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NUMERO 200 - MARZO / APRILE 2011
IL COMMERCIALISTA VENETO
IL FONDATORE
DINO SESANI
Ordine di Venezia
Duecento,
ma non li dimostra
D
UECENTO,
ma non li dimostra!
Non li dimostra perché la maggioranza delle pagine
pubblicate proviene dai colleghi più giovani, molti di
essi praticanti, tutti con la voglia di emergere e far
scoprire i talenti e la preparazione scientifica dei commercialisti
che vivono e lavorano nelle terre venete.
E’ questo il filo che collega quattro generazioni e mezzo
di persone che si sono avvicendate alla direzione, alla redazione
ed alla collaborazione de
Il Commercialista Veneto
, dalla fonda-
zione nel giurassico 1965 ad oggi con immutato intento, sorrette
unicamente dalla passione e dalla gioia di rendere un servizio
alla comunità professionale di appartenenza.
Detesto ferocemente il trionfalismo perché vuoto e ridicolo, però
consentitemi di covare nella zona più appartata del mio animo,
l’esultanza per questo importante traguardo e l’orgoglio di far
parte della schiera di coloro che hanno saputo mantenere, svilup-
pare ed arricchire attraverso tanti anni, una voce libera ed impar-
ziale ed aggiungo in un sussulto di fierezza, “impareggiabile”.
Il nostro Direttore mi ha chiesto di scrivere qualche riga di rifles-
sione personale sul tema del futuro della professione. Se fossimo
in TV, la risposta non potrebbe essere diversa da “questa si che
è una bella domanda!”.
La domanda non è soltanto bella, è bellissima, ma si presenta
purtroppo con il grave difetto di essere assai difficile. Per questo,
lo confesso, sono riuscito a stento a sottrarmi alla tentazione di
girarla ad una chiromante o meglio ancora, se ce ne fosse ancora
qualcuno vivo, ad un profeta.
Viviamo infatti, sia come cittadini sia come professionisti, in
un’epoca (altro che momento!) la cui durata non è per nulla
prevedibile, nel segno dell’incertezza e della angustia: l’esecutivo
non dimostra di essere in condizione di dominare la crisi e si
prodiga invece con ostinata determinazione a dissolvere quel poco
che è rimasto del principio dell’affidamento con il quale lo Stato di
diritto regola i rapporti tra governanti e governati.
Un esempio? L’idea stravagante di revocare il riscatto della
laurea e del servizio militare. Ma anche l’opposizione non scher-
za: che ne dite della tassa aggiuntiva del 15% sui capitali rientrati
dall’estero? Rileviamo invece una soave concordanza di intenti
bi-partisan, seppure con diverse modulazioni, sul progetto
di abolizione degli Ordini professionali e degli esami di Stato.
BASTA COSÌ? SUSSISTEREBBERO
ampie e motivate
ragioni per intraprendere un viaggetto di sola andata alle isole Figi,
dove un tempo, dicono, vivevano i cannibali, ma ora esse risultano
trasformate in accoglienti villaggi turistici con tanto di resort, spa
ed altro e dove si può pescare anche senza la licenza regionale.
Mi scuso per questa confidenziale e forse un po’ scontata rifles-
sione: cercherò ora di rimediare facendo appello all’inguaribile
ottimismo che ha permeato il lungo cammino della mia vita,
concedendomi il sottile piacere di far affiorare qui pochi ma
essenziali elementi positivi, che potrebbero accompagnare nel
breve o medio tempo, il tormentato percorso su cui è avviata la
nostra categoria.
Ho sempre riflettuto su due aspetti per così dire “essenziali” della
nostra professione, che hanno presieduto alle scelte allorché
abbiamo messo piede nel mondo del lavoro.
Primo: dipendenti o autonomi?
Secondo: la nostra attività, e per corollario, la nostra categoria è
indispensabile o semplicemente utile alla clientela?
La risposta alla prima domanda l’abbiamo data con l’iscrizione
all’Ordine ed allora non dovremmo avere più dubbi sulla faticosità
che ci attende per entrare nel giro degli affari, appartengano essi
al pubblico o al privato, sui rischi provenienti dagli incidenti di
percorso con conseguenze giudiziarie, dallo stato di salute proprio
e dei familiari, dalle incertezze sul nostro futuro, provocate
dalle insolvenze della clientela particolarmente
avvertite in tempi di crisi.
Questo pacchetto di fattori negativi può essere affrontato
con relativa efficacia solo attraverso una intelligente rete di polizze
assicurative come pure da una efficiente procedura di riscossione
dei crediti professionali.
La risposta alla seconda domanda è certamente più complessa e
meno gestibile della prima, perché richiama la necessità di doversi
affacciare su un mosaico assai variegato di situazioni sia personali
sia geopolitiche, che consente pur tuttavia di affermare che oggi il
mondo del lavoro produttivo ci riconosce il connotato della
indispensabilità nell’esercizio di una attività di pubblico interesse,
ricca di uno spettro di molteplici funzioni altamente specializzate.
Questi a mio avviso, sono i “fondamentali” su cui riposa e deve
riposare la professione del commercialista, consolidatasi
nei decenni lungo un percorso tutto in salita e che dovremo
continuare a percorrere senza sosta né incertezze.
Ripeto senza sosta né incertezze, perché le energie sprigionate
dalla globalità sono sospinte non più dalla velocità come avveniva
nel secolo scorso, ma dall’accelerazione che cambia i ritmi,
modifica le atmosfere della vita quotidiana, determina nuovi
comportamenti nei rapporti sociali ed economici.
Se dunque è vero che rendiamo un servizio indispensabile, ci
incombe il dovere di saper cogliere i versi dei mutamenti, il senso
delle novità e salire sul treno in corsa delle opportunità che la
contingenza ci offre, per migliorare la nostra situazione professio-
nale e quindi personale.
Oggi queste opportunità non mancano: penso al tribolato decreto
legislativo 28/2010 recante la disposizione per la mediazione civile,
le norme introdotte dalla legislazione europea in materia di revisio-
ne legale e controllo dei conti, la presenza dei commercialisti tra i
giudici non togati nei processi tributari, l’assistenza tecnico-
contabile ed organizzativa agli enti non profit, l’amministrazione
giudiziaria di beni sequestrati a criminali. Queste opportunità
rappresentano una sfida che coinvolge soprattutto i nostri giovani.
Essi devono saperla accettare e gestire supplendo alla loro espe-
rienza necessariamente incompleta, con la qualità delle prestazioni,
qualità conseguita attraverso la determinazione, lo studio, l’aggior-
namento e soprattutto la fiducia in sé stessi.
Per concludere non posso non soffermarmi sul problema
previdenziale, che si riallaccia alle considerazioni relative alla
prima domanda in termini di rischi, incertezze e rimedi.
Come noto, l’autonomia delle Casse Previdenziali dei professioni-
sti, affermata dalle leggi 509 del 1994 e 103 del 1996, non appare
più un dogma. La Commissione di vigilanza sui fondi pensione
(COVIP) sta esercitando pressanti controlli sui bilanci degli istituti
pensionistici dei professionisti, introducendo paletti in materia di
investimenti patrimoniali, sui contratti di lavoro dei dipendenti, su
eventuali conflitti di interesse e sulle spese di esercizio.
A mio parere è una manovra che corre parallela con quella della
soppressione degli Ordini e dunque occorre una forte coesione da
parte di tutte le categorie professionali.
Anche in questo caso la strada da imboccare senza farsi eccessi-
ve illusioni sulla completezza della copertura, è ancora quella
dell’assicurazione privata.
Concludo queste note con il grido di guerra che si levava dalle
tolde delle galere veneziane, poco prima dell’assalto: Duri i banchi
e saldi in poppe!