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IL COMMERCIALISTA VENETO
NUMERO 215 - SETTEMBRE / OTTOBRE 2013
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derati” o non hanno rilevanza impositiva, è evi-
dente che, prima della emissione di qualsiasi atto
di imposizione basato su “indagini finanziarie”, al
contribuente deve essere data la possibilità di for-
nire gli elementi di prova a suo favore, attraverso,
appunto, un “contraddittorio” preventivo.
Detto contraddittorio, inoltre – che prevede, in
ossequio all’art. 32/600, la verbalizzazione di ogni
incontro con il contribuente – si dimostra ancor
più necessario laddove si osservi che lo stesso
potrebbe garantire al contribuente verificato il
diritto di presentare richieste, memorie e osser-
vazioni nei sessanta giorni successivi alla reda-
zione del processo verbale (di contraddittorio o
di chiusura delle operazioni di controllo; ex art.
12, co. 7 della L. 212/2000 sullo Statuto dei diritti
del contribuente). La giurisprudenza di legittimi-
tà, infatti, ha affermato che il diritto del contri-
buente di presentare osservazioni e richieste nei
sessanta giorni successivi al rilascio del proces-
so verbale di chiusura delle operazioni di con-
trollo va applicato ogniqualvolta da un verbale,
a prescindere dal fatto che contenga o meno del-
le contestazioni, possa discendere un avviso di
accertamento
20
. Pertanto, a prescindere dal
nomen iuris
dell’atto (processo verbale di con-
traddittorio o di chiusura) o dal fatto che la veri-
fica si sia svolta presso la sede del contribuente
o preso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate, il con-
tribuente dovrebbe potersi confrontare con
l’Erario anche dopo il completamento della fase
istruttoria e fino allo spirare dei sessanta giorni
previsti dalla legge; l’art. 12, co. 7 dello Statuto dei
diritti del contribuente, infatti, non opera alcuna
distinzione in tal senso
21
. Con la ulteriore conse-
guenza di poter eccepire – anche in tema di accerta-
mento bancario – il problema della illegittimità del-
l’avviso di accertamento emesso anticipatamente,
ossia prima dei sessanta giorni, in assenza delle
ragioni di particolare e motivata urgenza che con-
sentono di non rispettare tale termine
22
.
b.
La presunzione relativa ai “prelevamenti”
e la deducibilità dei “costi occulti”.
La Cassazione ha affermato (secondo un orien-
tamento ormai consolidato) che quelle «da inda-
gini finanziarie» sono «presunzioni legali relati-
ve»
23
, per cui gli elementi finanziari costituisco-
no
ex lege
dati fiscalmente «rilevanti»
24
, ferma
restando la possibilità di prova contraria (da par-
te del contribuente).
Secondo la giurisprudenza, la riferibilità ad opera-
zioni imponibili dei movimenti finanziari interve-
nuti sui conti (o nei rapporti intrattenuti dal contri-
buente) deriverebbe dalla «rilevante probabilità»
che si tratti di rimesse e prelevamenti inerenti al-
l’esercizio dell’attività «imponibile»
25
. L’Ammini-
strazione Finanziaria potrebbe, dunque, procede-
re a rettifica / accertamento sulla base dei dati ac-
quisiti, senza necessità di ulteriori elementi di ri-
scontro, ferma restando, s’intende, la prova con-
traria del contribuente
26
, il quale, però, non può
limitarsi a mere asserzioni ma deve dimostrare (in
termini documentali o, comunque, convincenti)
che i dati assunti a base dell’accertamento non
rilevano o non sono conferenti a tal fine
27
.
A ben vedere, però, le presunzioni in parola non
hanno sempre la medesima portata:
-
ai sensi dell’art. 32, co. 1, n. 2, prima parte
del D.P.R. 600/1973 nonché dell’art. 51D.P.R. 633/
1972, infatti, gli importi a qualsiasi titolo accredi-
tati (nonché quelli addebitati, che però assumo-
no la valenza di spese, consumi) sui conti cor-
renti bancari possono essere “
posti a base
” del-
le rettifiche e degli accertamenti e, pertanto, po-
tranno (ma non necessariamente dovranno) es-
sere considerati dal Fisco componenti positivi di
reddito (per qualsiasi categoria reddituale
28
) dopo
opportune valutazioni che gli uffici dovranno
effettuare di volta in volta circa l’effettiva porta-
ta probatoria dei dati acquisiti; e sempre che,
ovviamente, il contribuente non dimostri di aver-
ne tenuto conto ai fini della determinazione del
reddito stesso o che le operazioni ad esse relati-
ve siano fiscalmente irrilevanti;
-
per ciò che riguarda i prelevamenti (parte
seconda del citato art. 32), invece, nel caso in cui
di tali importi non ne risulti traccia in contabilità
e, soprattutto, non venga indicato il beneficiario,
si presumeranno (automaticamente) sintomatici
di acquisti in nero di beni o servizi destinati al-
l’attività economica (d’impresa o di lavoro auto-
nomo) e, di conseguenza, presuntivi di ricavi o
compensi non dichiarati in quanto derivanti da
vendite o prestazioni in nero.
La presunzione che porta a qualificare i
«prelevamenti» come «ricavi» (da attività impren-
ditoriale) o «compensi» (da attività di lavoro au-
tonomo) appare, come ripetutamente segnalato
dalla dottrina, illogica e irrazionale:
-
in generale, dal momento che attua una
indebita doppia presunzione: che i prelevamenti
si presumono acquisti e questi ultimi si presumo-
no ricavi.
Quando invece, ferma restando la valenza
presuntiva dei versamenti (o riscossioni) - gli
eventuali prelevamenti (o pagamenti), in quanto
possibile espressione di acquisti (e, quindi, di
costi) - dovrebbero ridurre (e non certo aumenta-
re) l’entità del reddito imponibile: in misura pari
all’importo dei prelevamenti (se questi figurano
negli stessi conti); o di un importo forfettario
(determinato in base alla specifica situazione
aziendale); e ciò in quanto anche nel caso di rica-
vi (accertati sulla base dei versamenti) non si
dovrebbe poter ignorare i costi correlati, se si
intende accertare la effettiva capacità contributi-
va del soggetto indagato.
Ed in tal senso la Corte Costituzionale
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aveva
salvato (dalla pronuncia di illegittimità) la norma
in questione (con riferimento ai prelevamenti),
proprio a condizione che dai ricavi / compensi
così individuati venisse decurtata una quota (per-
centuale) di costi, dal momento che non è arbi-
trario ipotizzare
“che i prelievi ingiustificati dai
conti correnti bancari effettuati da un impren-
ditore siano stati destinati all’esercizio di atti-
vità d’impresa e siano, quindi, in definitiva,
detratti i relativi costi, considerati in termini di
reddito imponibile”
.
Nella realtà, tuttavia, ciò non accade, dal momen-
to che gli uffici di fatto – a fronte di ricavi accer-
tati – non decurtano anche i costi sostenuti dal
contribuente, in ciò confortati dal prevalente
orientamento giurisprudenziale, che richiede – ai
fini della deducibilità dei costi – una dimostrazio-
ne analitica delle spese effettuate. A fronte, cioè,
della presunzione di ricavo derivante dai
prelevamenti, non è sufficiente che il contribuente
si limiti ad affermare che ad ogni ricavo corri-
sponde un costo, ma è necessario che dimostri
in maniera certa che a fronte del conseguimento
di un ricavo è stato sostenuto un costo
30
. In altre
parole, secondo la prevalente giurisprudenza, la
determinazione del reddito non può essere dimi-
20
Cfr. Cass., 15.3.011, n. 6088.
21
Cfr. C.T.P. La Spezia, 16.1.2007, n. 210; C.T. I° grado di Trento, 24.11.2008, n. 83; C.T.P. Milano, 10.5.2010, n. 126; C.T.R. Sardegna, 27.1.2012, n. 27. Cfr. anche C.T.R.
Lombardia, Sent. 32/22/2013, che ha affermato la illegittimità dell’avviso di accertamento adottato senza la preventiva redazione del PVC delle operazioni di controllo, a
prescindere dal fatto che l’attività di verifica sia stata espletata in Ufficio o presso la sede del contribuente; e, nella stessa direzione: C.T.R. Toscana, 26.9.2912, n. 117, C.T.R.
Liguria, 24.8.2012, n. 97 e C.T. I di Trento, 2.1.2013, n. 1.
22
Cfr. Cass., SS.UU., 29.7.2013, n. 18184.
23
La Cassazione, con sentenza del 10.03.2006, n. 5365, ha precisato che «incombe sul contribuente l’onere di provare l’infondatezza della presunzione una volta che
l’Amministrazione Finanziaria abbia acquisito i dati con il rispetto della procedura e del contraddittorio» e che il mancato invito al contraddittorio «non fa scadere la presunzione
legale, posta dalla norma, a presunzione semplice» (Tra le più recenti, cfr. anche: Cass. 24.7.2013, n. 17953; 3.4.2013, n. 8047; 22.2.2013, n. 4521; 27.7.2012, n. 13500;
19.06.2012, n. 10101; 06.05.2011, n. 10036; 31.03.2010, n. 7813). Sempre la Cassazione, con sentenza del 14.10.2005, n. 19956, ha chiarito che l’Amministrazione
Finanziaria può impiegare, per risalire alla base imponibile fiscale, «gli elementi risultanti dai conti bancari non transitati nelle scritture dell’imprenditore». Il maggior imponibile
così determinato, in quanto risultato di una presunzione legale relativa, può essere contrastato mediante prova contraria da parte del contribuente (in senso conforme cfr. Cass.,
Sentt. 6.12.2005, n. 26692; 16.09.2005, n. 18421; 18.01.2002, n. 518; 6.12.2001, n. 15447; 28.07.2000, n. 9946).
24
Peraltro, sempre la Cassazione ritiene che la presunzione suddetta abbia valenza non solo oggettiva, ma anche soggettiva, con conseguente possibilità, per gli Uffici, di
utilizzare i dati tratti dagli accertamenti da indagini finanziarie anche (a monte) per dimostrare l’esistenza, in capo ad un soggetto, di una attività di impresa (ovvero dell’esercizio
di un’arte o di una professione) occulta, cioè non manifestata contabilmente (cfr., per l’IVA, Cass., Sentt.19.02.2001, n. 2435; 21.12.2005, n. 28324; 6.12.2005, n. 26692;
3.02.2001, n. 1569. E, per le II.DD., cfr. Cass., Sent. 9.09.2005, n. 18016; Corte cost., Sent. 8.06.2005, n. 225).
25
Cfr. Cass., Sent. 3.10.2006, n. 22013. Anche la Corte costituzionale ha riconosciuto il valore di presunzione legale relativa alle risultanze degli accertamenti bancari, trovando
essa ragionevole fondamento nel carattere oggettivo di tali risultanze relative a rapporti facenti capo al contribuente (cfr. Corte cost., Ord. 6.07.2000, n. 260; Sent. 26.02.2002,
n. 33; Sent. 8.06.2005, n. 225).
26
Cfr. Cass., Sentt. 5.07.2001, n. 9103; 18.01.2002, n. 518; 6.12.2005, n. 26692.
27
Cfr., Cass., Sez. Trib., Sentenza 28 marzo 2009, n. 8041; Sentenza 28324/07; Sentenza 9573/07; Sentenza 1739/07.
28
Cfr., in proposito, Cass. 2.10.2013, n. 22514, che ha confermato la portata generale delle indagini bancarie, che possono essere effettuate anche nei confronti di privati che
non svolgono un’attività commerciale o professionale, dal momento che una tale limitazione dell’ambito applicativo della disciplina sulle indagini bancarie è priva di qualsivoglia
riscontro normativo. In tal senso – ma con specifico riferimento alla prima parte dell’art. 32, co. 1, n. 2 – si era già espressa l’Agenzia delle Entrate, chiarendo – con la Circ.
32/E/2006 – che “l’espresso richiamo della norma alle ordinarie tipologie di accertamento comporta che l’operatività delle presunzioni si estende, almeno dal lato dei
versamenti, alla generalità dei soggetti passivi e delle diverse categorie reddituali”. Salvo poi precisare che, invece, “per i prelevamenti, stante il riferimento normativo alle
scritture contabili, detta presunzione trova applicazione solo nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle stesse scritture”. E in tal senso – benché la Cassazione non abbia
preso specifiche posizioni – si è recentemente pronunciata la C.T.R. Lombardia 26/50/2013, chiarendo che l’accertamento bancario non può essere azionato indiscriminatamente,
dal momento che la presunzione legale di cui all’art. 32 può operare solamente nel contesto di un controllo in cui è onere dell’Amministrazione Finanziaria dimostrare la
riconducibilità dell’attività verificata a una fattispecie imponibile.
29
Cfr. Sent. 8.6.2005, n. 225.
30
Cfr. Cass. 22.1.2013, n. 1426; e, precedentemente, 26.5.2008, n. 13516
Le indagini
finanziarie
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