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NUMERO 205 - GENNAIO / FEBBRAIO 2012
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IL COMMERCIALISTA VENETO
C'era una volta
il commercialista condotto
GIORGIO MARIA CAMBIÈ
Ordine di Verona
Q
UANDO INIZIAI LAPROFESSIONE, NELLA preisto-
ria, gli adempimenti richiesti a noi e ai nostri clienti
erano tutt’un’altra cosa. Si dovevano presentare entro
il 31marzo le dichiarazioni dei redditi, allora ancora chia-
mate “Vanoni” dal nome del padre degli scartafacci fi-
scali, il nostro amato collega Ezio Vanoni. Pensate che
se negli scartafacci, per la “Vanoni”, avevate fatto un errore, poco
importava: in fase di revisione (venivano revisionate tutte) si metteva-
no a posto i conti, si toglievano le poste sbagliate, e arrivava una
cartella con solo l’ imposta non calcolata e qualche lira di interessi. Era
evidentemente un altro mondo. Nel quale il dottore commercialista
muoveva i primi passi. Il campo delle attività spicciole era occupato dal
“ragionier” la cui notorietà risaliva ai “rasonati” della RepubblicaVeneta
e che soddisfaceva le necessità della clientela minuta. In provincia, se
si domandava a un passante chi era il
commercialista, ci si sentiva risponde-
re “l’e’quel che iuta i comercianti”. Il
Veneto si stava riempiendo di micro
imprese. In testa quelle che noi oggi
chiameremmo “Labour intensive” . Il
capitale investito era sempre poco e
veniva centellinato dalle filiali locali
agli artigiani che erano ben parlati da
parte del parroco. Serviva per acqui-
stare a cambiali le prime macchine. Gli
“stabilimenti ” erano vecchie stalle dal-
le quali erano state sfrattate le origina-
rie abitatrici, era stata dato una mano di
calce ai muri con la pompa del verdera-
me, si era spianato il pavimento di ciot-
toli, passato sopra una gettata di ce-
mento bocciardato (per non scivolare,
c’era già la preoccupazione per la sicu-
rezza!). Qualche soldo speso per tirare
i fili della luce e lo stabilimento era pronto. Altre soluzioni erano gli
scantinati ed i sottoscala, tutti pronti in vari modi a divenire “stabili-
menti” o “magazzini”. Ed era così che gli artigiani partivano e si trova-
vano subito davanti agli obblighi fiscali, allora piuttosto blandi. Qui
cominciavano a conoscere il commercialista, ragioniere o dottore che
fosse. Era visto come una noia obbligatoria, una delle stranezze che
voleva la legge, come l’iscrizione all’INPS dei dipendenti, anche se
erano il nipote o la zia, spesso tenuti “in nero”. La contabilità poi era un
optional
, tenuta solo pel caso sciagurato che venissero le “Finanse”.
La produzione andava per l’80% in Germania, venduta tramite grossi-
sti tedeschi che non erano alieni dal tirare qualche bel bidone ai nostri
“industriali”.
E il “commercialista” in questo mondo bene o male faceva il maestro e,
checché ne pensino i ministri delle finanze e i vari Befera succedutisi
nel tempo, era anche quello che poneva un po’ di ordine nel caos e che
faceva osservare alla meno peggio le norme fiscali, oscure allora come
oggi. Ma quando aveva riscosso la fiducia dei clienti, doveva fornire
consigli su tutto: su che tipo di auto da comperare (la prima comprata
nuova) o il posto dove andare per qualche giorno di vacanza (anche
questa la prima da quando erano nati). Era un vero e proprio “commer-
cialista condotto”. Per la sua acculturazione aveva pochissimi mezzi.
C’era, ausilio principe, il “Bollettino Tributario di Informazioni”, mensi-
le dalla copertina gialla e bianca, molto “autorevole”, che ha fatto fare
un disastro di soldi ai suoi intelligenti editori. Poi c’erano due quoti-
diani economici confindustriali; “Il Sole” e “24 ore “ che un bel giorno
si fusero nell’ attuale “Il Sole-24 ore”. C’erano le pubblicazioni della
benemerita ditta Pirola di Milano, specializzata in manuali tecnici per
noi. C’era la casa Giuffrè che pubblicava ponderosi testi di luminari del
diritto. Su un altro piano c’era “LEX”, che riportava in dimensioni più
accettabili delle lenzuolate della Gazzetta Ufficiale le leggi che usciva-
no. Tutto qui. Ricordo che avevamo stabilito un’ “educazione profes-
sionale continua” casereccia. Ci trovavamo il sabato mattina da un
nostro collega che era l’unico che avesse una sala che poteva ospitare
una decina di persone, dove teneva il suo archivio, e lì, dopo aver
raccolto tutte le sedie dello studio, ci scambiavamo le nostre idee,
presentavamo dei casi successi, chiedevamo lumi su come comportar-
ci in casi difficili. Ma, come “sul campo” qualcosa si muoveva ed alle
stallette erano subentrati i capannoncini prefabbricati col tetto in Eternit,
anche per noi le possibilità di aggior-
namento aumentarono. Benemerite e
di successo furono le riunioni indette
dal “Commercialista Veneto” nelle va-
rie città venete per discutere gli argo-
menti di maggiore attualità e benvenu-
to fu “Il Commercialista Veneto” che
portava a tutti i colleghi triveneti i di-
battiti dei nostri incontri del sabato,
moltiplicati per mille.
Gli strumenti del mestiere erano delle
simpatiche calcolatrici manuali che si
chiamavano, mi pare, “Olivetti Summa”.
Una grande sensazione causò la
“Divisumma”, con la quale si poteva-
no fare anche moltiplicazioni e soprat-
tutto divisioni, anziché solo le normali
addizioni e sottrazioni. E funzionava a
motore. Nelle imprese, in quelle dove
era andata bene e dal capannoncino si
era passati nello stabilimento in muratura, aveva fatto la sua comparsa
un’ingombrante e rumorosa macchina a schede perforate, che permet-
teva l’elaborazione della contabilità, ma anche varie altre statistiche se
fossero state necessarie alla gestione. Era la nonna del computer. Quan-
do arrivò quest’ultimo il panorama era cambiato, il miracolo veneto si
era afflosciato e le imprese che avevano cercato di resistere avevano
delocalizzato in Ungheria o in Romania. Le rimaste stavano lottando
per la sopravvivenza fra norme fiscali sempre più pesanti e stringenti e
fra mille lacci e laccioli di ogni tipo. Il computer ci mise del tempo a
diffondersi, anche ostacolato dal fatto che i primi tipi erano costosi,
usavano del software altrettanto costoso e poco
user friendly
ma
soprattutto avevano memorie che si riempivano subito e costringeva-
no a salti mortali e spese gli operatori. I commercialisti, volenti o nolenti,
hanno dovuto diventare “amici dell’ informatica” e, con l’aumento a
dismisura della legislazione fiscale e della prassi, hanno dovuto iniziare
a specializzarsi ed organizzarsi.
Noi sorridevamo quando vedevamo le insegne dei nostri colleghi in-
glesi “Jones, Jones, Jones, Jones & Brown”, ma quello che ci toccherà
fare nell’ immediato futuro, sia che i professionisti riuniti siano “oriz-
zontali”, ovvero di varie specialità, oppure “verticali”, specializzati
nelle varie branchie della professione, sarà creare anche noi studi
“Bianchi, Bianchi, Bianchi, Bianchi &Gambaretto”.
Ma non saranno più “commercialisti condotti”.