articolati – gli americani hanno nella loro cultura d’azienda la cultura del controllo interno -, ma i risultati che abbiamo visto nelle vicende che hanno caratterizzato gli ultimi
due anni alla borsa americana [si noti l’attualità di questa riflessione fatta nel 2003 ma che potrebbe rispecchiare, senza dubbio, l’attuale situazione economica mondiale] ci
dicono che in realtà, probabilmente, queste strutture e queste forme di controllo interno non sono poi così efficaci“.
4
V. per tutti Pettinato S.,
I modelli organizzativi e di gestione del D. Lgs. n. 231/2001 e la responsabilità legale delle società e degli enti per i reati commessi dai loro
appartenenti
, in Il Fisco, 2005, pag. 3480 ss.
5
Tra i primi, le Linee guida elaborate da Confindustria, emanate il 7 marzo 2002, con successiva Appendice del 3 ottobre 2002, verificate dal Ministero nel dicembre 2003 e
aggiornate il 18 maggio 2004, rappresentanti il prototipo nella costruzione dei modelli da parte di numerose imprese associate.
Altre Linee guida presentano caratteri peculiari per specifici settori, come ad esempio quelle dell’ABI del febbraio 2004, destinate agli istituti bancari oppure quelle predisposte
da Assobiomedica del febbraio 2003 che abbraccia il settore della diagnostica, del biomedicale e della telemedicina.
6
All’interno del Ministero della Giustizia è stato costituito un gruppo di lavoro cui fanno parte magistrati addetti all’Ufficio Legislativo ed alla direzione Generale della Giustizia,
che sta affrontando le numerose problematiche che via via si propongono, tra le quali, innanzitutto, la necessità di determinare l’ufficio competente a formulare le eventuali
osservazioni sui codici di comportamento presentati dalle varie associazioni di categoria. Problematica che si sta risolvendo nel senso di ritenere competente la Direzione
Generale della Giustizia Penale. Sul punto si rimanda a Pioletti A.,
Principi e fondamenti della responsabilità amministrativa degli enti
, Atti del Convegno Lido di Ostia del 9
dicembre 2002, in www.gdf.it, consultato nel mese di settembre 2009, pag. 93-94.
7
Si rinvia ad Presutti A., Bernasconi A., Fiorio C.,
La responsabilità degli enti
, Padova, 2008, pag. 109 ss.
8
Si rinvia a Barbuto M.,
Responsabilità amministrativa della società per reati commessi a suo vantaggio
. È in vigore dal 4 luglio 2001 il D. Lgs. n. 231 del 2001, in
www.deaprofessionale.it. Di parere diverso Orsi L. (a cura di),
Principi e fondamenti della responsabilità amministrativa degli enti
, Atti del Convegno Lido di Ostia del 9
dicembre 2002, in www.gdf.it, pag. 47, secondo cui il potere di approvazione dei vari codici etici da parte del Ministero della giustizia, “dà il senso della defocalizzazione, della
nebbiosità di questa struttura normativa. Perché? Innanzitutto il codice di comportamento, predisposto da un’associazione, riguarda una serie indeterminata di imprese, e quindi
non può avere mai attinenza con la specifica realtà di una singola impresa. In secondo luogo l’avallo del Ministro, o dei Ministri competenti, non conferma nulla: è un
flatus vocis
,
un po’ d’inchiostro su un foglio di carta”.
9
Si veda Trib. di Milano, ordinanza del G.i.p del 20 settembre 2004, consultabile nella banca dati “Juris Data”, in www.jurisdata.it.
10
Si veda Trib. di Roma, ordinanza del G.i.p. del 4 – 14 aprile 2003, consultabile nella banca dati “Juris Data”, in www.jurisdata.it.
11
Ibidem.
12
Si veda Trib. di Milano, ordinanza del G.i.p del 20 settembre 2004, consultabile nella banca dati “Juris Data”, in www.jurisdata.it.
13
Si veda Trib. di Milano, ordinanza del 28 ottobre 2004, consultabile nella banca dati “Juris Data”, in www.jurisdata.it.
Il D. Lgs. 231/2001
SEGUE DA PAGINA 21