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NUMERO 199 - GENNAIO / FEBBRAIO 2011 IL COMMERCIALISTA VENETO

U

na recente presa di posizione della Commissione Tributaria Re-gionale del Veneto ha censurato il comportamento dell’ufficio che aveva tentato di introdurre nuovi motivi nel corso del secondo grado di giudizio tributario, prassi questa vietata dall’operare dell’art. 57 del D.Lgs. 546/1992. Infatti, l’art. 57 del D. Lgs. n. 546/1992 dispone che “nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e, se pro-poste, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio. Possono tuttavia essere chiesti gli interessi maturati dopo la sentenza impugnata. Non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio”.

Le nuove domande, vietate in appello, sono le domande non sottoposte al vaglio della Commissione Tributaria Provinciale con la proposizione del ricorso introduttivo e, in proposito, la dottrina e la giurisprudenza defi-niscono “domanda nuova” quella in cui si modifichi anche solo uno degli elementi identificativi dell’azione, ovverosia i soggetti, il petitum o la

causa petendi.

Il Legislatore, quindi, anche in ambito processual-tributario, riprodu-cendo sostanzialmente quanto previsto nell’art. 345 del c.p.c., tende a circoscrivere le “novità”, nel senso di considerare tutto il processo come una sorta di piramide (la larga base del primo grado nel quale si devono formulare tutti i motivi (e le eccezioni) e la punta ristretta – la questione di diritto – della Cassazione). E’ per questo che assume la massima importanza la proposizione di tutti i motivi di impugnazione già nel corso del ricorso introduttivo di primo grado, mentre sarebbe errato pen-sare che il procedimento giurdisdizionaltributario permetta una sorta di introduzione progressiva dei motivi.

Nello specifico, ricollegandosi alla sentenza in esame, il Giudice regio-nale ha rigettato l’eccezione formulata dall’Ufficio. Ebbene, il concetto di eccezione, mutuato dal diritto processuale civile, è particolarmente complesso e si può definire come l’opposizione di un fatto in grado di paralizzare l’accoglimento della domanda dell’attore.

Non vi è perfetta simmetria, però, fra il concetto di eccezione nel diritto processuale civile e nel diritto tributario. Nel primo, infatti, il soggetto convenuto può proporre una domanda riconvenzionale (ossia la riproposizione di una nuova domanda nei confronti dell’attore) mentre nel processo tributario tale facoltà, che spetterebbe all’Amministrazio-ne, è preclusa dalla necessità che la pretesa tributaria sia definita e compiuta nell’atto di accertamento, la cui motivazione non può essere integrata in corso di causa. In altri termini, devono considerarsi inam-missibili tutte quelle eccezioni che costituiscono nuove ragioni per af-fermare l’esistenza del debito d’imposta. Dunque l’Amministrazione può formulare solo eccezioni processuali e non di merito.

Il divieto di nuovi motivi nell'appello tributario

BREVI SPUNTI DI RIFLESSIONE

ROBERTO ZANCHETTA

Avvocato, foro di Treviso

ROI = ( 0,40 + 0,2 ) / 3 = 0,20 = 20%

Seguendo lo stesso procedimento, è possibile stimare il rapporto di indebitamento che l’impresa raggiungerebbe in relazione ad un dato tasso di crescita delle vendite g ( V )

[ 7.10 ] D / E = { ( g ( V ) – DV/CIN )/ ( 1 + DIC ) * [ 1 / ( 1 – t ) ]

* [ 1 / (1 – d) ] – ROI ) / ( ROI – i )

D / E = { ( 0,2474 - 0,10 ) / ( 1 + 0,10) * [ 1 / ( 1 – 0,33 ) ] * [ 1 / (1 – 0,50 )] – 0,20 ) } / ( 0,20 - 0,10 )

D / E = [ 0,1474 / 1, 10 * ( 1 / 0,67 ) * ( 1 / 0,50 ) ] – 0,20 / 0,10

D / E = [ 0,1474 / 1, 10 * ( 1 / 0,67 ) * ( 1 / 0,50 ) ] – 0,20 / 0,10

D / E = 0,40 – 0,20 / 0,10 = 2

6. CONCLUSIONI

Si può certamente trovarsi d’accordo sull’affermazione del professor Cappelletto, secondo cui la finanza d’impresa è fatta di tanto senso comune, tanto che non pochi colleghi avranno almeno una volta pensato che se parte delle imprese in crisi che hanno sotto gli occhi fossero state fin dall’inizio amministrate dall’altra metà della mela (le massaie, ovvero le mogli degli amministratori di società clienti) esse non si troverebbero in tali stati.

Quando, però, la finanza diventa area critica, servono anche conoscenze specifiche

L’equilibrio

economico-finanziario

SEGUE DA PAGINA 7

Pablo Picasso - Les Demoiselles d’Avignon

MICHELE SONDA

Ordine di Bassano

Inoltre, al fine di completare questa brevissima esposizione sui nova in appello, relativamente alle eccezioni sollevabili nel processo tributario, si precisa che lo stesso comma 2 dell’art. 57 del D. Lgs. n. 546/1992, pone una deroga al principio generale che vieta la proposizione di nuove ecce-zioni in sede d’appello, stabilendo che possono essere in ogni caso sotto-poste alla cognizione del giudice solo le eccezioni rilevabili d’ufficio. Quindi l’art. 57 del D. Lgs. n. 546/92 postula la differenza fra le eccezioni “in senso stretto” e le eccezioni “in senso lato”. Si definiscono eccezioni “in senso lato” quelle che il giudice può conoscere d’ufficio anche se non sono state sollevate da alcuna parte, mentre le eccezioni “in senso stret-to” sono quelle di cui il giudice non si può pronunciare se non sono proposte dalla parte che è titolare del potere di eccezione (tipica è l’ecce-zione di prescrizione).

Ebbene, a tale regola (l’inammissibilità di proporre domande ed eccezio-ni nuove in fase di appello) soggiace anche l’Amministrazione Finanzia-ria poiché, anch’essa, parimenti al contribuente con la proposizione del ricorso, deve esplicare tutte le proprie difese con il primo atto giudiziale, ossia le controdeduzioni.

Infatti, l’art. 23 del D. Lgs. n. 546/92 dispone, al terzo comma, che

“Nelle controdeduzioni la parte resistente espone le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente e indica altresì le prove di cui intende valersi, proponendo altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio”.

Le controdeduzioni, quindi, sono l’atto processuale che corrisponde (per funzione o per struttura) alla comparsa di risposta o alla memoria difen-siva nel giudizio civile. Si può, dunque, affermare che le controdeduzioni sono un atto difensivo scritto, simmetrico e contrapposto a quello del ricorrente, con il quale la parte convenuta illustra la sua posizione di fronte alla pretesa fatta valere con l’atto introduttivo del giudizio. Simmetria e contrapposizione che si manifestano compiutamente nelle disposizioni che prevedono, per ambedue le parti, l’obbligo di esporre tutti i propri motivi ed eccezioni nei rispettivi atti introduttivi: il ricorso per il contribuente e la costituzione in giudizio per la parte resistente. Ammettere, per la parte resistente, la possibilità di procrastinare tale termine permettendo una mera “costituzione formale” con riserva di integrazione violerebbe, fra l’altro, la disposizione dell’art. 111 della Costituzione che prevede la parità delle parti in tutti i processi. Ne deriva, quindi, che anche la parte resistente è vincolata sia alla dispo-sizione dell’art. 24 del D. Lgs. n. 546/92 che vieta l’integrazione dei motivi se non sussistono i requisiti tassativamente previsti nella disposi-zione citata, che dell’art. 57 del D. Lgs. n. 546/92.

Ne consegue, quindi, che anche l’Amministrazione Finanziaria e l’Ente Locale stessi soggiacciono al divieto stesso di proporre ecce-zioni nuove in appello e non possono, in tale sede, introdurre un nuovo tema d’indagine, fondato su situazioni giuridiche non pro-spettate in primo grado (Cass. Civ., Sez. V., Sent. n. 4320/2005; Cass., Sez. trib., 5 marzo 2007, n. 5023; Cass., Sez. trib., 23 maggio 2005, n. 1064).

nella materia. Qui, anche le mas-saie potrebbero avere dei proble-mi. Questo perché l’ equilibrio finanziario è un concetto multi-forme che può essere sintetizzato soltanto con riferimento all’intera dinamica economico-finanziaria dell’impresa.

Ciò richiede, oltretutto, l’uso di un nuovo linguaggio (che di per sé crea cultura), capace di espri-mere una realtà così complessa e sfaccettata unitamente all’utiliz-zo di quei modelli concepiti per affrontare i problemi di integra-zione tra strategia finanziaria e strategia competitiva. Alla obsoleta raffigurazione dell’im-presa, figlia di una prospettiva unica e centrale, occorre, dunque,

sostituire una raffigurazione aperta alla resa simultanea da differenti punti di vista. Nulla di diverso, ovviamente, di quanto succede nelle altre scienze sociali e di quanto è cominciato ad accadere oltre cento anni fa nel campo delle arti visive. Anche la finanza d’impresa, pertanto, richiede per i suoi giudizi quante più informazioni possibili onde permettere la verifica dell’esistenza o meno di un profilo accettabile di creazione di valore e della corrispondenza tra dinamiche settoriali, obiettivi di crescita dell’impresa e risorse finanziarie allo scopo disponibili.

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