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NUMERO 197 - SETTEMBRE / OTTOBRE 2010
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La relazione del curatore
ai sensi dell'art. 33 L.F.
DIRITTO FALLIMENTARE
PAOLO FABRIS*
Ordine di Pordenone
IL COMMERCIALISTA VENETO
SEGUE A PAGINA 6
1. Premessa
La Relazione del Curatore appare destinata a fornire al Giudice Delegato una visio-
ne globale dei fatti e degli atti che hanno caratterizzato la vita più recente dell’im-
presa fallita e che possono essere stati causa della crisi irreversibile o dello stato
d’insolvenza. Essa necessariamente dovrà contenere constatazioni, valutazioni e
prospettazioni di natura civilistica e penale.
Va subito detto che i contenuti della Relazione sono intimamente connessi e correlati
con quelli del Programma di Liquidazione, sia pure con funzioni diverse: ricognitive
ed informative nella prima, operative e programmatiche nella seconda.
Ma veniamo, senza indugio, ad esaminare le modifiche apportate all’art. 33
L.F. dalla recente riforma intervenuta con il D.Lgs. 09/01/2006 n. 5 e con il D.Lgs.
12/09/2007 n. 169.
2. Le modifiche apportate dalla riforma
La riforma del 2006 ha apportato alcune modifiche al primo e al terzo comma; il
secondo è rimasto invece invariato, mentre per quanto attiene il quarto comma è
stato introdotto
ex novo
.
Nel primo comma il termine assegnato al curatore per presentare la propria relazio-
ne al Giudice Delegato è stato portato da un mese a sessanta giorni, in considerazio-
ne del fatto che il termine pre-vigente era assai di frequente risultato, in concreto,
troppo breve, ed è stata eliminata la previsione che imponeva al curatore di dare
conto anche del tenore di vita privata del fallito e della sua famiglia (scelta che si
spiega considerando l’intenzione del legislatore della riforma di ridurre il più possi-
bile le conseguenze personali del fallimento).
Nel 3° co., il riferimento ai sindaci è stato sostituito con quello, più confacente al
multiforme sistema dei controlli delle società di capitali oggi vigente, agli organi di
controllo. Il tenore letterale del 4° co. sembra vincolare, e non semplicemente
facoltizzare il Giudice Delegato a disporre la segretazione (e cioè la non allegazione
al fascicolo della procedura) delle parti della relazione ivi elencate. Si tratta di una
elencazione tassativa, in quanto derogatoria sia rispetto alla regola generale secondo
cui tutti gli atti, i provvedimenti e i ricorsi attinenti al procedimento debbono essere
inseriti nel fascicolo della procedura (art. 90 co. 1 L.F.) sia rispetto alla regola
secondo cui il comitato dei creditori e ciascun suo componente hanno diritto di
prenderne visione (art. 90, 2° co. L.F.). La regola che impone di segretare le parti
della relazione relative alla responsabilità penale del fallito, risulta necessitata per
esigenze di coordinamento con il 1° co. dell’art. 329 c.p.p. (ai sensi del quale gli atti
di indagine compiuti dal Pubblico Ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti
dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque,
non oltre la chiusura delle indagini preliminari). La segretazione delle parti della
relazione relative alle “azioni che il curatore intende proporre qualora possano
comportare l’adozione di provvedimenti cautelari” risponde all’esigenza di preser-
vare l’utilità concreta di tali provvedimenti. La segretazione delle parti della rela-
zione relative “alle circostanze estranee agli interessi della procedura e che investa-
no la sfera personale del fallito” deve avvenire soltanto qualora i presupposti
appena citati sussistano contemporaneamente.
Il decreto correttivo del 2007 si è limitato a sostituire, nel 1° co., dell’articolo in
commento, il riferimento all’”istruttoria penale” con quello alle “indagini prelimi-
nari in sede penale”, che appare maggiormente in linea con la struttura del processo
penale risultante dalla riforma del c.p.p. risalente al 1988; e ad aggiungere e normare,
con il 5° comma, i rapporti riepilogativi semestrali.
3. Efficacia da attribuire alla relazione
Né le modifiche apportate all’art. 33 con la riforma del 2006 né quelle compiute con
il decreto correttivo del 2007 appaiono in grado di influenzare i termini del dibattito
sviluppatosi in precedenza con riguardo all’efficacia da attribuire alla relazione del
curatore. Secondo un orientamento, la relazione dovrebbe essere scomposta, sotto
il profilo dell’efficacia, in tre parti: a) degli accertamenti di fatto direttamente
compiuti dal curatore essa farebbe prova fino a querela di falso; b) per quanto
riguarda fatti venuti a conoscenza del curatore e soltanto riferiti, avrebbe valore
presuntivo, e sarebbe suscettibile di prova contraria; c) eventuali ragionamenti ed
opinioni, infine, si collocherebbero fuori dal campo delle prove. Secondo altro
orientamento, invece, nessuna parte della relazione del curatore potrebbe fare fede
fino a querela di falso e cioè potrebbe essere considerata atto pubblico ai sensi e per
gli effetti degli artt. 2699 e seguenti del codice civile. Di conseguenza, gli accerta-
menti di fatto direttamente compiuti dal curatore farebbero fede fino a prova con-
traria; gli altri elementi contenuti nella relazione relativi a fatti solo conosciuti dal
curatore potrebbero avere efficacia di prova esclusivamente quando da essi, per
univocità, gravità e concordanza, derivino giustificate presunzioni; mentre
esulerebbero dall’ambito delle fonti di prova i giudizi espressi dal curatore. Inoltre,
la relazione del curatore non potrebbe mai costituire titolo esecutivo ex art. 474, n.
3, c.p.c. né potrebbe consentire l’esecuzione provvisoria (art. 642 c.p.c.), dato che
queste norme, malgrado le differenze terminologiche, si riferirebbero ai medesimi
atti di cui agli artt. 2699 e seguenti del codice civile. Ulteriori prese di posizione
(
*) Relazione tenuta in Pordenone
al Convegno sui Reati Fallimentari del 07/04/2010.
sono emerse nella giurisprudenza di merito. SecondoApp. Napoli, sez. III, 30.3.2005,
sarebbe da escludere che le affermazioni contenute nella relazione del curatore
fallimentare possano intendersi fare piena prova fino a querela di falso, qualora non
sia stato specificato il modo di accertamento, da parte del curatore, delle circostan-
ze che ne costituiscono oggetto, costituendo, in questo caso, dette affermazioni,
solo indizi liberamente valutabili, mentre secondo Trib. Milano 16.5.1988 e Trib.
Milano 22.6.1989, qualora venga prodotta in un giudizio di cognizione promosso
dal curatore, la relazione non potrebbe costituire prova dei fatti in essa contemplati
e posti a fondamento della domanda giudiziale.
4. Proposta di impugnazione art. 33 comma 2
Per quanto il 2° co. si riferisca soltanto ai propositi di impugnazione del curatore,
si ritiene che egli, nella relazione iniziale, debba indicare tutte le iniziative che
intende intraprendere. L’indicazione nella relazione da parte del curatore di atti del
fallito che egli intende impugnare, non preclude ulteriori, successive indicazioni di
atti da impugnare, né la successiva espressione di orientamenti differenti da parte
del curatore medesimo. Questa parte della relazione va correlata con quanto previ-
sto dall’art. 104 ter L.F. per il Programma di Liquidazione.
5. Trasmissione al Pubblico Ministero in copia integrale (comma 5)
atto di indagine di rilevanza penale
In considerazione della circostanza che il 4° co. dell’art. in commento dispone oggi
che copia della relazione, nel suo testo integrale, deve essere trasmessa al Pubblico
Ministero, sembra doversi riconoscere che la stessa possa senz’altro valere quale
atto d’indagine di rilevanza penale, anche se non si può in essa identificare un vero
e proprio atto di istruzione probatoria.
6. Presentazione di più relazioni in presenza di complessità,
anziché proroga del termine
La previgente disciplina prevedeva che la relazione fosse redatta entro un mese
dalla dichiarazione di fallimento. La estrema contrazione del termine fa comprende-
re come il Legislatore del 1942 avesse in mente realtà imprenditoriali modeste,
imprenditori sempre reperibili e collaboranti, esigenze ricostruttive contenutissime.
L’odierno Legislatore non può invocare certo queste attenuanti, soprattutto di
fronte alla rilevazione che pressoché tutti i tribunali concedevano proroghe,
quantomeno sino a 30 o 60 giorni dopo il termine della verifica dello stato passivo,
poiché trattasi di una fase in cui di regola emergono fatti nuovi, imprenditoriali e
contabili, che forniscono elementi per inquadrare le fattispecie e per completare la
ricostru-