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NUMERO 217 - GENNAIO / FEBBRAIO 2014
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IL COMMERCIALISTA VENETO
gestore. Nelle ipotesi
sub
a),
sub
b),
sub
c) e
sub
d), la lettura della norma risulta,
all’evidenza, compatibile sia con il negozio di destinazione con trasferimento ad un
gestore che con quello autodichiarato, in quanto essa comporta che i soggetti ivi
indicati possano agire contro il gestore o contro qualunque terzo che tenti di impe-
dire la realizzazione del fine di destinazione. Nell’ipotesi
sub
e), invece, la lettura
della norma, postulando che il soggetto interessato sia il gestore (che — in quest’ot-
tica — può agire contro qualunque terzo che tenti di impedire la realizzazione del
fine di destinazione), parrebbe comportare l’inammissibilità di un negozio di desti-
nazione autodichiarato (il che, al solito, comporterebbe una differenza rispetto al
trust): la legittimazione di tale gestore, infatti, concorrendo in base alla norma con
quella del conferente, implicherebbe che il gestore sia soggetto diverso da costui.
8. Se la separazione patrimoniale prodotta dall’atto di destinazione
sia “
unilaterale
” o “
bilaterale
La dottrina che più ha approfondito il fenomeno della separazione patrimoniale
88
e‘ solita distinguere fra una separazione bilaterale (detta anche ‘‘
perfetta’’
) ed una
separazione unilaterale (detta anche ‘‘
imperfetta’’
): nel primo caso, il patrimonio
destinato risponde solo delle obbligazioni inerenti alla destinazione ed il patrimo-
nio generale del debitore solo di quelle ad essa estranee, mentre nel secondo caso le
obbligazioni inerenti alla destinazione possono trovare soddisfacimento anche sul
patrimonio generale del debitore. Stante il silenzio dell’art. 2645 ter c.c. sul punto,
la dottrina si è interrogata sul carattere bilaterale ovvero unilaterale della separazio-
ne ivi prevista
89
. Secondo un’opinione, a quanto consta, isolata
90
, la separazione si
atteggia come unilaterale o bilaterale a seconda di cosa preveda, al riguardo, il
negozio di destinazione
91
. Secondo altro autore
92
, la separazione prodotta dal nego-
zio sarebbe di tipo bilaterale, perché tale è l’intendimento perseguito dal disponen-
te allorché lo pone in essere e non occorrerebbe, pertanto, alcuna norma espressa
per sancire tale tipo di separazione: ciò alla stessa stregua — si afferma — di
quanto accade per i patrimoni destinati delle s.p.a., in cui il citato art. 2447 quinquies
terzo comma c.c. detta la regola della bilateralità della separazione.
Appare però preferibile la tesi
93
, del resto dominante, secondo la quale la separa-
zione è unilaterale. Risulta infatti condivisibile la generale premessa su cui detta tesi
si fonda, cioè l’assunto secondo il quale, poiché la bilateralità della separazione
costituisce un’ulteriore deroga al principio della responsabilità generale sancito
dall’art. 2740 primo comma c.c. ed il successivo secondo comma di tale norma
contiene una riserva di legge in tema di patrimoni separati, soltanto una norma di
legge potrebbe prevedere, per le singole ipotesi di patrimonio separato, detta
bilateralità (il che non accade — appunto — per l’ipotesi di patrimonio separato ex
art. 2645 ter c.c., il quale tace al riguardo).
Fra i fautori dell’unilateralità della separazione si discute, comunque, in ordine alle
modalità con cui il creditore della destinazione possa aggredire i beni personali del
gestore. Secondo l’orientamento che pare prevalente
94
la responsabilità del patri-
monio personale del gestore è sussidiaria, in quanto costui è titolare del beneficio
d’escussione
95
. Secondo altra impostazione
96
, che pare preferibile, i beni del gesto-
re risponderebbero, invece, in solido con il patrimonio destinato, senza che possa
ipotizzarsi sussidiarietà alcuna, stante l’inesistenza di un principio generale in tal
senso
97
. Sorge, a questo punto, spontaneo un raffronto fra la separazione patrimoniale
propria del negozio di destinazione
98
e quella propria del trust.
Secondo il diritto inglese, infatti, il trustee risponde delle obbligazioni inerenti al
trust anche con il proprio patrimonio personale, abbia egli o meno palesato al terzo
la propria qualità di trustee
99
. Tale principio viene spiegato con la considerazione
che, non essendo il trust un soggetto di diritto
100
, l’attività del trustee non può
essere equiparata a quella di un organo di un ente e, come tale, non può che essere
imputata al soggetto trustee. Il trustee che abbia fatto fronte al debito avrà poi
101
diritto di rivalsa nei confronti dei beni in trust e tale diritto di credito è assistito da
una sorta di privilegio su detti beni, nel senso che esso dev’esser soddisfatto con
precedenza rispetto ai diritti dei beneficiari.
Una siffatta responsabilità illimitata del trustee sussiste — è opportuno ribadirlo
— pur se egli abbia palesato al terzo contraente tale sua qualità
102
.
La giurisprudenza inglese ha comunque precisato
103
che il trustee potrebbe limitare
la sua responsabilità ai soli beni in trust (ovvero, a seconda del tenore della pattuizione
intervenuta, anche al valore dei beni in trust o a parte di detto valore) ove il
contratto da egli stipulato con il terzo contenga una clausola che lo preveda espres-
samente. Ne discende che un trust regolato dal diritto inglese parrebbe caratteriz-
zarsi per una separazione di tipo unilaterale (e con responsabilità solidale fra
patrimonio in trust e patrimonio personale del trustee), salvo che, nel singolo caso
concreto, vi sia stato un patto contrario fra il trustee ed il terzo contraente.
Esistono, comunque, numerosi leggi diverse da quella inglese
104
secondo le quali il
trustee che abbia palesato al terzo tale sua qualità risponderà dei relativi debiti solo
con i beni in trust, sì che in tale ipotesi un trust interno regolato da una di tali leggi
parrebbe fonte di una separazione di tipo bilaterale
105
.
9. Conclusioni
Da quanto si è esposto nei paragrafi precedenti parrebbe emergere con chiarezza
quanto segue:
- che l’art.2645 ter cc è norma a tal punto mal redatta che l’utilizzo dell’atto di
destinazione pone l’operatore di fronte a serie e molteplici difficoltà;
- che ove prendessero campo una o più delle interpretazioni restrittive che si sono
esposte nei paragrafi da 3 a 7, tale strumento negoziale risulterebbe meno competitivo
rispetto al trust interno, istituto quest’ultimo che la norma in esame intendeva,
all’evidenza, soppiantare
106
.
88
Cfr. A. Pino,
Il patrimonio separato
, Padova 1950, 19; M.Bianca,
Vincoli di destinazione e patrimoni separati
, Padova 1996, nota 7 alle pp. 181 ss.
89
Occorre al riguardo una precisazione preliminare: nel caso in cui si ammetta la configurabilità non solo del negozio di destinazione autodichiarato, ma anche di quello
prevedente il trasferimento dei beni ad un terzo gestore (cfr. § 7), in quest’ultima ipotesi la persona del ‘‘
debitore’’
cui si fa riferimento nel testo dovrà essere individuata non
già nel disponente, bensì nel soggetto gestore titolare dei beni destinati (cfr.P. Manes,
La norma sulla trascrizione degli atti di destinazione è, dunque,
norma sugli effetti,
in
Contr. e Impr. 2006, 629): sarà pertanto il patrimonio generale di costui, il quale agisce per la destinazione e, stipulando negozi con i terzi, contrae i relativi debiti, a dover
eventualmente (ove si acceda alla tesi della separazione unilaterale) rispondere dei medesimi (poiché diversamente opinando si finirebbe per porre a carico del disponente una
sorta di responsabilità oggettiva per i debiti in questione).
90
Cfr. L.Salamone,
Destinazione e pubblicità immobiliare. Prime note sul nuovo art. 2645 ter c.c.
, in Aa.Vv.,
La trascrizione dell’atto negoziale di destinazion
e cit., 151-152.
91
Così argomentando, l’autore finisce in pratica per ipotizzare un regime analogo a quello desumibile, in tema di patrimoni destinati delle s.p.a., dall’art. 2447 quinquies terzo
comma c.c., che consente al disponente — appunto — una siffatta opzione per l’uno o l’altro regime di responsabilità.
92
Cfr. S. D’Agostino,
Il negozio di destinazione nel nuovo art.2645 ter c.c.
, in Riv. Not.2007, 1551-1554.
93
Cfr. G. Petrelli,
La trascrizione
cit., § 15; S.Bartoli,
Riflessioni
cit., 1309-1310; F. Gazzoni,
Osservazioni
cit., 234-235.
94
Cfr. G. Oppo,
Riflessioni preliminari
, in Aa.Vv.,
La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione
cit., 14-16; S. Meucci,
La destinazione
cit., 435-436; G. Baralis,
Prime
riflessioni
cit., 153.
95
Si afferma ciò ipotizzando l’esistenza di un preteso principio generale in tal senso, principio che sarebbe desumibile: a) dall’art. 2911 c.c., per il quale, se vi sono beni del debitore
ipotecati o sottoposti a pegno, il creditore non può sottoporre ad esecuzione altri beni se non coinvolgendo anche quelli oggetto di dette garanzie; b) dal regime della separazione
unilaterale proprio del fondo patrimoniale, quale dovrebbe evincersi dall’applicabilità ad esso, in via analogica, dell’art. 190 c.c. dettato in tema di comunione legale (per
l’applicabilità analogica di tale norma cfr., altresì, T. Auletta,
Il fondo patrimoniale
cit., 321; in senso contrario cfr. V. De Paola,
Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale
,
tomo terzo, Il regime patrimoniale della famiglia. Separazione dei beni - Fondo Patrimoniale - L’impresa familiare, Milano 1996, 33); c) dal regime relativo alla responsabilità
per debiti sociali del socio illimitatamente responsabile (cfr. artt. 2268 c.c. per la società semplice, 2304 c.c. per la s.n.c., 2315 c.c. — che rinvia alle norme sulla s.n.c. e quindi
all’art. 2304 c.c. — per la s.a.s. e 2461 primo comma c.c. — che rinvia all’art. 2304 c.c. — per la s.a.p.a.).
96
Cfr. F. Gazzoni,
Osservazioni
cit., 234-235.
97
E' stato infatti evidenziato: a) che l’art. 2911 c.c. non prevede affatto la sussidiarietà dell’espropriazione dei beni non oggetto di garanzia specifica rispetto a quella dei beni
che ne sono oggetto, ma semmai il cumulo fra le due espropriazioni; b) in stretta connessione con quanto appena osservato, che una norma di riferimento più appropriata per
l’interprete dovrebbe essere, semmai, l’art. 2868 c.c. (dettato per l’ipoteca per debito altrui, cioè per un’ipotesi di responsabilità per debito altrui assimilabile a quella — qui in
esame — della responsabilità del patrimonio personale del gestore per debiti non già suoi personali, bensì inerenti alla destinazione), secondo il quale il soggetto gravato da ipoteca
non vanta alcun beneficio d’escussione, salvo che consti un espressa pattuizione in tal senso; c) che, anche a voler accedere alla tesi che ritiene applicabile per analogia l’art. 190
c.c. al fondo patrimoniale, non vi è base per estendere al di là di tale ambito il principio di sussidiarietà contenuto in tale norma; d) che il regime relativo alla responsabilità per
debiti sociali del socio illimitatamente responsabile costituisce il frutto di una scelta di politica legislativa parimenti non estendibile al di là di detto ambito (d’altro canto — si
aggiunge — il principio di sussidiarietà non costituisce regola generale neppure nel contesto della disciplina degli enti, siano essi o meno personificati, ove si consideri ad esempio
che, in tema di associazioni non riconosciute, l’art. 38 c.c. fissa il diverso principio della solidarietà); e) che la soluzione della solidarietà, inoltre, costituisce scelta legislativa
implicante un
favor
nei confronti del negozio ex art. 2645 ter c.c., poiché essa implica maggiori prospettive di soddisfacimento (e, quindi, un maggiore incentivo a contrarre
con il gestore) per i creditori della destinazione.
Trattasi di argomenti condivisibili, cui appare comunque possibile aggiungerne (cfr S. Bartoli,
Trust e atto di destinazione
cit., 305) almeno due: a) la solidarietà appare desumibile
anche dall’art. 1294 c.c., che fissa appunto una siffatta regola generale laddove vi siano più debitori (nel nostro caso, se è vero che il soggetto debitore è il medesimo —
trattandosi del gestore — non è men vero che i patrimoni gravati dal debito sono comunque due, cioè quello destinato e quello personale del gestore); b) la sussidiarietà, avendo
attinenza alle modalità di funzionamento della separazione patrimoniale prevista dall’art. 2645 ter c.c., dovrebbe essere espressamente prevista dalla legge anche per rispettare
la più volte ricordata riserva contenuta nell’art. 2740 secondo comma c.c.
98
La quale — come si è visto — secondo la tesi preferibile è unilaterale e comporta responsabilità solidale fra patrimonio destinato e patrimonio personale del gestore.
99
Cfr. M. Lupoi,
Istituzioni del diritto
cit., 174-175; S. Bartoli,
Il Trust 2001
, 223 ss.
100
Nega la soggettività del trust, ad esempio, Cass.28363/2011 in Trusts 2013, 280.
101
Cfr. A.Underhill-D.Hayton,
Law relating
cit., 810 ss.
102
Cfr.
Watling v. Lewis
[1911], 1 Ch.414, p. 424.
103
Cfr.
Miur v.City of Glasgow Bank
[1879] 4 App Cas, 337 at 355, 362;
Perring v.Draper
[1997] EGCS 109;
Marston Thompson & Evershed Plc v. Benn
[1998] CL 613;
Watling
v. Lewis
[1911] cit.;
Re Robinson’s Settlement
[1912] 1 Ch 717 at 729)
104
Si pensi, ad esempio, alla legge di Jersey e a quella di San Marino.
105
Nel senso che il tipo di separazione prodotta da un trust è unilaterale o bilaterale a seconda della legge regolatrice del medesimo cfr, nella nostra giurisprudenza, Cass.28363/
2011 cit.: non è chiaro, però, se il trust oggetto di tale pronunzia fosse o meno un trust interno.
106
Una pressoché certa ragione di minor competitività dell’istituto discende ad ogni modo, come si è visto al paragrafo 8, dal fatto che la separazione patrimoniale prodotta dal
negozio è meramente unilaterale.
L'atto di destinazione ex art. 2645 ter c.c.
SEGUE DA PAGINA 28
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