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NUMERO 206 - MARZO / APRILE 2012
IL COMMERCIALISTA VENETO
La prevenzione delle crisi d'impresa
e il ruolo dell'attività professionale
SOCIETÀ
Premessa
Uno dei temi maggiormente dibattuti in sede istituzionale in questo perio-
do attiene alle definizione di politiche per la crescita, considerate - tra l’altro
- un valido deterrente per contrastare il triste fenomeno degli imprenditori
suicidi, derubricato da qualcuno come “conseguenze umane della crisi”.
Su questo argomento è in corso
un dibattito, alimentato prevalen-
temente attraverso confronti a
distanza, in particolare tra Gover-
no e Confindustria, senza che si
riesca peraltro ad approdare ad
alcuna conclusione utile o prati-
cabile, in un continuo rimando
di responsabilità che pare fine a
se stesso.
Anche in questo caso, come pe-
raltro in molte altre situazioni, la
nostra categoria appare muta e
distante, come se l’argomento
non entrasse in qualche modo
nelle sue competenze, emulata in
questo caso da altre categorie
professionali.
Che la responsabilità principale
di attivare strumenti di contra-
sto a questo fenomeno ricada
sulle autorità governative non
c’è dubbio, e le dichiarazioni del
premier in ordine alla sua presunta ineluttabilità – oltre a non convincere –
sono sembrate a molti di cattivo gusto o, nella migliore delle ipotesi, uno
scivolone istituzionale.
Esse dimostrano tuttavia che, in questo ambito, i governi hanno necessità
di cooperare con organizzazioni ed istituzioni che operano in stretto colle-
gamento con le imprese, e dovrebbe essere chiaro che tra questi soggetti la
categoria dei professionisti contabili appare in prima linea, unitamente alle
associazioni di categoria ed altri attori del mondo professionale che sono a
vario titolo investiti dalle imprese dei loro problemi (avvocati e consulenti
del lavoro in primis). Appare infatti riduttivo e fondamentalmente sbagliato
ritenere che il principale supporto professionale di cui vi sia necessità in
questi casi sia quello degli psicologi.
È difficile rivendicare un ruolo di protagonista nel mondo economico-isti-
tuzionale del Paese se ci si sottrae all’assunzione di responsabilità in que-
stioni come quella in argomento, ritenuta magari “scomoda”, ma relativa-
mente alla quale appare quanto meno doveroso effettuare alcune riflessio-
ni. E una volta tanto non parliamo di istituti di credito o di Equitalia, attori
non necessariamente protagonisti diretti di queste dinamiche.
L’evoluzione della crisi
Tutti ci dobbiamo confrontare in questo periodo con un gran numero di
imprese in difficoltà, con dei fascicoli sempre più numerosi che passano
sulle nostre scrivanie, e per le quali non sempre intravvediamo possibilità
di soluzione o fuoriuscita dalla situazione in cui sono precipitate.
I titolari di queste imprese hanno a volte delle dirette responsabilità sullo
stato delle loro aziende, ma molto spesso la crisi è sopravvenuta a seguito
Il quadro della situazione e le conseguenze sociali
dei problemi del loro settore di appartenenza, o per il fatto che i loro clienti
sono falliti o sono anch’essi in difficoltà, in un perverso effetto domino che
può condurre alla chiusura dell’attività. Anche il patrimonio personale e
famigliare dell’imprenditore è spesso coinvolto nei destini dell’impresa,
determinando la perdita dei beni e dei valori costituiti a garanzia.
Abbiamo tutti studiato che la normale evoluzione dell’economia di mercato
prevede l’alternarsi di cicli favorevoli e sfavorevoli, ma questo fatto non
viene ancora accettato dalla società nel suo complesso; in particolare l’im-
prenditore viene celebrato ed
ammirato quando matura i suoi
successi, per la sua capacità di
creare opportunità di lavoro e
distribuire ricchezza nel proprio
territorio, ma sostanzialmente
messo all’indice nel momento in
cui il business non funziona più
e si arriva alla cessazione dell’at-
tività.
Non appare determinante il fat-
to che si pervenga alla chiusura
attraverso una liquidazione vo-
lontaria o accedendo a procedu-
re fallimentari, ancheminori; l’ef-
fetto sarà quasi inevitabilmente
la “riprovazione sociale”.
Questo mette a fuoco la princi-
pale causa del triste fenomeno
degli “imprenditori suicidi”, le-
gata ad una caduta della propria
immagine nel contesto sociale in
cui le vittime operano.
Eppure ogni anno, centinaia di migliaia di imprese in Europa chiudono.
Questo fa parte delle dinamiche di un’economia sana e, infatti, solo il 50%
delle imprese sopravvive 5 anni dopo la sua creazione. Di tutti le chiusure,
i fallimenti aziendali rappresentano circa il 15% e di questi solo una percen-
tuale dal 4 al 6% sono fallimenti che possono essere classificati come
fraudolenti. Inoltre gran parte di essi sono dovuti a cause diverse dalla
cattiva gestione.
I dati sopra riferiti si riferiscono ad un periodo precedente il verificarsi della
crisi in atto e questa argomentazione veniva trattata diffusamente in una
Comunicazione della Commissione Europea del 30 agosto 2008 volta a
“superare la stigmatizzazione del fallimento aziendale”, elaborato in attua-
zione della strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione.
Ne emerge uno spaccato della società europea del tutto simile a quella
nazionale, senza prospettiva di modificarne la mentalità in tempi rapidi, del
tutto incapace di valutare se il comportamento degli imprenditori – nella
fase di chiusura della propria attività - sia stato necessariamente guidato
da un atteggiamento orientato alla frode oppure no.
Il punto di vista dei professionisti
Ma una questione importante è rappresentata dall’atteggiamento di quella
parte della società civile rappresentata dai professionisti contabili e giuri-
dici. Non esistono delle rilevazioni statistiche in grado di rappresentarne le
opinioni al riguardo; lascio a ciascuno dei colleghi meditare un proprio
punto di vista.
SEGUE A PAGINA 23
ANGELO SMANIOTTO
Ordine di Belluno