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NUMERO 199 - GENNAIO / FEBBRAIO 2011

5

L’equilibrio

economico-finanziario

IMPRESA

RENZO ROSIN

Ordine di Venezia

IL COMMERCIALISTA VENETO

SEGUE A PAGINA 6

Una digressione a margine dell’intervento “Strategie finanziarie per il superamento

della crisi aziendale”, convegno Crisi d’impresa , 16 dicembre 2010

«D

imenticate l’analisi di bilancio (. . .), anzi buttatene via i libri! Ciò che conta è (. . .) l’analisi dell’impresa (. . .) l’analisi finanziaria è soltanto buon senso ».

Suggestivo e apparentemente paradossale l’esordio del professor Cappelletto, parafrasante René Magritte nel momento in cui, dipinta su una tela una pipa così verosimigliante da non lasciare dubbi, la nomina (anche se non c’è questa necessità) e nel momento in cui lo fa, nega che essa sia una pipa. Solo apparentemente para-dossale, perché ciò che il docente ha negato è semplice-mente la pedissequa equivalenza tra il “fenomeno im-presa” e la rappresentazione che di esso ne dà il bilan-cio, onde non cadere nell’inganno delle apparenze. La lezione non è risultata appagante per la classicità delle sue definizioni (che dire della “Ragioneria in cinque minuti”, che, peraltro, smitizza insormontabili pacchi di pagine, riportanti sempre gli stessi mal spie-gati concetti?), ma per l’invito pervenuto all’uditorio a ricercare ed analizzare i fondamentali dell’impresa nel-la loro essenzialità, senza, tuttavia, sconfinare nella superficialità. Lo stesso dicasi per il suo “invito” a lasciar fallire le imprese in crisi, il quale va interpretato come assunzione della complessità della finalità dei piani di risanamento. Ciò perché, quando le ragioni di una crisi aziendale si ripercuotono sul divario tra en-trate e uscite, la fase di avvitamento della crisi è nor-

malmente molto avanzata: essa origina normalmente dalla inadeguatezza della strate-gia d’impresa alle condizioni di ambiente e d’impresa, da cui deriva una scarsa economicità, che porta invariabilmente alla situazione di crisi finanziaria. Ecco perché i piani di risanamento, alcuni dei quali viziati da ottimistiche viste ragionieristiche scollegate dalle dinamiche del settore di appartenenza, non sem-pre riescono. Ed ecco anche perché tali piani finiscono col costituire occasioni di lavoro per soli iniziati, di rado commercialisti.

Anche l’invito ricevuto dall’uditorio di buttar via i libri di analisi finanziaria merita della considerazione, almeno per ciò che concerne certi “testi per la professione”, portatori di quei pasticci e fraintendimenti che in sede di divulgazione si verificano a causa, soprattutto, del fatto che la domanda che proviene dal mondo professiona-le è, in generale, una domanda di radicale, e persino brutale semplificazione della materia finanziaria. Il divulgatore, in genere, formula, riformula e corregge, cosicché alla fine è inevitabile che qualche concetto sbiadisca e si trasformi in crusca. In realtà, c’è poco da fare contro i processi di semplificazione che si manifestano in sede di comunicazione, perché sono connaturati all’opera di mediazione tra accade-mici e mondo professionale.

Solo al tentare una definizione di equilibrio, si fa una certa fatica. Figurarsi, poi, quando alla parola equilibrio vengono associati gli aggettivi economico e finanziario in un contesto dinamico. Il rischio di fare riferimento a delle tautologie è forte: parole dal significato preciso riferite a contesti sommamente indefiniti. Ma direi di andare ai profili di equilibrio enunciati nel corso della lezione.

1. EQUILIBRIO ECONOMICO

E’ stata presenta come indicativa di una situazione di equilibrio economico la presenza di una differenza positiva tra costi e ricavi, cioè dell’utile netto. Va, tuttavia, segnalato che l’ utile netto non ha una definizione univoca, a causa, essenzialmente, del differente operare dei vari criteri di valutazione delle rimanen-ze, di stima delle quote di ammortamento da portare a conto economico, di tratta-mento dei costi di promozione-comunicazione e delle spese di ricerca e sviluppo. Ma la carenza più grave dell’utile netto sul piano segnaletico è che trascura del tutto la dimensione del rischio corso dall’impresa, per cui esso non può essere assimilato

tout court alla creazione di valore di esercizio.

Non si può, dunque, affermare che il criterio dell’utile netto sia preciso e decisivo

nella definizione dell’equilibrio.

2. EQUILIBRIOFINANZIARIO

La presenza, invece, di una positiva differenza tra entrate ed uscite è stata indicata come indicativa dell’equilibrio finanziario.

E’ evidente come ogni dichiarazione di insolvenza origini da uno sbilancio di teso-reria. Va, però, osservato che tale sbilancio si verifica, normalmente, nella fase finale della crisi dell’impresa, preceduta dallo stadio in cui la formula imprenditoriale perseguita si rivela inadeguata. E, poi, è del tutto usuale riscontrare nella fase della

crescita del ciclo di vita dell’impresa un disequilibrio anche rilevante tra entrate ed uscite, disequilibrio colmato con interventi finanziari ad hoc , resi possibili in considerazione del valore economico dell’impresa stessa. Anzi, il divario negativo tra en-trate ed uscite per le imprese che crescono rapida-mente e investono per tale crescita è, in gran parte dei casi, un segnale positivo, e non anche negativo. Dun-que, anche questo modo di vedere l’equilibrio è del tutto insufficiente.

In secondo luogo, è stato indicato come sintomo di equi-librio finanziario l’ adattamento tra durata dei fabbisogni e durata delle fonti . Nella pratica, però, il tema dell’adeguamento ai fabbisogni della struttura e della composizione del passivo non è mai stato accom-pagnato da linee guida efficaci. Non solo. Vi sono non poche imprese caratterizzate da gestioni finanziarie del tutto inidonee nei termini sopra riferiti, che tuttavia non smettono di prosperare. Perciò anche criterio di equili-brio è insufficiente e non definitivo.

Infine, ci è stato segnalato come l’interpretazione dell’ indice di liquidità ( acid test o quick ratio ) sia soggetta ad errori evidenti. In effetti, questo indicatore viene normalmente inteso dalla pratica in senso favorevole quando assume un valore elevato o se si incrementa. In realtà, valori elevati di questo indicatore e/o l’innalzamento di cassa, banca e crediti commerciali non di rado nascondono un ingiustificato assorbimento di risorse finanziarie, ossia quel fenomeno che va sotto il nome di overinvestment per i motivi più svariati.

Anche questo quoziente non dà una indicazione efficace di equilibrio finanziario, se non in termini per così dire orizzontali (posto che mette in rilievo la compatibilità temporale tra fonti ed impieghi) e perciò stesso valida soprattutto per il sistema del credito.

Resta che la capacità dell’impresa di adempiere alle obbligazioni in scadenza, e/o di fare fronte a impegni di pagamento non previsti o programmati, dipende, oltre che dal profilo di liquidità dell’impresa, dalle cosiddette riserve di credito , cioè da quella parte di affidamenti concessi ma non ancora utilizzati, a loro volta dipenden-ti, nella loro entità, dalla percezione che il sistema del credito ha del complessivo assetto economico, finanziario e patrimoniale dell’impresa.

3. L’EQUILIBRIO COME CONCETTOMULTIFORME. ILCICLODI VITADELL’IMPRESA

Questi profili di equilibrio economico e finanziario non esauriscono il tema: ve ne sono degli altri, anche significativi, che l’economia del presente articolo suggerisce di trascurare.

I valori che, almeno fino a qualche anno fa, venivano presentati come ottimali oggi semmai vengono inquadrati nell’ambito di determinati intervalli, posto che l’econo-mia dell’impresa è un fatto dinamico, che può essere colto efficacemente soltanto se si usufruisce degli approfondimenti analitici che hanno attraversato orizzontal-mente le diverse aree funzionali dell’impresa come amministrazione e controllo, marketing, finanza aziendale, comportamento organizzativo.

In questo contesto è importante riconoscere l’importanza dei modelli strategici per

René Magritte – Il tradimento delle immagini

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