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NUMERO 201 - MAGGIO / GIUGNOO 2011
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IL COMMERCIALISTA VENETO
semplicità) prima dell’inizio dei nostri ragionamenti e il secondo rapporto denota il
rapporto tra la variazione del tasso di inflazione e il tasso di interesse nominale
[dato dal tasso reale “r” e dal tasso di inflazione atteso – il suffisso “e” in apice lo
denota] .
Decollo degli effetti (e concause)
Bisogna tener conto, giunta l’analisi a questo punto, dei maggiori oneri per interessi
passivi che lo Stato deve sopportare per rendere “appetibili” i bonds di nuova
emissione (è vero che si sono ipotizzati, per semplicità, “zero coupon bonds”, ma
in sostanza le considerazioni non cambiano: nel computo di S si sono considerati
solo i “zero coupon bonds” solo per evitare di attualizzare le cedole).
Ciò si traduce nel riconoscimento di un premio per il rischio (analogamente a
quanto avvenne in Argentina prima dello storico default).
Ma supponiamo per ora che il tasso di interesse nominali si accresca in risposta allo
stimolo inflazionistico nella stessa entità di quest’ultimo.
Così facendo, accanto all’effetto negativo di deprezzamento del corso (valore) dei
bonds pubblici italiani si associa anche un ulteriore effetto (tendente a coincidere
con la variazione del tasso di inflazione) sotteso alla remunerazione più cara della
resa dei titoli di Stato.
Abbiamo quindi identificato un secondo meccanismo operativo di preoccupazione,
legato alla lievitazione dei tassi (prevalenti nello Stato in difficoltà).
A questo punto si pone un altro effetto, moltiplicativo e non additivo, legato alla
perdita di gettito fiscale (e quindi di allargamento del deficit in conto partite correnti).
La svalutazione del valore (corso) dei bonds italiani, associata ad un innalzamento
del livello del deficit dello Stato, comporta ora una contrazione delle entrate fiscali
in misura corrispondente all’aliquota d’imposta “t” e ciò comporta, come in un
circolo vizioso, l’emersione di nuove ulteriori svalutazioni.
In pratica la perdita di gettito per il sistema è pari a t[(S+ p
e
)/(1-t)].
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Questo effetto, come si diceva sopra, è di carattere moltiplicativo e non additivo;
pertanto, come vedremo in prosieguo, tende ad amplificare la portata della
problematicità riscontrata.
Accanto a tale effetto moltiplicativo se ne combina un altro (avente la medesima
natura) che è riconducibile al fatto che i primi due addendi (moltiplicati per l’effetto
tassazione) devono essere moltiplicati di nuovo per l’effetto ulteriore di deprezza-
mento dei corsi dei bonds pubblici italiani.
Infatti, ogni volta che si aggrava il deficit dello Stato, la Banca d’Italia [in quanto,
per ipotesi, gli altri risparmiatori istituzionali o privati (italiani) si rifiutano di
acquistare i bonds italiani], dovendo intervenire (sempre per assunzione) sul mer-
Pericolo d'insolvenza di Stato membro / Un'ipotesi Italia
cato per acquistarli/ritirarli, di fatto ingenera un meccanismo di alimentazione di
ulteriore inflazione dovuto alla espansione della base monetaria, in quanto si assu-
me che l’economia reale cresca in misura prossima allo zero.
Ponendo, per fissare le idee, a mò di semplificazione e senza perdita di generalità
“VA” (cioè il valore attuale dei bonds all’inizio delle nostre valutazioni) pari ad “1”,
giungiamo alla determinazione di questo secondo moltiplicatore in misura pari a
(circa, approssimando i dati per non tediare il lettore) Äp
e
/4.
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Da tutto quanto precede discende che l’effetto (diretto + indiretto) della svaluta-
zione indotta del debito pubblico diviene pari a:
[
]
[
] [
]
4/11 ) 1/( 1 )
1/(
+× − +× ++ Δ+ Δ
t
t
p r
p p
e
e
e
a
b
c
Gli effetti moltiplicativi rappresentati dalla catena moltiplicativa “a” e “b” sono
pari, rispettivamente, all’incirca 1,4 e 1,25.
Questo significa, a titolo esemplificativo, che, verificandosi un primo incremento
nel tasso di inflazione pari al 2% (che in base all’espressione contenuta in “a” si
raddoppia all’incirca), l’effetto amplificativo (forze “b” e “c”) lo porterebbe ad un
livello pari al
7%
! (infatti, il dato fra parentesi del fattore “a” approssima circa due
volte la variazione del tasso di inflazione iniziale). Si comprende bene che, anziché
il 2%, se il tasso di inflazione fosse pari al 5%, l’effetto amplificativo porterebbe un
tasso finale di variazione dei prezzi pari a quasi il 17,5%. La cosa ha un impatto
possente.
Si comprende, di conseguenza, in via intuitiva, il danno che la collettività deve
sopportare a causa degli effetti di “feed-back” che sono stati esplicitati dall’ispe-
zione, in termini molto semplificati, dello schema operativo introdotto.
Il tutto, si badi, senza tener conto degli aspetti legati all’adattamento dei redditi al
processo di inflazione (adattamento che, se fosse perfettamente speculare) com-
porterebbe un aggravamento ulteriore del deficit dello Stato, dato che i costi dei
fattori della produzione impiegati dal settore privato (il lavoro è il più importante)
tende ad espandersi a quello pubblico, pur essendo (notoriamente) il livello di
produttività di quest’ultimo più basso.
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Riassunto dei risultati
Presentiamo di seguito il riassunto dei risultati della discussione, per via intuitiva
(prospetti di quadratura di bilancio).
R ie sp o s iz io n e ag g reg a ta d e l co n to e co n om ico "n a z io n a le "
C o s t i
R ic a v i
W I S a la r i c o r r is p o s t i d a im p re s e p r iva te (
n e t t i d i im p o s ta
)
R R ic a v i d e lle im p re s e
I i
In te re s s i c o r r is p o s t i d a im p re s e p r iva te (
n e t t i d i im po s ta
)
P P ro f it t i d e lle im p re s e p r iva te (
n e t t i d i im p o s ta
)
W P S a la r i c o r r is p o s t i d a l s e t to re p u b b lic o (
n e t t i d i im p o s ta
)
G S p e s a p u b b lic a
Ip In te re s s i c o r r is p o s t i d a l s e t to re p u b b lic o (
n e t t i d i im p o s ta
)
T T a s s a z io n e (d ire t ta )
P s a rà m a g g io re d i ze ro ;
G - W P - Ip - T s a rà m in o re d i ze ro e c o in c id e rà c o n l'in c rem e n to d e l d e b ito p u b b lic o
(a f ro n te d e l d e f ic it d e lle p a r t ite c o r re n t i) .
(a lla lu c e d e i ra g io n am e n t i in p re c e d e n za c o n d o t t i)
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Si tratta di un percorso di calcolo identico a quello esposto alla precedente nota. Il valore preciso e puntuale sarebbe pari a
1 )
1(
2
− ++
Δ
e
e
p r
p
,
da cui, sviluppando il denominatore e trascurando i termini infinitesimali si addiviene a
) 2 2(
e
e
p r
p
+
Δ
.
Assumendo che il tasso reale di interesse sia all’incirca pari al tasso di inflazione (ipotesi ragionevole), si ottiene per l’appunto circa il ¼ che è stato inserito nella relazione del
testo cui si riferisce la presente nota.
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Questa relazione si dimostra, in maniera abbastanza agevole, ponendo mente al fatto che si innesca ancora una volta un meccanismo perverso in forza del quale a fronte
di un predeterminato deficit e svalutazione dei titoli le entrate tributarie diminuiranno per effetto della contrazione della base imponibile delle imprese (e degli organismi
privati nonché delle persone fisiche che dovessero cedere i bonds generanti nei loro confronti minusvalenze compensabili con plusvalenze fuori dal reddito di impresa).
Ad ogni predeterminato deficit si aggiunge un importo inferiore al primo in misura pari all’aliquota d’imposta vigente e così, avanti fino al termine del processo iterativo.
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E’ famosissimo, a questo proposito, il risultato del modello di W. Baumol (
Macroeconomics of unbalanced Growth: The Anatomy of Urban Crisis
, in American
Economic Review, 57, 1967, pp. 415-426, disponibile sul Web), secondo il quale il sistema soffre di un “gap” crescente fra i livelli di produttività che il settore privato
consegue e quello del settore pubblico; le remunerazioni dei fattori produttivi impiegati in tali settori, al contrario, crescono ad un tasso tendenzialmente uniforme e ciò
contribuisce a spiegare i crescenti livelli dei deficit pubblici degli Stati occidentali a partire dal secolo ventesimo.
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