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NUMERO 197 - SETTEMBRE / OTTOBRE 2010
IL COMMERCIALISTA VENETO
L'innovativo "regime fiscale
di attrazione europea"
NORMATIVA INTERNAZIONALE
ALBERTO PISARRO
Praticante Ordine di Venezia
L’articolo 41 del D.L. n. 78 del 31 maggio 2010
1
, convertito con modificazioni
dalla Legge n. 122 del 30 luglio 2010 (c.d. Manovra d’Estate), ha introdotto un’age-
volazione che incentiva l’avvio di attività economiche in Italia, favorendo l’ingresso
all’interno del nostro Paese di imprese residenti in altri Stati membri dell’Unione
Europea. Tale previsione agevolativa non si traduce, come spesso avviene, nella
concessione di crediti d’imposta, detassazioni forfetizzate o agevolazioni di altro
tipo, ma consiste nel diretto riconoscimento di sistemi tributari di altri Stati.
La nuova disposizione in analisi
, in vigore dallo scorso 31 luglio 2010, consente
alle imprese dell’U.E. che intraprendono in Italia una nuova attività economica, di
scegliere, in alternativa alla normativa fiscale italiana, quella vigente in un differente
Paese U.E. Il legislatore riduce così parzialmente la potestà impositiva dello Stato
italiano, in quanto la determinazione della base imponibile, e forse anche dell’impo-
sta, potrebbero avvenire con le regole di un Paese U.E., ancorché il reddito deter-
minato resti, comunque, assoggettato a tassazione in Italia.
Uno dei dubbi che il decreto attuativo dovrà risolvere riguarda, infatti, la misura
dell’aliquota d’imposta sulle società: bisognerà capire se sarà quella del Paese U.E.
diverso dall’Italia o l’aliquota prevista ai fini IRES. La norma, nella sua formulazio-
ne testuale (“normativa tributaria statale vigente in uno degli Stati membri
dell’U.E.”), lascerebbe spazio ad una interpretazione estensiva, consentendo l’ap-
plicazione dell’aliquota dello Stato estero.
Sarebbero, così, acuite le divergenze tra imprese estere insediate in Italia e imprese
residenti nella determinazione delle imposte. La previsione in commento non pone
alcun vincolo alla forma giuridica utilizzata dal soggetto estero stabilito all’interno
del territorio italiano; il nuovo regime potrebbe quindi essere fruito, oltre che dalle
società di capitali, anche da imprese individuali o società di persone.
Il regime fiscale di attrazione europea può considerarsi, a tutti gli effetti, una novità
assoluta, tanto interessante ed innovativa, quanto ancora tutta da definire, anche in
considerazione dei possibili effetti discriminatori che si potrebbero generare a dan-
no delle imprese residenti. Proprio per questo motivo, si è in attesa,
in primis
,
dell’approvazione in sede comunitaria e
in secundis
dell’uscita di un decreto del
Ministero dell’economia e delle finanze che detti le disposizioni attuative.
L’origine comunitaria della normativa in analisi
La previsione normativa in commento rappresenta un peculiare passo in avanti
dell’Italia, rispetto all’azione che la Commissione Europea promuove da anni,
affinché le imprese operanti in più Stati possano applicare norme impositive omo-
genee. Si ricorda, che la nuova norma presenta alcuni punti in comune con il mecca-
nismo della “Home State Taxation” previsto in sede di Commissione Europea.
Trattasi, quest’ultimo, di un progetto “guida”, che era stato proposto per le piccole
e medie imprese comunitarie al fine di ridurre i costi di
compliance
rispetto alle
regole degli Stati esteri in cui esse investono, e che consentirebbe alle branch o alle
controllate estere di essere tassate secondo le regole fiscali vigenti nello Stato di
residenza della casa madre.
Aprendo una succursale o una stabile organizzazione in un altro Stato U.E. si
sarebbero dunque utilizzate soltanto le regole tributarie già familiari applicate nel
Paese d’origine. La base imponibile unica, secondo il progetto comunitario, sarebbe
stata poi ripartita fra i diversi ordinamenti interessati dall’attività del soggetto
estero secondo criteri di allocazione predeterminati, ferma restando l’applicazione
dell’aliquota d’imposta di ciascun Paese in cui veniva esercitata l’attività.
Tra libertà di stabilimento e concorrenza fiscale dannosa
La previsione normativa in commento, così come strutturata, potrebbe profilare
situazioni di reale svantaggio per gli operatori residenti: le imprese italiane potreb-
bero, peraltro, trovarsi a concorrere con imprese finanziariamente agevolate per un
arco di tempo molto ampio, grazie ad un presumibile effetto domino del beneficio
da queste ottenuto, sul carico fiscale proprio e su quello dei relativi collaboratori e
dipendenti, nei tre anni di opzione.
Da un lato, dunque, la norma appare coerente con il principio della libertà di
stabilimento
2
garantita dal Trattato della C.E., ma dall’altro lato pare d’obbligo
verificarne la coerenza con i principi di derivazione comunitaria in materia di con-
correnza fiscale dannosa
3
. A ben vedere, questi ultimi contrasterebbero le previsio-
ni legislative volte in particolare a:
-
creare un livello di tassazione notevolmente inferiore alla soglia generale del
paese interessato;
-
riservare benefici fiscali ai non residenti.
Il Codice di Condotta sembrerebbe essere violato, accertato che l’impresa non
residente riceve un trattamento tributario più favorevole rispetto a quello delle
imprese residenti in Italia
4
, a seguito di una politica fiscale volta ad attrarre capitale
economico all’interno del nostro Paese.
Tale previsione normativa pare si debba inoltre confrontare con la previsione co-
munitaria in tema di aiuti di Stato
5
: “
…gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero median-
te risorse statali, sotto qualsiasi forma, che falsino o minaccino di falsare la con-
correnza, favorendo talune imprese o talune produzioni, che in quanto tali incida-
no sugli scambi tra Stati membri, sono incompatibili con il mercato comune…le
norme sugli aiuti di Stato si applicano indipendentemente dalla forma con cui è
fornito l’aiuto; vale a dire che qualsiasi tipo di sgravio fiscale può costituire un
aiuto di Stato se gli altri criteri sono soddisfatti
”.
Si ricorda, inoltre, che tale vantaggio competitivo potrebbe risultare ancora più
ampio, qualora il beneficio fosse esteso ai lavoratori dipendenti e ai collaboratori
dell’impresa estera stabilita in Italia.
Ulteriori aspetti da chiarire
Relativamente al sistema impositivo richiamato, invece, si auspica che il Decreto di
attuazione chiarisca se sia effettivamente possibile, come sembra trasparire dalla
formulazione legislativa, riferirsi ad uno Stato comunitario terzo rispetto a quello di
residenza dell’impresa estera: se fosse così, ad esempio, una società francese po-
trebbe avviare un’attività economica in Italia disciplinata fiscalmente dalla norma-
tiva irlandese, e ciò potrebbe ingenerare profili di natura elusiva.
Altro profilo che meriterebbe un chiarimento è quello relativo all’eventuale attrazio-
ne a tassazione ai fini IRAP del reddito calcolato con le regole proprie dello Stato
estero. Sul punto, la norma fa esplicito riferimento alla “
normativa tributaria statale”
e tale locuzione, aggiunta in sede di conversione, lascerebbe presumere che il legisla-
tore abbia voluto limitare l’attrazione europea alla sola imposta sulle società.
Interpello preventivo
Tale previsione normativa, così come concepita, richiederà la presentazione di un
interpello preventivo secondo le regole del “
Ruling internazionale
” ex art. 8 del
D.L. 269/2003, il quale dovrà concludersi, ovviamente con esito positivo. L’appli-
cazione della previsione normativa necessiterà, dunque, della conoscenza della
legislazione di tutti i Paesi membri dell’Unione Europea, ragione per cui le modalità
di presentazione dell’istanza testé menzionata risulteranno essere fondamentali al
fine di svolgere una ruolo decisivo, volto a riscontrare il parere positivo dell’Ammi-
nistrazione Finanziaria.
1
Art. 41 Regime fiscale di attrazione europea
1) Alle imprese residenti in uno Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia che intraprendono in Italia nuove attività economiche, nonché ai loro dipendenti e
collaboratori, per un periodo di tre anni, si può applicare, in alternativa alla normativa tributaria statale italiana, la normativa tributaria statale vigente in uno degli Stati membri
dell’Unione europea. A tal fine, i citati soggetti interpellano l’Amministrazione Finanziaria secondo la procedura di cui all’articolo 8 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269
convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.
1 bis) Le attività economiche di cui al comma l non devono risultare già avviate in Italia prima della data di entrata in vigore del presente decreto e devono essere effettivamente
svolte nel territorio dello Stato.
2) Con decreto di natura non regolamentare del Ministero dell’economia e delle finanze sono stabilite le disposizioni attuative del presente articolo.
2
Si ricorda che l’art. 43 (per le persone fisiche) e l’art. 48 (per le persone giuridiche) del Trattato della Comunità Europea intendono per libertà di stabilimento, la possibilità
di costituire e gestire un’impresa o intraprendere una qualsiasi attività economica in un Paese della Comunità Europea, tramite l’apertura di agenzie, filiali e succursali;
3
Vedasi, in proposito, le conclusioni del Gruppo di studio sull’imposizione fiscale (“il gruppo Monti”), istituito dal Consiglio dei Ministri delle finanze (Eco.Fin) - il Codice di
Condotta per la tassazione delle imprese – “La politica tributaria nell’Unione Europea: relazione sullo sviluppo dei sistemi tributari”; il Codice di Condotta in materia di fiscalità
delle imprese, la cui conformità è controllata da un organismo nominato dai Ministri nazionali delle Finanze: il cosiddetto “gruppo Primarolo” – Bollettino U.E. 12-1997;
Rapporto OCSE del 20 gennaio 1998 sulla concorrenza fiscale – Harmful tax competition. An emerging global issue; Fondazione Pacioli – documento n. 4 del 28 gennaio 2002
– La lotta dell’OCSE alla concorrenza fiscale dannosa dopo il rapporto del 2001: lo stato dell’arte e i possibili sviluppi;
4
In controtendenza con il principio volto ad agevolare le imprese italiane, anche limitando il potere concorrenziale di realtà estere, in questo caso si andrebbe ad incidere sulla
competitività delle prime, che non potendo esercitare un’opzione analoga a quella consentita all’impresa comunitaria, si troverebbero in svantaggio competitivo rispetto a
quest’ultima;
5
Comunicazione della Commissione Europea 98/C 384/03.