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NUMERO 220 - LUGLIO / AGOSTO 2014
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IL COMMERCIALISTA VENETO
bligo dell’Amministrazione al rimborso, così come mancata formale determinazio-
ne (nel
quantum
) dello stesso e conseguentemente, come sancito dalle Sezioni
Unite della Corte di Cassazione con sentenza 8.10.2008, n. 24774 ed altresì in
Cassazione, n. 10725/2002 impossibilità da parte del contribuente di azionare nei
confronti dell’Amministrazione Finanziaria sia la procedura esecutiva di cui agli
artt. 479 e ss. cod.proc.civ., sia il giudizio di ottemperanza di cui all’art. 70 D.Lgs.
31.12.1992, n. 546.
3.
Il vizio di omessa pronuncia: i rimedi esperibili dal contribuente
Quale rimedio offre il legislatore nell’ipotesi (purtroppo non insolita) di omissione
della pronuncia giudiziale di condanna? Per ovviare all’omessa pronuncia il contri-
buente è gravato dello stesso onere impugnatorio che su di esso graverebbe nel-
l’ipotesi di rigetto del ricorso, ovvero l’impugnazione della sentenza di primo
grado. Ad essa farà (ovviamente) seguito la costituzione in giudizio dell’Ammini-
strazione Finanziaria e la conseguente proposizione da parte della difesa erariale
dell’appello incidentale relativamente al capo di sentenza che l’ha vista soccombente
(ovvero l’annullamento dell’atto impositivo). Sorge spontanea la seguente doman-
da: quale contribuente, dopo aver ottenuto in primo grado una sentenza di annulla-
mento della cartella esattoriale (o altro atto tributario) impugnata (magari miliona-
ria), a fronte, tra l’altro, dell’acquiescenza dell’Amministrazione Finanziaria, pro-
porrebbe ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria competente?
Quali orizzonti si aprono allora al contribuente?
La sentenza di annullamento passata in giudicato costituisce per il contribuente il
mero presupposto
per promuovere una successiva domanda (sempre dinanzi al
giudice tributario
4
) che condanni
specificatamente
l’Amministrazione alla restitu-
zione dell’indebito. È solo in questo nuovo giudizio che verrà a formarsi il titolo
giudiziario fondante la pretesa di restituzione in ossequio al quale l’Amministra-
zione Finanziaria provvederà (o quantomeno dovrebbe provvedere) <<spontanea-
mente>> a disporre il rimborso.
Infatti, con la C.M. del 1.10.2010 n. 49/E l’Agenzia delle Entrate, nel fornire
chiarimenti circa l’esecuzione dei rimborsi dovuti per effetto delle sentenze rese
dinanzi le Commissioni tributarie, ha evidenziato che gli Uffici sono obbligati a dare
sistematica e puntuale attuazione delle pronunce, qualunque ne sia l’esito, sia esso
favorevole al contribuente, che vantaggioso per l’Amministrazione, senza finanche
attendere la notifica della sentenza, “
purché
il dispositivo della sentenza contenga
tutti gli elementi necessari alla determinazione dell’importo da rimborsare
”.
Ciò significa – e la prassi lo conferma – che a fronte di una sentenza di mero
annullamento dell’atto impositivo passata in giudicato, l’Amministrazione statale –
per sua stessa ammissione –, non si attiverà per disporre il rimborso delle somme
versate dal contribuente, ma rimarrà inerte, in attesa che lo stesso proponga un nuovo
giudizio (con conseguenti oneri a suo carico) tendente ad accertare il
quantum
.
Non v’è chi non veda come l’interpretazione fornita dall’Amministrazione con la
suddetta Circolare Ministeriale superi, a danno del contribuente, il dettato dell’art. 68
D.Lgs. 546/1992 che invece si limita a prevedere che «
Se il ricorso viene accolto
,
il
tributo corrisposto in eccedenza
rispetto a quanto statuito dalla sentenza della com-
missione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali,
deve
essere rimborsato d’ufficio
entro 90 giorni dalla notificazione della sentenza
».
Ebbene è evidente che la sentenza della Commissione tributaria che annulli l’atto
impugnato prevedendo l’infondatezza
ab originem
della pretesa impositiva accer-
ta inconfuntabilmente che
ogni eventuale versamento
eseguito dal contribuente
in ottemperanza al suddetto ordine impositivo
era indebito
e deve quindi essere
d’ufficio rimborsato nella sua interezza. Secondo quanto espressamente dispone la
legge, infatti, la sentenza emessa ai sensi dell’art. 68 D.Lgs. 546/1992 è immediata-
mente produttiva di effetti, elimina dal “mondo giuridico” l’atto impugnato con la
conseguente previsione che il contribuente non solo non deve corrispondere più
alcuna somma, ma
ha diritto
(d’ufficio, cioè senza alcuna necessità di istanza di
parte) alla restituzione di quanto corrisposto in eccedenza.
Nonostante la predetta chiara ed inequivoca previsione normativa e il monito più
volte espresso dalla Suprema Corte di Cassazione la quale ha più volte affermato
che «
la legge vuole che la situazione patrimoniale del contribuente non sia pregiu-
dicata da un atto amministrativo che il giudice competente ha valutato illegittimo
»
5
,
nella prassi si registra il mancato spontaneo rimborso da parte dell’Amministrazio-
ne. Tale contegno omissivo si pone in violazione sia del principio di tutela dell’in-
tegrità patrimoniale del contribuente di cui alla Legge 27.7.2000, n. 212, sia del
principio generale dell’ordinamento giuridico che vieta di arricchirsi
ingiustificatamente (ovvero senza causa) a danno altrui.
Non solo. Significa altresì violazione da parte della Pubblica Amministrazione dei
principi di
imparzialità e di buon andamento
sanciti dall’art. 97 della Costitu-
zione. Principi questi che devono guidare l’agire dell’Amministrazione non solo
nell’ambito dell’attività di esecuzione del comando legislativo, ma anche rispetto
all’esecuzione del comando giurisdizionale: non riconoscere il diritto del contri-
buente alla restituzione delle somme indebitamente versate in forza di un atto
impositivo dichiarato nullo significa infatti agire consapevolmente in aperto con-
trasto con un comando giudiziale.
V’è di più. Il mancato riconoscimento in via amministrativa del diritto al rimborso
in capo al contribuente e il conseguente onere (anche economico) posto in capo al
medesimo di instaurare un nuovo giudizio per ottenere “il bene della vita” cui lo
stesso aspira, si pone in palese contrasto con il principio della ragionevole durata
del processo codificato all’art. 111 Costituzione, un valore questo di interesse
generale alla cui realizzazione devono essere impegnati tutti i protagonisti della
scena processuale e, a parere di scrive, ancor di più, l’Amministrazione statale
qualora essa sia parte in causa.
4.
L’art. 96 cod.proc.civ.: l’applicazione dell’istituto della condanna per
responsabilità aggravata in caso di omesso tempestivo e spontaneo rimborso
da parte dell’Amministrazione Finanziaria delle somme indebitamente ver-
sate dal contribuente sulla base di un atto impositivo annullato
A fronte dell’(eventuale) contegno omissivo consapevolmente mantenuto dall’Am-
ministrazione nei casi di mero annullamento dell’atto impugnato è giocoforza rite-
nere che il contribuente, nel corso del successivo giudizio tendente ad ottenere la
pronuncia di condanna dell’Amministrazione statale alla ripetizione dell’indebito,
possa chiedere – e abbia diritto di ottenere – la condanna della stessa Amministra-
zione ai sensi dell’art. 96 cod.proc.civ..
Tale norma, applicabile al giudizio tributario in virtù del rinvio generale previsto
dall’art. 1, comma 2 del D.Lgs. 546/1992, consente al Giudice di condannare la
parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con colpa grave o malafede
al pagamento di una somma di denaro. Il suddetto potere sanzionatorio, dopo la
legge 18.6.2009, n. 69, è stato adeguatamente rafforzato: la novella legislativa, con
l’inserimento del terzo comma, svincola infatti il potere sanzionatorio conferito al
Giudicante, dalla prova del danno, potendo la quantificazione dello stesso avvenire
in via equitativa.
La condanna di cui all’art. 96, comma 3 cod.proc.civ. finisce cioè per assumere
carattere punitivo
, diretto a scoraggiare comportamenti - siano essi attivi o omissivi
- contrari alla funzionalità della giustizia e, più in generale, al rispetto della legalità.
Essa quindi mira a colpire tutte quelle condotte che finiscono per violare il princi-
pio di lealtà processuale codificato all’art. 88 cod. proc.civ., nonché quelle che
finiscono per ledere il principio di rilevanza costituzionale della ragionevole durata
del processo di cui all’art. 111 cost..
Proprio in virtù della siffatta esigenza di scoraggiare l’abuso del processo e di
preservare la funzionalità della giustizia, la Suprema Corte di Cassazione (cfr.
Cassazione, n. 21570/2010) ha riconosciuto che l’ampia previsione di cui al comma
3 consente al Giudice di liquidare in favore del contribuente vittorioso una somma,
in via equitativa, a titolo di risarcimento dei danni patiti a causa dell’esercizio da
parte dell’Amministrazione Finanziaria di una pretesa “temeraria” cioè derivante
da mala fede o colpa grave, con conseguente necessità del contribuente di adire il
giudice tributario. Così statuendo la Cassazione ha
esteso il concetto di respon-
sabilità processuale
, prima limitato al solo contegno mantenuto dalle parti nel
corso del giudizio, e conseguentemente ha statuito la legittimità dell’applicazione
della condanna di cui all’art. 96 cod.proc.civ. anche relativamente al contegno man-
tenuto dall’Amministrazione nel corso della c.d. fase amministrativa.
Il solo fatto cioè che il contribuente abbia subito una pretesa temeraria legittima lo
stesso a chiedere ed ottenere la condanna dell’Amministrazione Finanziaria al pa-
gamento di una somma, equitativamemte determinata, a titolo risarcitorio.
Se dunque la pretesa tributaria infondata e temeraria legittima di per sè il ricorso alla
disciplina sanzionatoria di cui all’art. 96, comma 3 cod.proc.civ., a
fortiori
è corret-
to ritenere che il mancato spontaneo adempimento da parte dell’Amministrazione
al dettato di cui all’art. 68 D.Lgs. 546/1992 in presenza di una pronuncia giudiziale
che annulli la pretesa impositiva legittimi il Giudice tributario – adito dal contri-
buente al solo fine di ottenere la pronuncia di condanna –, a sanzionare l’Ammini-
strazione Finanziaria al pagamento della medesima sanzione pecuniaria di cui all’art.
96, comma 3 cod.proc.civ..
Solo così il contribuente dopo aver già subito l’infondata pretesa impositiva poi
annullata potrà essere risarcito dell’ulteriore danno patito per l’inerzia ingiustificata
dell’Amministrazione.
La tutela del contribuente
nel caso di mancato spontaneo
riconoscimento da parte
dell'Amministrazione Finanziaria
SEGUE DA PAGINA 18
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Sul punto la giurisdizione delle Commissioni tributarie è stata definitivamente affermata dalle Sezioni Unite della Cassazione con sentenza 8 ottobre 2008, n. 24774 la quale
ha statuito che ogniqualvolta la domanda di rimborso riguarda un credito tributario, ancorché esso trovi la sua giustificazione in una pronuncia di annullamento dell’atto da parte
del giudice tributario, la giurisdizione spetta a quest’ultimo, poiché la stessa è in funzione dell’oggetto della domanda e prescinde dalle ragioni per le quali è richiesto.
5
Cfr. Cassazione, 22.9.2006, n. 20526 richiamata da Cassazione, 10.7.2008, n. 19078.