Page 18 - CV

Basic HTML Version

18
NUMERO 203/204 - SETTEMBRE / DICEMBRE 2011
IL COMMERCIALISTA VENETO
Gestione aziendale: quindi, controllo di gestione
o gestione del controllo? Come fare?
CONTROLLO DI GESTIONE
GIANNI MILANELLO
Ordine di Vicenza
U
na parte di noi dottori commercialisti
è attratta dal cosiddetto
“controllo di gestione”, forse perché vede in ciò una evoluzio-
ne/diversificazione della propria professione, o forse della pro-
pria professionalità. A ben vedere quando ci si trova a discutere
magari occasionalmente tra colleghi, in realtà ciascuno ha un suo modo di
intendere il controllo di gestione concordando, i più, che ne faccia parte
anche quella disciplina che è conosciuta come analisi di bilancio per indici,
o per indici e flussi. Altri pensano che il controllo di gestione sia più pro-
priamente quell’attività che si occupa di rilevare i costi (per centro, per
reparto, per attività) cercando poi in qualche modo di spalmarli il più ogget-
tivamente possibile sui centri/reparti per arrivare alla determinazione dei
costi dei prodotti. E’ anche opinione prevalente che la costruzione del
budget, il calcolo e l’analisi degli scostamenti verso il budget sia materia
propria di questa “disciplina”. Credo che tutto questo sia vero e
condivisibile, ma che riguardi solo una parte, e forse la meno interessante,
dell’attività di controllo della gestione. La gestione la fanno le persone,
decidendo ogni giorno sulle cose che fanno, dall’amministratore delegato
alla persona che si occupa delle pulizie, ciascuno per le proprie autonomie.
Ebbene, sono loro che possono esercitare il controllo, inventando e speri-
mentando ogni giorno modi nuovi di eseguire le attività. Si tratta quindi di
gestire il modo con cui avviene questo controllo. Ecco quindi che a mio
modesto avviso, salve le tecniche sopra esposte, il controllo di gestione
non può avvenire se non con una gestione del controllo: è una sorta di
filosofia di vita aziendale. Perché, come dicono i sacri testi, il controllo è
compito di tutti e interessa tutti in azienda, e, penso, proprio in questo
senso. In pratica, per iniziare su questo fronte, si tratta di compendere e far
comprendere che ogni processo/attività viene svolta in un tempo. Questo
tempo può essere scomposto in tre tipi di tempo diversi: T1=tempo che
produce valore; T2=tempo che non produce valore ma necessario; T3=
tempo che non produce valore e non necessario. E’ noto che i costi sono
dati dall’impiego/consumo delle risorse, mai dall’approgionamento delle
stesse. La riduzione dei costi (quantità fisiche e non valore/prezzo/costo)
avviene quindi limitando l’uso delle risorse impiegando quantità di tempo
minore per le attività/processi. Con doppio risultato conseguente: minore
tempo e maggiore risorsa disponibile o reimpiegabile. Normalmente l’ap-
proccio all’impiego di minore tempo (risparmio/recupero di tempo) viene
vissuto in questo modo:
Tempo standard x attività/processo:
Miglioramento tradizionale:
Ciò naturalmente comporta un grande stress da parte delle persone che si
costringono a semplicemente aumentare la velocità, invariato il resto: affa-
ticamento con aumento di errori, rilavorazioni, etc., senza contare i neces-
sari straordinari che riallineano il tempo verso l’originario.
Miglioramento radicale con analisi e pratica Kaizen (fare bene):
Effetto dei due approcci:
Primo approccio: riduzione non molto significativa, con compressione del
tempo T1: risultato: sensibile peggioramento della qualità. Grande stress.
Secondo approccio: grande miglioramento, con mantenimento del tempo
T1: lavoro meglio, mantengo e forse miglioro la qualità, posso avviare
un’altra attività. No stress.
Come è possibile? Imparando a vedere e a voler vedere lo spreco (T3),
seguendo le idee e le indicazioni, guidate, degli operatori. Loro sanno dove
sono i problemi e quindi gli sprechi: occorre guidarli nella soluzione.
Se non si ottiene un miglioramento decisamente significativo in tre giorni,
significa che si sta sbagliando qualcosa. Quando le persone scoprono
questo (nel senso che lo provano) ci sono due atteggiamenti normali: a)
cavalcare la provocazione facendola propria b) rifiutare combattendo il
cambiamento che da solo si propone, lì, evidente, inconfutabile, negando
l’evidenza e facendo lotta serrata. C’è un terzo atteggiamento, che oserei
definire patologico: l’indifferenza. E’ di tutta evidenza che bisogna dedicar-
si. Seriamente. E il successo va celebrato, nei dovuti modi: il contagio è
assicurato. Ha inizio una caccia al tesoro senza fine. E’ chiaro a questo
punto che gli standard saltano! Bisogna farli saltare! In una parola questo
è l’inizio del cambiamento. Un controllo di gestione basato su standard che
prevedono la rigidità nella conduzione delle attività, perché così si hanno
termini di paragone certi, consente solo qualche miglioramento, ma non
potrà mai consentire di vedere oltre; è uno strumento che favorisce lo
status quo
. Spesso è interesse di un certo tipo di capi e dirigenti che tutto
ciò non avvenga: lo
status quo
è comodo per molti, non dovendosi sovver-
tire l’ordine costituito. Per l’imprenditore, poi, non ne parliamo: lui cerca le
certezze! Eccole lì belle pronte, con i costi standard predisposti tramite
ribaltamenti e ribaltoni, da centri su centri, su reparti, su prodotti, con
alchimie varie di parametri. Naturalmente tutto torna: questo conta! Non è
importante che ci sia il miglioramento possibile, l’importante è che tornino
i conti, che lo standard sia standard, appunto. …E su questo prendiamo il
premio, l’importante è avere uno standard sempre migliorabile, quindi che
possa assicurare il premio, eh!
E debbasi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più
dubia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad intro-
durre nuovi ordini. Perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che
delli ordini vecchi fanno bene, et ha tepidi defensori tutti quelli che delli
ordini nuovi farebbono bene. La quale tepidezza nasce, parte per paura
delli avversarii, che hanno le leggi dal canto loro, parte dalla increduli-
tà delli uomini; li quali non credano in verità le cose nuove, se non ne
veggono nata una ferma esperienza. Donde nasce che qualunque volta
quelli che sono nimici hanno occasione di assaltare, lo fanno
partigianamente, e quelli altri defendano tepidamente; in modo che in-
sieme con loro si periclita”
, N. Macchiavelli,
Il Principe
.
Qual è la conseguenza di tutto ciò, del miglioramento rilevante? Valutiamo
bene: non un risparmio di costi, ma un risparmio di tempo (indici di rotazio-
ne: ruotano di più le attività dello stato patrimoniale, il circolante innanzi
tutto; e quindi c’è bisogno di minori investimenti). Il tempo risparmiato
quindi è denaro, è vero, ma le persone che ora lavorano per 5 ore anziché
per 8, sono comunque presenti per le altre tre ore. In ogni caso saranno un
costo pari a otto ore.
Bisognerà, più o meno preventivamente, occuparsi della loro formazione e
riqualificazione, per usare un brutto temine. Preferirei , come termine, “uti-
lizzare bene le loro capacità ed intelligenze”.
Se è vero come è vero che le persone sono un patrimonio di conoscenze,
bisognerebbe smettere di considerarle come un costo da conto economico
e ritenerle a buon titolo un componente dell’attivo dello stato patrimoniale.
Da questo punto di vista i principi contabili sono un po’ da porre in discus-
sione, forse. Il bilancio sociale o il bilancio dell’intangibile migrano
concettualmente in questo senso, infatti. E’ bene riflettere sul fatto che,
forse, quando un nostro valido collaboratore se ne va, a parte non avere
più il costo del suo stipendio (forse ammortamento?), ci perdiamo una
plusvalenza che va in capo all’acquirente che lo assume a costo zero, non
riconoscendoci l’avviamento. Perché il valore se lo porta via lui e lo porta
da chi lo potrà (saprà) forse utilizzare. E’ questo il bello della conoscenza: è
di tutti, e chi la cede non se ne priva; è l’unico bene, la conoscenza, che non
abbandona chi la trasferisce. …Si potrebbe obiettare: “ ma a noi commer-
cialisti queste cose non interessano, sono questioni che riguardano la
gestione e quindi l’imprenditore e la sua organizzazione”….Sì, convengo, è
senza dubbio una considerazione giusta.
E’ giusto che il cliente si arrangi, che i suoi problemi organizzativi se li
risolva, magari rivolgendosi a qualcuno che se ne occupi…e che magari gli
dia buoni consigli, compreso quello di guardarsi attorno e cambiare il suo
commercialista, che magari non gli ha mai detto certe cose…Noi commer-
cialisti, d’altra parte, siamo stati da tempo assunti dal Fisco…
T3