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NUMERO 197 - SETTEMBRE / OTTOBRE 2010
IL COMMERCIALISTA VENETO
PaoloLenarda
Ordine di Venezia
Ritiene, Eminenza, che il quoziente famigliare potrebbe contribuire ad
aiutare il nostro paese a non incunearsi in un processo di involuzione
sociale?
- Non posso entrare in tecnicismi fiscali che non conosco, ma ritengo che
l’idea che sta dietro alla proposta del quoziente famigliare sia positiva e
cioè l’esigenza non più rinviabile di sostenere la famiglia fondata sul matri-
monio tra l’uomo e la donna in quanto soggetto sociale primario.
È noto che, fino ad oggi, le politiche fiscali del nostro Paese (al di fuori dei
nostri confini la situazione è spesso diversa) non solo non riconoscono,
ma penalizzano in modo notevole le famiglie con figli (“più figli hai, peggio
stai”). Ma considerate anche le rigorose previsioni demografiche sul no-
stro paese, secondo le quali siamo quasi arrivati a un punto in cui neppure
una forte immigrazione potrà sopperire al calo delle nascite, davvero la
politica non può più permettersi di trascurare la famiglia. Urgono in Italia
delle politiche famigliari che aiutino a superare definitivamente quel modo
di concepire la famiglia come una
joint venture
privata e la rilancino come
una risorsa per tutta la società.
Eminenza, richiamandomi all’ultima enciclica del Papa “Caritas in
veritate”, i temi dei profondi cambiamenti attuatisi nelmondo dell’impre-
sa sono affrontati in tema di responsabilità sociale della quale devono
farsi carico nell’ambito della gestione dell’impresa tutte le categorie che
ne contribuiscono al funzionamento. I dottori commercialisti - nel ruolo
di consiglieri dell’imprenditore – rivestono un ruolo spesso determinan-
te. Quale valore e quale ispirazione dare, a Suo avviso, al nostro interven-
to di uomini e di professionisti?
- Credo che l’invito straordinario del Papa contenuto nella
Caritas in
veritate
, ad allargare la ragione economica costituisca per chi si dedica alla
vostra professione davvero una prospettiva avvincente. Oserei dire quasi
un compito speciale.
Oggi abbiamo bisogno di ampliare la ragione a tutti i livelli, smettendo di
ridurla alla sola dimensione tecnico-sperimentale. E nella sua ultima encicli-
ca il Papa compie un passo davvero straordinario là dove documenta in modo
accurato e appassionato la dignità economica della dimensione della gratuità e
della fraternità. Che non è sinonimo di gratis, ma che si traduce nel mettere in
atto scelte, azioni e cooperazioni economiche e finanziarie che abbiano di mira
il fine buono per cui esistono l’economia di produzione e la finanza. Credo che
voi possiate offrire un grande contributo in questa direzione.
Affrontando il tema della “ragione economica”, Eminenza, nel Suo ulti-
mo saggio evidenzia come il “lavoro e soprattutto il soggetto lavoro conti-
nuano ed essere la «chiave della questione sociale»”. Precisa, inoltre,
come il lavoro e la finanza debbano essere creativi nel senso che «guardi-
no al futuro, si esprimano in patti tendenzialmente durevoli, capaci di
resistere all’incertezza del domani, che sappiano intravedere occasioni,
che realmente generino ricchezza e benessere». Il tessuto produttivo del
nord-est è ricco soprattutto di piccole/medie aziende che noi professioni-
sti assistiamo nella crescita e nello sviluppo, accompagnandole
nell’outsourcing della professionalità. Quali suggerimenti, Eminenza,
può dare a questi soggetti in quell’ottica armonica di “vivere insieme”
che genera vita buona?
- Ame pare che una delle causa principali della situazione di fragilità in cui
versa la nostra società sia il grave indebolimento delle relazioni personali al
suo interno. L’uomo del terzo millennio è precipitato in un individualismo
esasperato, che ha un aspetto fino ad oggi inedito: è un individualismo di
massa e per giunta “neutro”. Intendo cioè che esso non è più soltanto
basato sulla pretesa di autonomia che ha segnato l’epoca moderna, ma sta
conducendo l’uomo verso l’indifferenza, nelle sue scelte, al bene e al male.
Questo “uccide” la dimensione fondamentale dell’uomo che è quella del-
l’
essere-in-relazione
, dimensione senza la quale non solo la persona fatica
a praticare il bene, ma nemmeno lo impara. Come fare dunque a recuperare
terreno su questo? Vivendo relazioni buone e favorendo pratiche virtuose
che rinvigoriscano il tessuto sociale litigioso e infiacchito della nostra
società. C’è bisogno cioè di quella che Aristotele chiamava
philìa
, amicizia
civica, condizione essenziale per reimparare il bene.
La ringrazio nuovamente, Eminenza, a nome de “Il Commercialista
Veneto” per la Sua cortese disponibilità.
Intervista al Patriarca
SEGUE DA PAGINA 3
Con il provvedimento del 25maggio 2009 l’Istat (Istituto nazio-
nale di statistica), alla vigilia della presentazione del Rapporto
annuale 2009 ha formalmente deciso di abolire il Servizio delle
Statistiche Giudiziarie, attivo dal 1938.
In particolare, l’Ufficio svolgeva le attività di rilevazione, con-
trollo e gestione dei dati e/o informazioni relative alla statistica
giudiziaria inmateria civile, penale e amministrativo-contabile
nonché analisi ed elaborazione dei dati correlate alle nuove esi-
genze informative del Ministero di Giustizia. Ora le competen-
ze dell’importante struttura sono state letteralmente frantuma-
te e sparse all’interno di tre direzioni centrali che poco o nulla
hanno in comune con laGiustizia. L’improvvisa decisione è sta-
ta presa nonostante una relazione del presidente Biggeri del 24
novembre 2008, nella quale si parlava, invece, della necessità di
rilanciare il Servizio (Mercogliano Katiuscia
1
).
Con la soppressione del Servizio delle statistiche giudiziarie
vienemeno uno degli strumenti che, per decenni, ha contribuito
amonitorare uno dei settori vitali del Paese.
Usi/RdB-Ricerca (SindacatoNazionale Lavoratori dellaRicer-
ca dell’Unione Sindacale Italiana affiliato alle Rappresentanze
Sindacali di Base) ha chiesto che della questione se ne occupino
il Ministro di Grazia e Giustizia, il Csme l’Associazione Nazio-
naleMagistrati, la cui attività, come noto, non può prescindere
dalla esistenza di adeguati e seri strumenti informativi tra i
quali rientravano a pieno titolo le Statistiche Giudiziarie.
Invece di potenziare un servizio sicuramente utile, lo si chiude,
disperdendo le esperienze e le competenze accumulate in de-
cenni di servizio.
Inparticolare non saranno piùmonitorati nemmeno i fallimenti
le cui statistiche fornivano informazioni e dati molto interes-
santi, come ad esempio la durata, il numero, l’ammontare del
passivo, le perdite dei creditori, le spese ed altro ancora.
L’Istat abolisce
il servizio
delle statistiche
giudiziarie
GiuseppeRebecca
BarbaraBagnara
Ordine di Vicenza
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http://edasociety.educazione-degli-adulti.it/farm