Page 20 - 187-1

This is a SEO version of 187-1. Click here to view full version

« Previous Page Table of Contents Next Page »

20

NUMERO 199 - GENNAIO / FEBBRAIO 2011 IL COMMERCIALISTA VENETO

SEGUE DA PAGINA 19

INTANGIBLE ASSETS:

VALUTARE, GESTIRE E RAPPRESENTARE

IL PATRIMONIO INTANGIBILE

lo di Basilea 2) un vivace dibattito che anche oggi coinvolge le istituzioni finanziarie, politiche, le parti sociali, il mondo accademico e ovviamente le imprese. Se, da un lato, gli intangibili vengono ormai considerati i veri driver

del processo di creazione del valore, capaci di garantire un vantaggio competitivo, dall’altro lato vi è la citata difficoltà degli attuali sistemi contabili e dei modelli valutativi di misurarne il valore su basi consensuali e coerenti con gli attuali principi contabili. Per le sue peculiari caratteristiche di interrelazione, rara-mente è possibile rappresentare il valore economico di un asset intangibile estrendolo dal contesto in cui viene impiegato. Ad esempio un medesimo brevetto può avere un controvalore assai differente se impiegato nel core-business di una grande casa automobilistica o piuttosto come collaterale di processo di una PMI. Calcolare quindi il valore di un asset intangibile non può prescindere da una attenta ed approfondita analisi econometrica del contesto di riferimento; in cui integrare valutazioni qualitative e quantitative e chi valuta deve tenere conto della qualità dell’informazione non public accountable , con riferimento sia ai bilanci sia al reporting interno, all’atto della scelta del metodo di valutazione e durante la sua applicazione. L’apprezzamento di tutte le componenti, sia materiali che intangibili, in particolare la stima esplicita dei beni di proprietà industriale – brevetti e marchi -concorre all’identificazione più precisa dei valori che genericamente sono attribuibili all’”avviamento” di un’azienda. L’analisi qualitativa (Technology Rating) fornisce un’indicazione sul valore del bene intellettuale attraverso indici e assegnazione di punteggi a differenti fattori d’influenza ( proxy ) che indagano i vari aspetti della gestione dell’asset come: il mercato; la tecnologia; lo stato legale; l’interazione impresa-mercato ecc. Non forniscono una stima del valore in termini monetari assoluti, sono tuttavia utili per comparare, e classificare beni di proprietà intellettuale, all’interno di scale di rating precostituite di raffronto. Inoltre ricoprono impor-tanza crescente nei processi di analisi delle variabili impiegate nelle routine di calcolo e per valutare i rischi e le opportunità collegati alla proprietà intellet-tuale. Su questo aspetto si fonda l’azione propria del valutatore in grado di esaminare l’effettiva collocazione della componente immateriale nel contesto di progetto e/o di sviluppo dell’impresa, identificandone le capacità insite di generare benefici economici futuri in una ottica evolutiva e non consuntiva e in un contesto di business e business creation . L’analisi qualitativa non è un mero esercizio descrittivo delle caratteristiche dell’asset ma è fondamentale per cir-coscrivere e quantificare il valore di alcune variabili impiegate nelle metriche di calcolo più diffuse, codificando e misurando su una scala di riferimento il valore degli indicatori analizzati. Nella pratica di valutazione quantitativa della proprietà intellettuale vengono abitualmente impiegati dei “ modelli ” esprimibili in linguaggio matematico capace di restituire misure. I modelli consuntivi basa-no le proprie misurazioni su operazioni già concluse o comunque note e ne riassumono gli effettivi elementi costitutivi (es. i costi) rendicontandone il significato ed, in questo caso, il valore. Per i beni immateriali di proprietà industriale e intellettuale, sono stati, nella teoria economica, da tempo svilup-pati diversi metodi, che pur se non normati, sono diventati lo standard di riferimento internazionale (Smith & Parr, 2000). Questi metodi e modelli si ricollegano concettualmente ai criteri di valutazione dei beni tangibili. Secondo una distinzione diffusa, i princpali metodi di valutazione quantitativa si ripar-tono in:

- costo (storico rivalutato, sostituzione, riproduzione)

- profitto (Metodi differenziali, Gross profit, Reddito operativo)

- mercato (Valori di mercato comparabil, royalties, ecc)

- discounted cash flow ( DCF ).

Tale ripartizione appare ancora utile nell’individuare le ratio delle principali metodologie di valutazione quantitative, ma sono sempre più numerose, e complesse, le nuove metodologie divenute mainstream grazie alla fortuna in-contrata presso ricercatori e valutatori. Tra quelli citati risulta particolarmente noto il metodo “DCF”. I flussi di cassa scontati sono metodi di stima basati sul principio secondo il quale: “the value of any operating asset/investment is equal to the present value of its expected future economic benefit stream”. La previsione dei potenziali profitti (ovvero il flusso di cassa) si pone come il primo, in ordine logico, dei problemi da risolvere. L’arco temporale entro cui considerare il flusso di cassa è infatti predeterminato, coincidendo con la vita commerciale residua dell'asset stesso, ciò non toglie che valutazioni si rende-ranno necessarie per determinare la possibilità di un decadimento precoce del valore dovuto alla scarsa difendibilità dell'asset o dall’obsolescenza della tec-nologia, causata ad esempio dalla sua facile sostituibilità. Delineata una stima dei profitti ed un arco temporale entro il quale si ritiene sfruttabile economica-mente l’asset, è necessario determinare il tasso di attualizzazione con il quale aggiornare il valore futuro. Nel caso più semplice può corrispondere al tasso di inflazione (dati ISTAT) tuttavia i modelli più realistici tengono conto anche di altri fattori, come il costo del denaro, e fattori che rappresentano i rischi collegati come: l’incertezza legale; l’incertezza tecnologica; il rischio di obsole-scenza; l’incertezza sulla risposta del mercato; ecc. che debbono essere deter-

minati da uno studio econometrico a monte. Il DCF, pur condividendo con gli

income based methods l’idea di valutare un asset sulla base dei profitti, se ne distacca per il suo utilizzo di dati non contabilizzati. Rinunciando alla certez-za dei dati contabili, ci si espone al rischio di errate previsioni (possibili profitti e tasso di sconto) d’altro lato, laddove tali previsioni siano facilmente effettuabili, tale metodo permette un’analisi del valore che supera le contin-genze, configurandosi quindi come metrica tipicamente intesa come “neutrale al rischio”. Tuttavia il DCF “sconta” l’incapacità di prendere in considerazio-ne le possibili evoluzioni di un progetto industriale, collegate alla possibilità di esercitare opzioni alternative all’iniziativa inizialmente concepita. La teoria insegna che il valore di una qualsiasi attività finanziaria è dato dal valore attuale netto (NPV) dei flussi che questa genererà in futuro. Ciò è senza dubbio vero, ma esiste una componente di valore che nella “finanza statica” non viene considerato, sfuggendo alla possibilità di calcolo: il valore delle possibilità (opzioni) generato dall’incertezza di evoluzioni inaspettate. La “finanza dina-mica” aggiunge il valore legato alla possibilità di effettuare un successivo inve-stimento, di lanciare un nuovo prodotto, di abbandonare un settore, di entrare in un nuovomercato, ecc. in sintesi di gestire il progetto. Tra i metodi quantitativi di valutazione basati su dati stocastici, il metodo delle “opzioni reali” rappre-senta, oggi, l’avanguardia dei metodi di valutazione quantitativi; ancorchè ba-sato sulla “ teoria delle decisioni ”. Il principio cardine, è che alcune attività reali sono assimilabili al sottostante di azioni finanziarie, poiché il progetto di investimento conferisce all’impresa il diritto su flussi di cassa futuri incerti, esercitabile attraverso il sostenimento di un costo dato, entro una scadenza predeterminata. L’affidabilità del valore ottenuto, dipende completamente dall’accuratezza delle stime di rischio effettuate in sede di valutazione, poichè piccole variazioni comportano, procedimenti fattoriali ed esponenziali. Se vengono assicurate accurate stime del rischio e adeguati indici di riduzione, è evidente come nessun metodo, meglio di questo, possa assicurare risultati in grado di “predire” il valore di un asset. La valutazione degli asset immateriali investe anche la dimensione operativa delle imprese che oggi devono gestire non solamente l’attività caratteristica, fatta di costi e di ricavi, di ricerca e di sviluppo, ma anche il valore dell’impresa nel suo complesso. Questo perché gli investitori istituzionali, così come un qualsiasi azionista di controllo, si attendono ritorni dal proprio investimento in termini di accrescimento del valore inizialmente investito. Con queste premesse e con tali obiettivi, sono stati architettati nuovi modelli di gestione dell’impresa, basati sulla moderna teoria finanziaria piuttosto che sulla contabilità o sui “quozienti di bilancio” tra cui spicca l’ Economic Value Added (EVA). EVA è un sistema di gestione finalizzato all’accrescimento del valore d’impresa nel lungo periodo. Questo obiettivo dipende dalla capacità del management di produrre in modo costante e duraturo profitti economici soddisfacenti per l’azionista, ossia che il rendi-mento sia superiore al costo/opportunità dell’aver investito in quella specifica attività. Il sistema EVA aiuta dunque i manager e tutti i suoi collaboratori non solo a meglio comprendere e gestire l’attività corrente, ma a capire e gestire il legame tra decisioni operative ed enterprise value . In effetti, EVA non è sola-mente misurazione, ma è di supporto alle decisioni poichè oltre a considerare i valori contabili (civilistici o gestionali) esprime l’impatto che questi produ-cono sul valore creato, in ogni periodo di osservazione, persino nelle scelte marginali, permettendo non solo di quantificare il valore insito nel piano pluriennale, ma confrontandolo con le attese di rendimento dell’azionista. EVApermette di esprimere un giudizio sull’operato del management scenden-do all’interno dell’organizzazione, cioè andando ad indagare le determinanti (i

drivers ) del risultato. Il sistema EVA non è solamente l’elemento unificatore fra i diversi “linguaggi” aziendali (fatturato, costi, margini, NPV, ROE, ROI, ecc.), ma integra le carenze degli altri sistemi: finalità, obiettivi, strumenti, risultati, differenziandosi dai tradizionali parametri di rendimento finanziario, come l’utile netto e dell’utile per azione (EPS) e cogliendo il costo nascosto del capitale che le misure convenzionali ignorano. Dal punto di vista prettamente contabile la procedura (semplice solo apparentemente) può essere espressa: dal profitto operativo netto dopo le imposte (NOPAT) meno il costo medio ponderato del capitale (WACC) moltiplicato per il capitale totale investito (TC). Manager, Financial Officer e Proprietà esprimono obiettivi e risultati con una misura comune: la ricchezza creata. Il compito diventa allora accresce-re il valore di impresa, governando l’attività corrente, misurando il rischio di mercato e i driver di valore intangibili, pianificando progetti con valore attuale netto positivo e gestendo le opzioni legate al proprio business.

Page 20 - 187-1

This is a SEO version of 187-1. Click here to view full version

« Previous Page Table of Contents Next Page »