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NUMERO 217 - GENNAIO / FEBBRAIO 2014
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IL COMMERCIALISTA VENETO
fessionale di tutti noi, nella fase di partenza della so-
cietà. Cioè: partiamo assieme e, per un po’ di anni, non
vendiamo; abbiamo deciso di fare questo tragitto as-
sieme; stiamo buoni e poi vedremo di vendere fra qual-
che tempo.
Oppure perché costituisco una società con un signore,
una sorta di
uomo chiave
, al quale affido il futuro della
mia società, per cui gli ho promesso che, se le cose
vanno bene e se la società entro un certo periodo di
tempo raggiungerà determinati risultati economici, io
gli darò una quota importante.
Oppure perché abbiamo deciso che ci proponiamo di
vendere assieme o ancora (come dicevo all’inizio) per-
ché, avendo io acquisito in società un
partner
finan-
ziario, questo signore si propone di portare la mia
società verso l’obiettivo ambizioso di una quotazione
in borsa e vuole piazzare sul mercato le sue azioni
prima che io immetta sul mercato le mie.
Tutte queste situazioni sono situazioni che sicura-
mente vanno enunciate: io ritengo che, soltanto attra-
verso una chiara enunciazione, in caso di controversia,
si possa porre chi giudica nella condizione di capire la
ragionevolezza della durata del divieto di alienazione.
Ho poi il problema, al quale faceva cenno corretta-
mente il prof. De Poli, di come vincolare questo impe-
gno. Perché torniamo sempre lì: i patti parasociali hanno
una efficacia obbligatoria.
Io li posso penalizzare o posso reclamare un danno;
se, però, vengono violati, faccio fatica ad
inseguire
quelle azioni. E qui la casistica dei rimedi è la più varia:
azioni in cassaforte con procura generale irre-
vocabile;
cointestazione delle azioni;
frazionamento tra il diritto di usufrutto che
attribuisce il voto e la nuda proprietà;
creazione di un pegno a tutela di un possibile
credito risarcitorio, trasferendo così in capo al creditore
pignoratizio, che è il soggetto che mi vincola, il potere
di voto in sede assembleare;
intestazioni fiduciarie, società finanziarie, trust.
Con l’ovvia considerazione che, attraverso questo tipo
di pattuizioni, si cerca di portare il sociale nel
parasociale.
Chiaramente tutto questo perché vi è un problema di
fondo: più io porto la questione verso il sociale e,
quindi, più vincolo ad un effetto reale il mio patto
parasociale, meno corro il rischio di una violazione da
parte di esso o da parte di un paciscente infedele che,
comunque, decide di inadempiere all’impegno che egli
ha preso. Tuttavia, a ben vedere, è possibile discipli-
nare tali fattispecie, non sempre e non tutte, però in
buona parte, attraverso pattuizioni sociali.
Pongo la mia attenzione, per quanto riguarda le società
per azioni, all’art. 2355 bis che è la norma che legitti-
ma il divieto di alienazione delle azioni – tra l’altro con
la possibilità di scrivere sul titolo azionario, qualora il
titolo sia cartolarizzato, che quell’azione è sottoposta
a quel limite e, quindi, rendendolo sicuramente
opponibile ai terzi – io porrei anche l’accento sull’art.
2348 che prevede la creazione di speciali categorie di
azioni. Io sono convinto di poter immaginare, in un
pacchetto azionario, una quota di speciale categoria di
azioni cui siano addossati, per un certo periodo di
tempo, dei limiti alla circolazione.
Idem dicasi per quanto riguarda le società a responsa-
bilità limitata, laddove, pur per il periodo di due anni,
la legge acconsente ad un vincolo alla circolazione delle
quote. Ora, voglio dire, se io ho deciso di fare il mio
vincolo per una
start-up
; se io ho deciso di fare il mio
vincolo perché ti voglio premiare con delle azioni; se
io ho deciso che tra un certo tempo cercheremo di
vendere assieme; a mio parere, è possibile riportare
nello Statuto tutte queste pattuizioni. E’ vero che qual-
cosa rimane fuori, però la maggior parte di queste si-
tuazioni, probabilmente, riesco ad inserirle all’interno
dello Statuto sociale, con quell’efficacia reale che a me
piace tanto e che rappresenta, invece, il grande difetto
dei patti parasociali.
Clausole concernenti opzioni
di acquisto e di vendita
Mi avvio alla conclusione parlandovi rapidamente delle
opzioni, poi delle clausole di trascinamento e, ancor
più velocemente, degli stalli. Vedo di buonissimo oc-
chio le opzioni, le cosiddette
call
e
put
che altro non
sono che proposte irrevocabili di vendita o di acquisto
che vincolano una delle parti a comprare o a vendere la
partecipazione. Secondo me, questi non sono patti
parasociali, ma sono accordi di vendita.
Accordi di vendita che ineriscono sicuramente ad un
rapporto sociale per il fatto che hanno come paciscenti
dei soci (ma che potrebbero anche riguardare soggetti
non soci) e hanno come oggetto diretto una partecipa-
zione della società.
Tuttavia, il fatto che io mi obblighi, per un periodo di
tempo, a vendere la partecipazione a Tizio, dandogli
la possibilità di comprare con una
call
oppure, nella
posizione inversa, la circostanza che mi obblighi a
trasferire le mie azioni a Caio e Caio sia obbligato a
comprarle, tutto ciò attiene ad una negoziazione che, a
mio modo di vedere, è disciplinata dalle norme sui
contratti e sulle obbligazioni e non da quelle che rego-
lano, in specifico, i patti parasociali.
In altri termini, a mio modo di vedere, la circostanza
che il bene oggetto dell’accordo sia una quota o un’azio-
ne; ovvero la circostanza che le relative pattuizioni
siano contenute in un accordo più ampio che regola
altri accordi tra soci, non vale a modificare la natura di
queste opzioni: le quali sono, e rimangono, clausole
inerenti la compravendita, che non sopportano i limiti
e non soggiacciono alla disciplina dell’art. 2341 bis del
codice civile.
Raccomando soltanto alla vostra attenzione un aspet-
to che ben conoscono i colleghi avvocati ed i dottori
commercialisti: e cioè che una vera opzione, cioè una
vera proposta irrevocabile, deve essere una proposta
contrattuale, cioè deve essere una proposta che ha in
sé tutti gli elementi essenziali di un contratto.
Quindi: i soggetti; il prezzo determinato o
determinabile, laddove per prezzo determinato inten-
do un prezzo prefissato; per prezzo determinabile,
intendo un prezzo che sia agevolmente definibile con
una formula aritmetica, perché altrimenti non ho l’ele-
mento essenziale del contratto che è, nel caso della
compravendita, il corrispettivo.
E’ assolutamente opportuno, quindi, che questo tipo
di clausole siano disciplinate in un accordo a parte che,
tendenzialmente, è un accordo che inerisce un prelimi-
nare od un quasi preliminare di compravendita, con
attenzione alla disciplina di quelle vicende che, essen-
do le partecipazioni l’oggetto finale dell’operazione,
possono riguardare in un arco di tempo relativamente
breve (3/5 anni) la vicenda della società.
Ad esempio: se la società aumenta il capitale sociale,
debbo apporre un divieto all’aumento del capitale so-
ciale; se la società resta priva del capitale sociale per
perdite, quindi è obbligata a ridurre il capitale sociale,
devo parimenti disciplinare la fattispecie. Tutti quanti
questi aspetti, poiché evidentemente vanno ad incide-
re sull’oggetto sostanziale della compravendita, deb-
bono essere puntualmente disciplinati da un ragione-
vole estensore di una pattuizione di questo tipo.
Vi faccio grazia delle clausole di sblocco delle quali
eventualmente, se avrete piacere, possiamo parlare
magari dopo, nel corso del dibattito. Clausole, a mio
modo di vedere, assolutamente opportuna poiché, se
due soci litigano e se vi è il rischio di
stallare
la società,
è bene che vi sia un meccanismo sufficientemente au-
tomatico per uscire da questa situazione.
Clausole di trascinamento
Vi parlo, invece, un attimo, dei cosiddetti trascinamenti,
cioè di quelle clausole oggi assai diffuse nella pratica
professionale che attribuiscono ad un socio, a seconda
dei casi, il diritto di obbligare il suo socio a co-vendere
con lui oppure che attribuiscono ad un socio normal-
mente di minoranza il diritto di vendere la sua parteci-
pazione assieme a quella del socio di maggioranza.
A lungo, per lunghissimo tempo, questo tipo di
pattuizioni sono state regolate e collocate necessaria-
mente nell’ambito del parasociale.
Sono pattuizioni di origine, evidentemente, non italia-
na che, in realtà, entrano nel nostro mercato attraverso
gli operatori finanziari. Un
partner
finanziario che
entra con capitale di rischio in una società, se ne vuole
presto o tardi (possibilmente presto) andare, lucrando
il suo giusto compenso per l’intervento finanziario.
Ora, poteva accadere, ed accade, che il socio finanzia-
rio, che normalmente vuole la maggioranza, si trovasse
nella condizione che, per poter vendere la sua parteci-
pazione (e questa è la sua missione: deve vendere) ave-
va necessità di poter disporre di tutto il capitale sociale
(perché è vero che normalmente le società si governano
a maggioranza e, quindi, vendere la maggioranza è nor-
malmente semplice, però vi possono essere dei soggetti
i quali vogliono comprare tutta la società).
Di qui le cosiddette clausole di dragaggio, cioè quelle
clausole attraverso le quali io, che sono il socio di
maggioranza, qualora lo ritenga opportuno, obbligo il
socio di minoranza a vendere assieme a me la sua par-
tecipazione.
Per cui io, che sono socio di maggioranza della società
Alfa, se ricevo da Tizio una proposta di acquisto che
riguarda il 100%del capitale sociale, posso obbligare il
Caio, che è il mio socio di minoranza, a vendere con
me. Ciò comportava una serie di problemi perché ac-
cadeva che qualcuno pretendesse di
dragare
il socio di
minoranza ad un prezzo ridicolo: avendo io introdotto
nel mio patto parasociale un impegno del mio socio di
vendere assieme a me, se decido di vendere a Tizio la
mia quota al vile prezzo di 100 lire, proporzionalmen-
te, il mio socio è costretto a vendere con me ad un
prezzo ridicolo, trovandosi di fatto
scippato
della sua
partecipazione. In realtà, si potrebbe ritenere che, se
io sono così sciocco da vendere a Tizio ad un prezzo
ridicolo, Caio, socio, possa attivare una clausola di
prelazione, così portandomi via la partecipazione ad
un prezzo ridicolo; quindi, di per sé, la prelazione
potrebbe rappresentare un correttivo di un dragaggio
arbitrario compiuto dal socio di maggioranza.
Non è però sempre vero.
Può anche succedere che il mio socio, in quel momen-
to, non sia in grado di comprarmi la partecipazione e,
quindi, egli si trovi
scippato
; talché, si è creata nella
prassi parasociale (e poi arriverò anche alla prassi so-
ciale) l’impegno di stabilire una soglia minima al di
sotto della quale io non posso
dragare
.
Per altro verso, al socio di minoranza, quale corrispettivo
per la possibilità di
dragaggio
, oltre alla possibilità di
stabilire un prezzo minimo, può anche essere attribuito
il diritto di vendere assieme al socio di maggioranza, nel
caso in cui esso venda la propria partecipazione e lucri
il cosiddetto premio di maggioranza; cosicché anche il
socio di minoranza ne benefici.
Verrà stipulata, in tal caso, la clausola speculare delle
cosiddette
drag along
, cioè il
tag along:
clausola che
obbliga un socio, che intenda vendere ad un terzo la
propria partecipazione, a procurare la vendita delle
quote partecipative dell’altro socio (di solito, quello
di minoranza), distribuendo anche su di lui il premio di
maggioranza. Si tratta, quindi, di una clausola a favore
del socio di minoranza poiché gli consente, ove riten-
ga, di vendere assieme al socio di maggioranza la parte-
cipazione, alle stesse identiche condizioni. Tutto que-
sto oggi, e chiudo, lo si fa con accordi sociali e non
parasociali. Ormai da tempo si è consolidata una giuri-
sprudenza (all’origine milanese, oggi non solo milane-
se) la quale ritiene lecito l’inserimento di clausole di
trascinamento a condizione che esse stabiliscano in
favore del socio dragato, cioè del socio che viene tra-
scinato, un corrispettivo minimo pari, perlomeno, al
valore di recesso della sua partecipazione.
Rimane aperto un tema rispetto al quale io debbo
dare conto che la giurisprudenza, tuttora, dice che
queste clausole possono esser introdotte soltanto
all’unanimità e, quindi, è necessario l’accordo tra
tutti, accordo che, peraltro, normalmente c’è per-
ché quando vengono introdotte queste clausole or-
mai i giochi sono fatti.
Non si ritiene ancora che possano essere introdotte a
maggioranza, ma io sono convinto che, prima o poi,
così come accadde molti anni fa rispetto alle clausole
di prelazione – nelle quali originariamente la giurispru-
denza voleva l’unanimità e poi si è accontentata della
maggioranza – anche per queste clausole si acconsen-
tirà, nel rispetto di questi elementi e nel rispetto di un
possibile diritto di recesso del socio, la possibilità di
una introduzione a maggioranza, spostando anche que-
sto tema dal piano parasociale al piano sociale.
SEGUE DA PAGINA 18
I PATTI
PARASOCIALI