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NUMERO 214 - LUGLIO / AGOSTO 2013
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IL COMMERCIALISTA VENETO
L
A
B
OCHA
DE
L
EON
Domande, riflessioni , dialoghi
Nell’antica Repubblica di Venezia, le “Boche de Leon” erano particolari contenitori, per lo più esternamente
decorati a muso di leone con le fauci spalancate, che rappresentavano la “buca” ove inserire denunce
segrete destinate ai Magistrati. Ciascuna “bocha” era di solito destinata ad una specifica categoria di
denunzie, esplicitata in una apposita dicitura. Le denunzie, pur garantite dal segreto, non potevano essere
anonime, fatta eccezione per casi particolare gravità, nel qual caso comunque veniva avviato un particolare
procedimento di verifica, prodromico a qualsivoglia ulteriore azione. In tutti gli altri casi, le denunzie
anonime venivano immediatamente distrutte.
- Nella foto:
Venezia – Palazzo Ducale: Bocha de Leon
: “Denontie secrete contro chi occulterà gratie et officii o
colluderà per nasconder la vera rendita d’essi” (sostanzialmente, denunzie segrete contro gli evasori fiscali).
Finest S.p.A.:
ha ancora un senso?
Caro Direttore,
in questi tempi di crisi nell’industria e nell’occupazio-
ne nazionale e regionale hanno ancora senso istituzio-
ni come Finest S.p.A.?
Partiamo dalla più banale considerazione economica:
la vera crescita di una nazione parte prima di tutto
dalla capacità e possibilità di produrre beni di consu-
mo da vendere sul mercato interno e soprattutto da
poter esportare. La politica ha l’unico compito di age-
volare la produzione e favorire l’occupazione e creare
quindi anche le condizioni affinché dall’estero trovino
conveniente venire a produrre nella nazione.
In Italia accade che la politica faccia tutto il contrario e
a volte c’è da pensare che la miopia di certi politici,
anche considerati eccelsi, non abbia limiti. Il caso Finest
è, a mio modesto avviso, emblematico: una legge del
1991 (!) ha creato i presupposti per l’istituzione di
questa società partecipata prevalentemente da enti o
società pubbliche (
in primis
la Friulia S.p.A.) per
“l’internazionalizzazione” delle imprese.
Non negando i buoni propositi iniziali di dare un vero
supporto alla internazionalizzazione “positiva”, nel
senso di diffusione internazionale del nostro tessuto
industriale per avere anche ricadute positive nel mer-
cato e tessuto interno, è purtroppo evidente come
“internazionalizzare” in campo produttivo sia diven-
tato di fatto esclusivamente sinonimo di “delocalizzare”
cioè trasferire gli impianti produttivi dall’Italia in na-
zioni con un costo del lavoro più basso.
Il fatto aberrante è che per esportare le imprese e i loro
impianti produttivi venga dato tutto il supporto di con-
sulenza e finanziario per incentivare l’esodo; e tutto ciò
ovviamente con fondi che derivano dalle tasche di noi
contribuenti italiani. Il risultato è paradossale, e si tra-
duce in una enorme perdita di competitività del sistema
produttivo.
Per questo la Finest dovrebbe essere immediatamente
chiusa: piuttosto che proseguire con la missione di
favorire l’internazionalizzazione-delocalizzazione delle
imprese tanto vale far fare
harakiri
all’economia del-
l’Italia e soprattutto del nostro Territorio.
Marcello Mazza
(Udine)
Caro Collega,
purtroppo quel che sta accadendo sempre più fre-
quentemente nel nostro territorio è una vera e propria
fuga da un Paese che non solo non sembra più in
grado di capire come supportare le iniziative impren-
ditoriali, ma che ormai appare anche come un ostaco-
lo sempre più arduo nella già difficile competizione
internazionale.
Molti dei nostri Paesi vicini ne stanno da tempo ap-
profittando, cercando di attrarre le nostre imprese a
suon di detassazioni decennali, contributi a fondo per-
duto, agevolazioni nella formazione del personale,
garanzie di snellezza burocratica e di stabilità norma-
tiva, e così via. Non solo Serbia e Carinzia, ma addirit-
tura la Svizzera: tutti impegnati in vere e proprie cam-
pagne promozionali, che trovano un terreno sempre
più fertile tra i nostri stremati imprenditori.
In questo contesto, non credo proprio che la strada
giusta sia quella di abolire istituzioni come Finest o
Simest.
Semmai, sarebbe tempo di colmare l’impressionante
gap che esiste rispetto a Paesi come la Germania, che
da anni sostengono le loro imprese nei loro sforzi di
penetrazione dei mercati internazionali, non con inuti-
li missioni “turistiche”, ma con strutture efficientissime,
alle quali l’imprenditoria locale si è largamente ap-
poggiata, con ritorni che oggi sono sotto gli occhi di
tutti. Servirebbe un progetto strategico chiaro, cui ispi-
rare specifiche iniziative non episodiche, ma a carattere
strutturale: una sorta di miraggio, considerato l’attua-
le contesto economico e politico del nostro Paese.
Ma forse si potrebbe provare a ripartire da quel poco
che già c’è, quanto meno a livello organizzativo e
strutturale, sfruttando al meglio le poche risorse fi-
nanziarie che ancora possono essere messe in campo.
Non tutto è perduto, per fortuna.
Afoni e acefali
Caro Direttore,
siamo afoni e acefali, e nessuno si cura di noi.
La nostra categoria professionale è afona, non si fa
proprio sentire. Le forze politiche fanno i loro riti, le
associazioni di categoria qualcosa fanno e dicono, noi
praticamente non esistiamo proprio. Nessuno ci in-
terpella, ormai da molto tempo, e nonostante la nostra
presunzione (ci riteniamo, e spesso anche lo siamo,
tecnici capaci) per nessuna norma siamo interpellati,
in nessun caso, nemmeno nelle materie di nostra spe-
cifica competenza. L’Amministrazione Finanziaria si
fa beffe di noi, del nostro lavoro, e gioca con i termini
e la retroattività. E noi, sempre senza voce.
Siamo anche acefali, dallo scorso anno. Non abbiamo
né Consiglio Nazionale né tantomeno un presidente. E
questo è sicuramente un male, anche se questa bruttis-
sima storia dovrebbe farci riflettere sul presente e sul-
la rappresentanza in generale.
Futuro? Sta solo in noi cercare di intervenire, farci
sentire, farci apprezzare e magari anche con una “rap-
presentanza” condivisa, in grado di farlo. Nel frattem-
po, non dobbiamo diventare anche agnostici, indiffe-
renti alla realtà economica, finanziaria, sociale. Sareb-
be un grande errore. Ci vuole comunque coraggio, a
continuare nel nostro lavoro quotidiano, e a non farci
sopraffare dall’inquietudine o dallo scoramento.
Giuseppe Rebecca
(Vicenza)
Caro Collega,
purtroppo – come ho già avuto modo di dire - temo
manchi la consapevolezza della gravità della situa-
zione che la nostra categoria sta vivendo: il contesto è
tale per cui qualsiasi azione, iniziativa o intervento, in
qualsiasi modo proposto e da qualsiasi direzione pro-
veniente, sarebbe preferibile al silenzio ed all’inerzia
che ci sta caratterizzando.
Ma la cosa che più sorprende è il grado di aspettativa
che gran parte dei nostri clienti e degli interlocutori
con cui quotidianamente ci interfacciamo sembrano
riporre in una qualche nostra presa di posizione sui
temi che più stanno loro a cuore, connessi con la
fiscalità e con la gestione delle loro attività. Un’aspet-
tativa che è figlia di un legame profondo, e che non
può assolutamente andare disattesa, se non a rischio
di una irreparabile rottura di quel legame, le cui con-
seguenze possono essere solo immaginate. E’ il tempo
delle azioni concrete e dei gesti simbolici, che forse
possono partire anche dal nostro angolo di Paese.
L'iscrizione
al Registro dei Revisori:
tra il ridicolo e l'illegale
Caro Direttore,
sono alle prese con la registrazione al Registro dei
Revisori tenuto dal MEF sia per la mia posizione
personale che per la società di revisione di cui sono
legale rappresentante.
Premesso che ho dovuto preliminarmente comunicare
il mio indirizzo di posta certificata ed inviare la richie-
sta della seconda parte della password con firma digi-
tale, ho scoperto, con sorpresa, che la risposta, obiet-
tivamente celere da parte del Ministero, è avvenuta da
un indirizzo di posta normale, e non certificata, come
si sarebbe potuto immaginare. Non è un controsenso?
Ridicola è la situazione per la società di revisione. Le
istruzioni dicono che le società che hanno comunicato
alle Camere di Commercio il proprio indirizzo di po-
sta certificata ricevono automaticamente la password
per accedere al sito. Solo nel malaugurato caso che ciò
non avvenga, allora bisogna procedere con l’
iter
ma-
nuale. Guarda caso, la mia società non ha ricevuto la
password, per cui ha dovuto scaricare dal sito un mo-
dulo, stamparlo, firmarlo ed inviarlo per raccomanda-
ta al Ministero. Questo solo per ottenere la password...
Sono passate due settimane e non ho ancora visto
nulla. Mi domando: mi sbaglio, o esiste una legge dello
Stato che impedisce alla Pubblica Amministrazione di
chiedere informazioni di cui è già in possesso? Le Ca-
mere di Commercio hanno tutto: nomi delle società di
cui siamo sindaci, codici fiscali, date di nomina e per-
sino i compensi.
Perché nessuno si lamenta? Capisco che il commissa-
rio che rappresenta il nostro Consiglio Nazionale (il
famoso ex presidente dei notai che ha fatto la famosa
inserzione sui giornali invitando la cittadinanza a diffi-
dare dai dottori commercialisti per le cessioni di quo-
te) non sia toccato da questo problema, ma almeno i
nostri sindacati che fanno? Siamo sempre i soliti
pecoroni che brontolano tanto di nascosto, ma alla
fine obbediscono sempre, passivamente e supinamente?
Grazie per lo sfogo
Adriano Cancellari
(Vicenza)
Caro Collega,
temo che le vicende che stanno caratterizzando la pri-
ma formazione del nuovo Registro dei Revisori da
parte del MEF siano solo l’inizio di un processo invero
molto più preoccupante delle pur stigmatizzabili diffi-
coltà che tutti noi abbiamo incontrato nel dar corso ad
un adempimento che avrebbe potuto essere gestito in
modo obiettivamente molto più semplice, se non auto-
matico. Mi auguro di sbagliarmi, ma mi sembra di
percepire un’aria di contributi variabili in funzione
dei compensi, e di controlli e accertamenti (demandati
a non si sa bene quali soggetti) di fronte ai quali gran
parte dei colleghi potrebbe trovarsi impreparata, abi-
tuata com’è all’utilizzo del buon senso nella gestione
di un’attività che, per la gran parte delle piccole im-
prese che soggiacciono all’obbligo della revisione,
dovrebbe forse essere declinata secondo canoni e sche-
mi semplificati.
Il momento sarebbe assolutamente opportuno, alla
luce anche della recente emanazione della nuova Di-
rettiva n. 2013/34/UE dello scorso 26 giugno, la quale
prevede che gli Stati membri possano esentare dalla
revisione legale dei conti le imprese minori (il cui limi-
te sarebbe individuato dai parametri indicati nell’art.
2435 bis c.c.): in previsione del suo recepimento, che
dovrà avvenire in vista dei bilanci 2016, sarebbe for-
se opportuno darsi da fare subito…