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NUMERO 197 - SETTEMBRE / OTTOBRE 2010
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IL COMMERCIALISTA VENETO
Le fattispecie penali, benché testualmente immutate, risultano comunque (più o
meno) profondamente incise - strutturalmente - dalla modifica della disciplina
civilistica di riferimento. Basti pensare alle evidenti e pesanti ricadute della nuova
definizione di imprenditore sottoposto a fallimento sulla qualifica di soggetto atti-
vo della bancarotta e, quindi, sulla concreta applicabilità delle relative norme
incriminatrici, come pure, più in particolare, ai possibili influssi della sopravvenuta
disciplina della revocatoria fallimentare (con cui si restringe il novero degli atti
revocabili) sull’ambito di operatività della bancarotta preferenziale. Stridente ap-
pare, poi, il contrasto fra il quasi totale azzeramento degli effetti personali del
fallimento e il persistente, rigorosissimo apparato sanzionatorio penale.
* * *
Alle violazioni di obblighi specifici, evidenziate nel paragrafo precedente, possono
conseguire fattispecie aventi rilevanza penale per aver aggravato il proprio dissesto
(art. 217 1 co. n. 4) ovvero per aver concorso “a cagionare ed aggravare il dissesto
della società con inosservanza degli obblighi imposti dalla legge (art. 224 1 co. n. 2);
possono conseguire fattispecie di false comunicazioni sociali, cosiddette semplici,
senza danno per alcuno (art. 2621 c.c.), ovvero con danno per società, soci o
creditori (art. 2622 c.c.).
Ed ancora potrebbero conseguire ipotesi di bancarotta propria o impropria (a
seconda dei soggetti di riferimento) e specificatamente:
– di bancarotta fraudolenta patrimoniale che si realizza mediante condotte che deter-
minano una diminuzione fittizia (distrazione, occultamento, dissimulazione) o effet-
tiva (distruzione, dissipazione) del patrimonio in danno dei creditori (art. 216 n. 1):
– di bancarotta fraudolenta documentale, contemplata dal’art. 216 1° co. n. 2 “per
aver sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare
a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri
o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la
ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari”;
– di bancarotta preferenziale (art. 216 3 co.) attinenti la violazione della
par conditio
mediante pagamenti preferenziali di crediti e la simulazione di titolo di prelazione;
– di bancarotta semplice documentale (art. 217 2 co.). Dal dato testuale dell’art.
217, che fa riferimento ai libri e alle scritture contabili prescritti dalla legge e dal
raffronto con l’art. 216, che allude
sic et sempliciter
ai libri e alle scritture contabili,
viene tratta la conclusione che il reato possa commettersi soltanto il relazione ai
libri assolutamente obbligatori (art. 2214¹ c.c.) e alle scritture relativamente obbli-
gatorie (art. 2214² c.c.). In particolare, la S.C. ha affermato che la norma penale ha
carattere sanzionatorio delle disposizioni del c.c. relative all’obbligo della tenuta
dei libri e delle altre scritture contabili, per cui queste ultime integrano la norma
penale, costituendone la parte precettiva; è quindi al c.c. e, specialmente, all’art.
2214 che bisogna fare riferimento per l’esatta individuazione dell’oggetto materiale
del reato. La determinazione delle scritture relativamente obbligatorie, eccetto i casi
in cui siano espressamente imposte da leggi speciali, deve avvenire in forza di un
giudizio, sulla indispensabilità delle stesse alla ricostruzione del patrimonio o del
movimento degli affari, che è rimesso al giudice e deve essere formulato sulla base
del parametro obiettivo della natura e delle dimensioni dell’impresa. Criterio
direttivo nella valutazione dovrà essere non la rigorosa conformità delle scritture ai
dettami della scienza contabili e ai più recenti insegnamenti della ragioneria, ma la
loro adeguatezza in rapporto alla consuetudine commerciale e alla prassi contabile,
avuto riguardo anche al confronto con altre imprese analoghe, rette con oculatezza
e correttezza. La Cassazione ha precisato che, ai fini dell’integrazione del reato di
bancarotta semplice documentale, è necessaria l’omessa tenuta o l’irregolare e in-
completa tenuta delle scritture contabili obbligatorie previste dall’art. 2214 1° co.,
c.c. e 2121 c.c. in caso di società, mentre con riguardo alle scritture di cui all’art.
2214, 2° co. c.c. l’affermazione della loro obbligatorietà in concreto presuppone la
valutazione dell’esistenza di una stringente esigenza dell’ulteriore e più articolato
sistema di informazione e di estensione dei dati aziendali che si assume mancante,
con la conseguenza che, per ritenere integrato il reato in relazione anche a tali
ulteriori scritture, è necessario che siano specificatamente individuate le scritture
cui si riferiscono gli addebiti unitamente alle ragioni della necessità della loro istitu-
zione (Cassazione penale 13.03.2007).
Se i reati sono riferiti a persone diverse dal fallito la bancarotta diventa “impropria”
o anche societaria con possibili autori gli amministratori, i direttori generali, i sinda-
ci, i liquidatori (e l’institore), con ambiti temporali connessi al periodo in cui erano
in carica, nonché a comportamenti commissivi e omissivi. La punibilità ex art. 223
L.F. delle persone preposte all’amministrazione e al controllo della società viene
affermata mediante semplice rinvio alle fattispecie dell’art. 216 L.F., anche se la
bancarotta impropria non è perfettamente speculare a quella propria.
Ed ancora la nuova bancarotta societaria (art. 223 co. 2 n. 1) in presenza di dissesto
cagionato dalla precommissione di reati societari.
L’art. 223 (e l’art. 224) non espleta una funzione meramente estensiva delle fattispecie
base dell’art. 216 (e 217) a nuove categorie di soggetti attivi, ma inserisce nel
contesto della bancarotta una serie di fattispecie ulteriori, dando vita ad ipotesi di
bancarotta societaria che non hanno riscontri nella bancarotta dell’imprenditore.
Il testo originario dell’art. 223 2° co. era il seguente: si applica alle persone suddette
la pena prevista dal primo comma dell’art. 216, se: 1) hanno commesso alcuno dei
fatti preveduti dagli articoli 2621, 2622, 2623, 2628, 2630, comma primo del codice
civile; mentre quello attuale è: “si applica alle persone suddette la pena prevista dal
primo comma dell’art. 216, se: 1) hanno cagionato, o concorso a cagionare, il
dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621
(false comunicazioni sociali), 2622 (false comunicazioni sociali in danno della so-
cietà, dei soci o dei creditori), 2626 (indebita restituzione dei conferimenti), 2627
(illegale ripartizione degli utili e delle riserve), 2628 (illecite operazioni sulle azioni
o quote sociali o della società controllante), 2629 (operazioni in pregiudizio dei
creditori), 2632 (formazione fittizia del capitale), 2633 (indebita ripartizione dei
beni sociali da parte dei liquidatori), e 2634 (infedeltà patrimoniale) del codice
civile” .
Esso è stato riformulato dall’art. 4 del D.Lgs n. 61/2002 che, nel rivisitare i reati
societari del codice civile, ha rivisto anche la fattispecie di bancarotta costruita
proprio sulla (previa) commissione di una serie di tali reati; determinando
discontinuità nella successione tra la pre-vigente e l’attuale previsione.
Invero non solo è mutata la seriazione delle fattispecie societarie che fungono da
“reati-presupposto”, ma anche le modifiche contenutistiche apportate alle medesi-
me dal D. Lgs n. 61/2002 hanno ricadute “mediate” sulla configurazione della
bancarotta che le assume come proprio elemento costitutivo. Il tratto di novità più
significativo e “diretto” della nuova bancarotta societaria è, comunque, quello strut-
turale -tipico rappresentato dall’inserimento quale requisito di fattispecie dell’even-
to-dissesto, con le sue implicazioni in tema di nesso causale e di elemento sogget-
tivo, determinando la discontinuità nella successione fra la previgente e l’attuale
disposizione.
10. Situazioni tributarie o previdenziali aventi rilevanza penale
Non vanno poi trascurati fatti riconducibili a inadempienze tributarie o previdenziali
aventi rilevanza penale ad iniziare da contributi previdenziali trattenuti ai dipen-
denti e non versati o inadempimenti attinenti a dichiarazioni fiscali, a versamenti
omessi, eccedenti le soglie previste dalla normativa penal tributaria di cui al D. Lgs.
10 marzo 2000 n. 74; che ha sostituito il fatidico provvedimento denominato
“manette agli evasori” L. 7/8/1982 n. 516 che sanzionava violazioni meramente
formali. Le fattispecie che possono emergere sono riscontrabili tanto dalla docu-
mentazione contabile -fiscale della impresa fallita quanto dalle domande di ammis-
sione al passivo, e tra queste segnalo alcune situazioni previste dalla menzionata
normativa 74/2000 e successive integrazioni: la dichiarazione fraudolenta mediante
uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2); la dichiarazio-
ne fraudolentamediante altri artifici (art. 3), la dichiarazione infedele (art. 4), l’omessa
dichiarazione in presenza di imposte evase superiori a Euro 77.468,53 (art. 5);
l’emissione di fatture o documenti per operazioni inesistenti (art. 8); l’occultamen-
to e la distruzione di documenti o scritture contabili obbligatorie, al fine di evadere
le imposte su redditi e l’imposta sul valore aggiunto (art. 10) e altro ancora: situa-
zioni tutte che devono essere prese in considerazione e valutate nell’ambito dello
stato del dissesto e di impossibilità ad adempiere da parte del fallito e dei soggetti
preposti alla governance dell’impresa.
11. Ricorso abusivo al credito (art. 218 L.F.)
L’art. 218 L.F. è stato interamente riformulato nel contesto della L. 28/12/2005 n.
262, che detta “disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati
finanziari”. Le novità introdotte all’art. 218 dalla Legge 262/2005 toccano aspetti
significativi ai fini della punibilità a partire dal novero dei soggetti attivi essendo
aggiunti all’imprenditore commerciale, gli amministratori, direttori generali e liqui-
datori (facendo così ragionevolmente ritenere abrogato l’art. 225), i presupposti
inserendo oltre allo stato di dissesto, anche lo stato di insolvenza accrescendone i
problemi di interpretazione.
La condotta criminosa si sostanzia nel ricorso al credito accompagnato dalla
dissimulazione dello stato di dissesto/stato di insolvenza.
La nozione di credito accolta nella disposizione in esame è la più lata, e comprende
qualunque prestazione effettuata con la fiducia di ottenere successivamente
dall’
accipiens
il corrispettivo pattuito, essendo indifferente la qualificazione giuri-
dica del negozio. Vi rientrano, così, prestiti, finanziamenti, acquisto di beni a paga-
mento dilazionato, anticipazioni per forniture o prestazioni differite, cauzioni dai
dipendenti, sconto di cambiali, assoggettamento a una fideiussione bancaria e qual-
siasi altra attività dell’imprenditore che non solo inerisca all’esercizio dell’impresa,
ma riguardi anche l’assunzione di obbligazioni c.d. civili.
12. Concessione abusiva al credito
Una situazione dai contorni difficilmente tratteggiabili è quella riconducibile alla
concessione abusiva del credito di cui la dottrina si è abbondantemente occupata
(cfr. Nigro, Inzitari, Nardecchia) e che trovo descritte in modo ineccepibile dal
prof.
Lino Guglielmucci
in un parere recentemente formulato e che mi permetto di
riportare nella sua versione integrale:
“Per concessione abusiva del credito si intende il comportamento della banca
diretto a mantenere artificiosamente in vita l’imprenditore decotto, in violazione
dei principi di sana e corretta gestione del credito, suscitando nel mercato la falsa
opinione che l’impresa sia economicamente sana. Questo comportamento può
indurre i terzi a instaurare rapporti con l’impresa o a continuare a mantenerli, ma
può anche determinare un aggravamento del dissesto. Com’è noto le sezioni unite
della Corte di Cassazione -con una serie di decisioni (Cass. Sez.un., 28 marzo
2006 n. 7029, 7030, 7031) -hanno escluso la legittimazione del curatore all’eserci-
zio dell’azione di responsabilità per concessione abusiva di credito, affermando
che l’azione risarcitoria costituisce, nella specie, strumento di reintegrazione del
patrimonio del singolo creditore analogamente all’azione di responsabilità contro
gli amministratori ex art. 2395 c. c. e “inoltre la posizione dei singoli creditori nei
confronti di siffatta attività di sovvenimento abusivo dell’imprenditore si differen-
zia a seconda che i crediti siano antecedenti oppure successivi alla stessa”.
In realtà si dovrebbe operare una distinzione fra il caso in cui si lamenti un danno
cagionato a creditori
uti singuli
da quello in cui si invochi un pregiudizio al patrimo-
nio sociale. Quando la situazione di apparenza determinata dalla concessione abu-
siva del credito abbia indotto ad instaurare o mantenere rapporti con l’impresa
decotta è ravvisabile un danno diretto cagionato a singoli creditori, esattamente
come nell’ipotesi disciplinata dall’art. 2395 c. c. relativa all’azione di responsabili-
tà contro gli amministratori per i danni cagionati direttamente a terzi, responsabilità
per danno diretto ravvisabile, ad esempio, quando l’apparenza determinata
SEGUE DA PAGINA 6
La relazione
del curatore
SEGUE A PAGINA 8