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NUMERO 200 - MARZO / APRILE 2011
IL COMMERCIALISTA VENETO
IL COMMERCIALISTA E L'ORGANIZZAZIONE
L'innovazione negli studi
di minore dimensione
DA PAGINA 29
primo luogo, i professionisti e i collaboratori e dipendenti degli studi non
vogliono gestire né farsi gestire. Sia per indole loro che per frequente
abdicazione dei titolari si tende all’anarchia. In secondo luogo, le pressioni
dei clienti sui tempi di delivery tendono a ridurre la perseveranza nel perse-
guire ogni forma di cambiamento organizzativo. Anche dove si comincia
bene, non si persevera abbastanza. Il fatto che in molti studi non viene
fatta nessuna formazione oppure si pratica l’abdicazione totale a favore
della formazione esterna e dei consulenti possono costituire ulteriori osta-
coli all’effettiva attuazione delle innovazioni desiderate.
A questo proposito, sembra che ci sia un ruolo importante nel promuovere
l’innovazione per le associazioni sindacali e gli ordini soprattutto nella
formazione di una cultura imprenditoriale negli studi professionali di minori
dimensioni e una consapevolezza circa le nuove tendenze e i modelli che si
possono utilizzare. Gli Ordini professionali, peraltro, sembrano essere ge-
neralmente molto cauti nel sostenere gli studi professionali di minori di-
mensioni dal punto di vista strutturale. Da un lato hanno sempre sottova-
lutato l’importanza di ritagliarsi un ruolo aggiuntivo nella valutazione e la
certificazione dei requisiti organizzativi delle attività professionali, dall’al-
tro lato vedono il management e il marketing come forme di vantaggio
competitivo e quindi hanno timore di essere tacciati di alterare la struttura
del mercato. Possiamo anche vedere un mercato potenziale di servizi in
outsourcing per studi professionali di minori dimensioni, che devono po-
ter garantire alla loro clientela prestazioni paragonabili per ampiezza di por-
tafoglio e qualità a quelle degli altri competitors. Questi possono includere
processi di de-localizzazione, la messa a disposizione di personale tempo-
raneo, il noleggio temporaneo di attrezzature, la commercializzazione di
procedure e modelli pronti all’uso, le prestazioni di consulenza ai consu-
lenti, head hunting, la concessione in licenza di nuovi servizi, il franchising
e altre forme più flessibili di coordinamento quali i network.
Esiste poi l’effetto Macallan. Come la famosa botte della pubblicità del
whisky si negava alla bottiglia, in quanto non si sentiva ancora pronta,
così nei nostri studi sembra non giungere mai il momento giusto di iniziare
un processo di cambiamento. Chiamerò il consulente per fare le procedure
di studio ma non ora perché è maggio ed ho due ragazze che vanno in
maternità. Beh, razionalmente le procedure e i modelli dovrebbero servire
proprio per affrontare serenamente questi avvicendamenti. Altrimenti è
come aspettare di stare bene per chiamare il medico. O sentirsi in dovere di
mettere a posto la casa prima che arrivino gli operai per ristrutturarla. Rin-
viare di un anno significa perdere nel frattempo molto tempo, molti soldi e
assumersi molti rischi inutili, ma per il professionista il tempo non sembra
essere così importante.
No alpitour?
Esistono oggi molti qualificati esperti di consulenza ai consu-
lenti. Si contano almeno una decina di operatori sul territorio nazionale
dotati di credibilità ed esperienza casistica di tutto rispetto. Eppure gli studi
che vi fanno ricorso sono ancora una ristretta elite. Non perché i nomi e
cognomi di questi esperti non siano noti. Nemmeno per problemi di costo,
visto che molti interventi sono poco invasivi e sono spesso almeno parzial-
mente finanziabili con i fondi professionali o con le leggi regionali. Più
spesso purtroppo, c’è un socio su quattro che pone il veto e tutto il proget-
to va a farsi benedire. Anche per chi volesse fare da sé il Consiglio Naziona-
le e le ormai molte Commissioni Organizzazione e Informatica degli Ordini
locali mettono oggi a disposizione una gamma molto ampia di strumenti,
che sono stati completati con le meravigliose linee guida dell’IFAC. Gli
strumenti dunque ci sono, per tutte le tasche e tutte le necessità, ma manca
ancora caparbiamente la volontà di utilizzarli. Sovente anziché i titolari sono
i dipendenti chiave dello studio a influenzare le scelte gestionali importanti,
vedi il software di studio, mentre una visione laica del conflitto di interesse
spingerebbe a ritenere che non sempre siano orientati a favore di una mag-
giore efficienza.
Almeno una radiografia…
Un lavoro che tutti dovrebbero fare è mappare
i processi dello studio, cioè scrivere almeno succintamente le procedure
per lo svolgimento delle principali attività. Questo lavoro ha una utilità
netta manifesta e misurabile in quanto permette tra l’altro di stabilire i con-
trolli necessari e sufficienti a ridurre i rischi professionali, di analizzare ed
equalizzare i carichi di lavoro, di rilevare i costi medi delle prestazioni ricor-
renti, di pianificare e gestire la produzione in modo efficace ed efficiente.
Generalmente un intervento del genere si paga da sé con la riduzione delle
sanzioni e figuracce a carico dello studio che ingenera negli anni successi-
vi. Mentre noi parliamo di queste cose ad ogni occasione e con ogni mezzo
di diffusione da ormai dieci anni, c’è già chi ha tesaurizzato un vantaggio
competitivo notevole sul piano organizzativo e oggi lavora con strumenti
enormemente più avanzati. E’ un successo più che meritato.
Conclusioni
In conclusione l’innovazione è possibile in studi professio-
nali di minori dimensioni ed è certo che sia di grande beneficio, ma c’è poco
spazio per interventi massicci o costosi, in quanto le risorse tendono ad
essere scarse e, come abbiamo visto, vi sono notevoli ulteriori vincoli al
cambiamento, per lo più auto imposti dai professionisti a se stessi. Pertan-
to, gli studi professionali di minori dimensioni devono essere innanzitutto
coraggiosi nel gettare il cuore oltre l’ostacolo e poi creativi nello scegliere
con cura gli strumenti ad alta leva finanziaria, al fine di pianificare e gestire
una quantità sufficiente di cambiamento.
Un ruolo trainante nella diffusione della cultura imprenditoriale negli studi
professionali di minori dimensioni e nel superamento degli ostacoli culturali
ancora presenti può essere svolto dagli Ordini e dalle associazioni sindacali
cui spetta il compito di sensibilizzare ulteriormente i colleghi in merito.
più banale e il rapporto con i miei colleghi stava diventando “perverso”: pratica-
mente avevo dei colleghi al mio fianco che lavorano con i clienti miei, la struttura
mia e il rischio mio! Non potevano essere professionisti a tutti gli effetti. Così ho
deciso di aziendalizzare la mia struttura organizzandola in modo totalmente diver-
so al fine di avere, come prodotto, una struttura professionale spendibile e cedibile
gestendo in congruo e corretto anticipo il mio “Passaggio Generazione”. Insomma
uno studio professionale che sopravvivesse alla mia persona perché non potevo
disperdere tutta quel “Patrimonio” acquisito con tempo, sacrificio e fatica. Le
azioni, in sintesi, sono consistite in:
– creazione di una classe dirigente; – passaggio dalla struttura
“intuitus personae”
ad una struttura
brandizzata
che fosse organizzata sulla partecipazione alla
marginalità da parte di tutti i professionisti di studio; – concessione di
free stock
ai
miei Associati che, diventando Soci a tutti gli effetti, hanno con ciò ricevuto grati-
ficazione e motivazione professionale dopo decenni di atavica e proficua collabora-
zione; – creazione di carriere professionali, sei per l’esattezza. Ogni
step
carrierale dura
tre anni e si accede al successivo solo per raggiungimento di obiettivi; – motivazione ed
incentivazione alle risorse umane; – adozione di un controllo di gestione per il tempo
dedicato al Cliente; – cura del clima, del coinvolgimento al lavoro in
team
e del senso
di appartenenza alla struttura; – creazione di nuovi servizi professionali che hanno
come oggetto la “gestione della cultura d’impresa”; – marketing professionale, cura
delle relazioni, geo-marketing e
contact mamagement
; – modulo qualità ISO 9001.
Come è stato accolto l’intervento dagli altri professionisti e dai dipendenti
dello studio?
Inizialmente il processo di aziendalizzazione è stato accolto malissimo e con enor-
me diffidenza non foss’altro per la forte resistenza al cambiamento che era insita fra
i professionisti che vedevano sottrarsi da sotto i piedi le proprie certezze economi-
che e professionali.
Come hai selezionato i consulenti esterni?
I consulenti esterni sono stati da me selezionati dopo un’attenta ed accurata ricerca
in Internet, presso la stampa specializzata e presso il Consiglio Nazionale dei
Dottori Commercialisti.
E’ stato difficile accettare i consigli dei consulenti?
Inizialmente direi proprio di sì, perché pure io ero affetto dalla sindrome della
resistenza al cambiamento!
Quali sono stati i momenti più difficili nell’affrontare il cambiamento?
Due in particolare: il primo quello di concedere in
free stock
le quote di proprietà
dello studio ai miei Associati; il secondo la resistenza che ho inizialmente avuto dai
miei futuri Associati che aveva quasi il sapore di un “ammutinamento”!
Quali sono stati i benefici tangibili dell’intervento esterno?
Non riesco ancora ad inventariare i benefici perché ogni volta ne viene fuori uno di
nuovo! Oggi sono il Presidente del Consiglio Direttivo del nostro studio: ho impa-
rato a ragionare “collegialmente” e gestire questo secondo tempo della mia vita
professionale è una cosa che mi crea e dà una forza ed un entusiasmo adrenalinco!
Ritieni che anche studi di minore dimensione possano beneficiare di un
intervento esterno?
Assolutamente sì, ne parlavo proprio con i miei consulenti – che nel frattempo
condividiamo uno splendido rapporto di “
partnernariato
“– dovremmo creare un
format
spendibile per tutte le struttura professionali e di qualsiasi dimensione. Di
fatti il processo organizzativo che abbiamo posto in essere in Renier & Asso-
ciati è come un vestito su misura ovvero: dal sarto non ci va solo chi è alto metri
2,10 (grande struttura) ma anche chi è alto metri 1,70 (strutture medio piccole).
Basta solo avere l’esigenza di cambiare, di investire fortemente nell’intangibilità,
nel capitale umano, nel capitale organizzativo, nel capitale relazionale e nel
capitale intellettuale.
Che ruolo hanno avuto i collaboratori e i dipendenti nel successo delle
iniziative intraprese?
Una volta superata la “crisi della resistenza al cambiamento” e del tentato ammuti-
namento, i miei associati e miei collaboratori sono stati eccezionali: proattivi, col-
laborativi, disponibili e trainanti.
Cosa consigli ai colleghi che oggi affrontano un mercato sempre più
competitivo e difficile?
Che è finita l’era dell’adempimento. I nostri clienti sono stanchi dell’adempimento
che cercano sempre altrove e al minor costo. Dobbiamo elevarci a livello cultural-
professionale per essere i protagonisti del cambiamento del mondo e del sistema
impresa. Chi non cambia è omissivo e destinato a non sopravvivere.
Lo studio manageriale in controtendenza
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