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NUMERO 217 - GENNAIO / FEBBRAIO 2014
IL COMMERCIALISTA VENETO
terzo gestore
69
— deve essergli da costui ritrasferito.
A sostegno di tale tesi (l’adesione alla quale comporta, dunque, una significativa
differenza di disciplina rispetto al trust nonché – ancora una volta – una minore
competitività dell’atto di destinazione) si adduce quanto segue:
a) che la norma si limita a parlare dell’esistenza di beneficiari, ma non prevede un
trasferimento del bene a costoro una volta cessato il vincolo;
b) che inoltre, laddove fosse previsto nel negozio che la cessazione del vincolo (e
quindi il trasferimento ai beneficiari finali) si verifichi alla morte del gestore, tale
previsione violerebbe il divieto dei patti successori in caso di negozio di destinazio-
ne
inter vivos
ed il divieto di fedecommesso in caso di negozio di destinazione
testamentario
70
. L’opinione che pare prevalente
71
, invece, ritiene ammissibile la
presenza di beneficiari finali e parrebbe proprio quest’ultima la tesi da preferire,
stante la non persuasività degli argomenti addotti dalla tesi contraria.
Quanto all’argomento sub a), infatti, sarebbe ben strano che il legislatore, il cui
indubitabile intendimento è stato quello di introdurre un istituto alternativo al
trust, lo abbia voluto affetto da una così grave limitazione operativa (né — d’altro
canto — nel testo della nuova norma sono reperibili elementi senz’altro ostativi
all’ammissibilità di beneficiari finali). Quanto poi all’argomento sub b), la paventata
violazione dei divieti di patto successorio e di fedecommesso parrebbe, in realtà,
non sussistere, per le ragioni che si vanno ad esporre.
Se infatti il negozio di destinazione
inter vivos
prevede che il trasferimento ai
beneficiari finali dovrà esser effettuato alla morte del gestore
72
, ciò non pare signi-
ficare che quest’ultimo abbia, in vita, disposto della sua successione a favore di
costoro (così violando — appunto — l’art. 458 c.c.).
La proprietà attribuita dal disponente al gestore per effetto del negozio di destina-
zione, infatti, è una proprietà di cui quest’ultimo, per definizione, non può dispor-
re (né fra vivi, né
mortis causa
) se non nel modo indicatogli dal disponente in detto
negozio: ciò significa, in altri termini, che il trasferimento ai beneficiari finali, lungi dal
costituire un’attribuzione
mortis causa
da parte del gestore, altro non è se non l’atto
con cui si conclude il procedimento di attuazione del disegno attributivo a suo tempo
voluto dal disponente. Per completezza, aggiungerei che una violazione del divieto ex
art. 458 c.c. parrebbe non configurabile neppure nel caso in cui il negozio ex art. 2645
ter c.c.
inter vivos
in cui il gestore sia soggetto diverso dal disponente prevedesse che
il trasferimento ai beneficiari finali dovrà esser effettuato, dal gestore, alla morte del
disponente. Ciò per le ragioni esposte in altra sede con riguardo al trust
73
e che paiono
ben estendibili all’atto di destinazione: il disponente, infatti, trasferisce i suoi beni al
trustee o gestore allorché è ancora in vita, sì che il beneficiario finisce per acquistare
da subito un’aspettativa giuridica
74
, analogamente a quanto accade al beneficiario di
un contratto a favore di terzo con prestazione da eseguirsi dopo la morte dello
stipulante (figura quest’ultima regolata dall’art. 1412 c.c.).
Neppure pare ipotizzabile che, laddove sia un negozio di destinazione testamenta-
rio a prevedere che il trasferimento ai beneficiari finali debba esser effettuato alla
morte del gestore, si avrebbe violazione del divieto di fedecommesso
75
.
In ipotesi del genere, infatti:
— in primo luogo, non pare sussistere alcun
ordo successivus
, poiché il beneficiario
finale acquista non dal testatore, ma dal gestore;
— in secondo luogo, il gestore è titolare di una proprietà meramente strumentale
all’attuazione della destinazione e che, come tale, non gli consente di trarre dal bene
alcun personale vantaggio (a differenza di quanto può, invece, affermarsi per l’isti-
tuito nel fedecommesso, il quale, come risulta dall’art. 693 primo comma c.c., gode
dei beni relitti dal
de cuius
);
— in terzo luogo, ove si accedesse alla tesi secondo la quale i beni vincolati sono estranei
alla successione
mortis causa
del gestore
76
, la fattispecie non violerebbe neppure la
ratio
sottesa al divieto di fedecommesso fondata sull’esigenza di non comprimere la
libertà di testare dell’istituito (cioè appunto, nel caso in esame, del gestore), non poten-
do egli, nel caso di specie, disporre
mortis causa
dei beni destinati.
7. Se sia ammissibile un atto di destinazione prevedente,
analogamente a quanto accade in tema di trust, un trasferimento
dei beni destinati dal disponente ad un terzo gestore
Secondo un orientamento
77
, il quale risulta fatto proprio anche da una Circolare
dell’Agenzia del Territorio
78
, la risposta al quesito oggetto del presente paragrafo
dovrebbe essere negativa ed il nuovo istituto sarebbe, dunque ammissibile solo
nella forma ‘‘
autodichiarata’
’, nella quale cioè il disponente (come di regola accade
anche in tema di fondo patrimoniale) rimane titolare dei beni destinati, assumendo
su di sé la qualifica di gestore dei medesimi.
Appare evidente come l’adesione alla tesi in esame comporterebbe una significativa
divergenza del nuovo istituto rispetto al trust
79
ed un ulteriore profilo di sua minore
competitività. A sostegno di tale conclusione restrittiva si invoca, essenzialmente, il
fatto che la norma non conterrebbe riferimento alcuno alla figura di un terzo proprie-
tario-gestore, sì che le espressioni ‘‘
conferente’’
e ‘‘
beni conferiti
’’altro non sarebbero
che il frutto di un’improprietà di linguaggio del legislatore e l’eventuale affidamento di
un incarico gestorio ad un terzo rientrerebbe nella tradizionale figura del mandato.
L’opinione dominante
80
, però, ammette sia il negozio di destinazione autodichiarato
che quello postulante un trasferimento ad un terzo gestore.
Il fatto è che la nuova norma non pare offrire elementi testuali decisivi per la
soluzione del problema, poiché utilizza ora termini neutri al riguardo (beni ‘‘
desti-
nati’’
; ‘‘
vincolo di destinazione
’’; ‘‘
fine di destinazione
’’), ora termini ambivalenti
(‘‘
conferente
’’; beni ‘‘
conferiti’’
), in quanto evocano l’immagine di un trasferimento
di beni, ma vengono inseriti in un contesto in cui mai viene menzionata l’esistenza di
un soggetto gestore che sia diverso dal soggetto autore della destinazione.
Non meno ambivalente appare, altresì, la porzione di norma per la quale il conferente
e, anche durante la sua vita, qualsiasi interessato possono agire per la realizzazione
dei fini impressi al patrimonio destinato: non essendo infatti ivi indicato contro quale
soggetto detta azione dovrà indirizzarsi, infatti, la norma parrebbe prestarsi a varie
letture
81
. La porzione di norma prevedente una sistematica legittimazione attiva del
conferente appare, infatti, consentire almeno tre interpretazioni alternative.
a) In primo luogo, essa potrebbe indicare che il conferente può agire contro il soggetto
gestore. Secondo un orientamento
82
una siffatta lettura, pur postulando un’alterità
soggettiva fra conferente e gestore (non potendo il conferente, all’evidenza, agire
contro se stesso), non sarebbe d’ausilio alla soluzione del problema, poiché la dispo-
sizione ben potrebbe riferirsi anche all’ipotesi di un negozio di destinazione
autodichiarato in cui il disponente agisca contro un terzo avente il ruolo (non già di
proprietario dei beni da gestire, bensì) di mero mandatario. Altro orientamento
83
,
invece, dall’alterità soggettiva fra conferente e gestore deduce che quest’ultimo è
proprietario dei beni da gestire e che, pertanto, questa porzione di norma postula
l’ammissibilità di un negozio di destinazione con trasferimento dei beni al gestore
84
.
b) In secondo luogo, la porzione di norma in esame potrebbe indicare che il confe-
rente, essendo sempre altresì gestore del fondo destinato, ha il potere di attivarsi
per la realizzazione del fine di destinazione contro qualunque soggetto terzo che
tenti di impedirla. In quest’ottica, pertanto, a differenza di quanto accade nel trust,
non sarebbe ammesso un negozio di destinazione caratterizzato da un trasferimen-
to di beni ad un gestore.
c) In terzo luogo, infine, la porzione di norma in questione potrebbe indicare che il
conferente, rivesta egli o meno il ruolo di gestore, ha il potere di attivarsi per la realizza-
zione del fine di destinazione contro chiunque (gestore o terzo) tenti di impedirla.
Questo tipo di lettura, pertanto, consentirebbe di ipotizzare tanto un negozio di
destinazione con trasferimento di beni ad un gestore quanto un negozio di destina-
zione autodichiarato. Quanto poi alla previsione, da parte dell’art. 2645 ter c.c.,
della concorrente legittimazione ad agire di ‘‘
qualsiasi interessato
’’, anche il termi-
ne ‘‘
interessato
’’ parrebbe prestarsi a varie letture.
a) In primo luogo, esso potrebbe indicare un soggetto beneficiario di un negozio di
destinazione congegnato in modo tale che egli, analogamente a quanto accade nel
cosiddetto
fixed
trust
85
vanti nei confronti del gestore un diritto di credito certo
nell’
an
e nel
quantum
.
b) In secondo luogo, esso potrebbe riferirsi ad un soggetto che, sia egli o meno
beneficiario di detto negozio, potrebbe eventualmente ricevere le utilità economi-
che del bene vincolato
86
.
c) In terzo luogo, il termine ‘‘
interessato’’
potrebbe riferirsi ad un soggetto in
qualche modo correlato (in virtù di una relazione personale e/o economica con
costoro) a quelli indicati sub a) e sub b) e, come tale, interessato all’effettiva
ricezione, da parte dei medesimi, dei vantaggi discendenti dalla destinazione (si
pensi ad uno stretto congiunto di un beneficiario disabile).
d) In quarto luogo, il termine ‘‘
interessato’’
potrebbe riferirsi ad un soggetto cui il
conferente abbia attribuito, nel negozio di destinazione, il ruolo di ‘‘
controllore’’
dell’attività del gestore
87
.
e) In quinto luogo, infine, il termine ‘‘
interessato’’
potrebbe riferirsi al soggetto
69
Come si vedrà al § 7, è controversa l’ammissibilità di un atto di destinazione nel quale, alla stessa stregua di quanto può accadere nel trust, il disponente trasferisca i beni ad un terzo gestore.
70
Ammesso che (sul punto cfr § 3) si ritenga possibile la stipula di un atto di destinazione testamentario.
71
Cfr. G. Petrelli,
La trascrizione
cit., § 7; S.Bartoli,
Riflessioni
cit., 1311-1312.
72
All’evidenza: da parte degli eredi di costui.
73
Cfr. S.Bartoli,
Il trust
, Milano 2001, 679 ss.; Id.,
I trust ed il divieto dei patti successori, con particolare riferimento al cosiddetto Totten trust
, in Trusts 2002, 207 ss.; S. Bartoli-
D.Muritano,
Le clausole dei trusts interni
, Torino 2008, 11 ss.
74
E non un’aspettativa di mero fatto, come accade invece per il beneficiario di un negozio
mortis causa
.
75
Per analoghe considerazioni in tema di trust cfr. S.Bartoli-D.Muritano,
Le clausole
cit.,184-185.
76
Anche questa controversa questione non può essere affrontata nella presente sede: si rinvia pertanto a S.Bartoli,
Trust e atto di destinazione
cit., 323 ss.
77
Cfr. F.Gazzoni,
Osservazioni
cit., 217 e 221-227.
78
Cfr. Circolare n. 5 del 7.8.2006 dell’Agenzia del Territorio relativa all’art. 2645 ter c.c., in Trusts, 131 ss.
79
Il quale è ammesso sia nella forma implicante trasferimento dei beni ad un trustee sia — pur con talune perplessità — nella forma autodichiarata: sulla questione cfr S.Bartoli,
Trust e atto di destinazione
cit., 392 ss..
80
Cfr. M. Lupoi,
Gli atti di destinazione nel nuovo art.2645 ter c.c. quale frammento di trust
, in Trusts 2006, 170; S. Bartoli,
Riflessioni
cit., 1303-1304; G.Petrelli,
La
trascrizione
cit., § 3. Da segnalare, altresì, la tesi – allo stato isolata – fatta propria da Trib. Reggio Emilia 22.6.2012, in
Trusts 2013
, 57, per il quale l’unico atto di destinazione
ammissibile sarebbe quello con trasferimento ad un terzo gestore, dovendosi ritenere inammissibile quello autodichiarato; per l’ammissibilità dell’atto di destinazione autodichiarato
cfr, invece, Trib.Genova 11.12.2012, in Trusts 2013, 542; Trib.Ravenna 4.4.2013, in Trusts
2013, 632.
81
Cfr. S. Bartoli,
Riflessioni
cit., 1303-1304.
82
Cfr. G. Oberto,
Atti di destinazione
cit., 402.
83
Cfr. M. Lupoi,
Gli atti di destinazione
cit., 170.
84
Quest’ultimo tipo di lettura, fra l’altro, comportando una sistematica legittimazione attiva
ex lege
del conferente nei confronti del gestore-proprietario, determinerebbe una
significativa difformità di regime rispetto a quanto accade in tema di trust, poiché in quest’ultimo istituto il disponente di regola può agire nell’interesse della destinazione
patrimoniale solo se abbia avuto cura di riservarsi, nell’atto istitutivo, il ruolo di trustee, di guardiano o di beneficiario.
85
Per il quale cfr. A.Underhill-D.Hayton,
Law relating to trusts and trustees
, Londra - Dublino - Edimburgo 2003, 63 ss.
86
Si intende far riferimento alle due ipotesi che seguono (per la probabile ammissibilità delle quali cfr S. Bartoli,
Trust e atto di destinazione
cit., rispettivamente 212 ss. e 223
ss.): a) quella del negozio di destinazione ‘‘
discrezionale’’
in cui, analogamente a quanto accade in certe ipotesi di trust discrezionale, il gestore si veda conferito dal disponente
il potere di scegliere se attribuire o meno ad un certo soggetto le utilità rivenienti dal bene vincolato; b) quella di un negozio di destinazione ‘‘
di scopo
’’, cioè ad un negozio che,
analogamente a quanto accade per il trust di scopo, è privo di beneficiari in senso proprio, in quanto mira alla realizzazione di una certa finalità (si pensi ad un negozio di
destinazione a vantaggio de ‘‘
i poveri residenti nel territorio del Comune X
’’).
87
Quest’ultima figura, che dovrebbe ritenersi ammissibile nel contesto del negozio ex art. 2645 ter c.c. (sul punto v.
amplius
S.Bartoli,
Trust e atto di destinazione
cit., 252-253),
risulterebbe pertanto affine a quella del cosiddetto ‘‘
guardiano’’
del trust.
L'atto di destinazione ex art. 2645 ter c.c.
SEGUE DA PAGINA 27
SEGUE A PAGINA 29