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IL COMMERCIALISTA VENETO
NUMERO 215 - SETTEMBRE / OTTOBRE 2013
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prodotta da un trust regolato dalla legge inglese è di
tipo non già bilaterale
24
, bensì unilaterale.
Vi sono poi leggi regolatrici del trust che parrebbero da
evitare accuratamente
25
in quanto, prevedendo
26
la
possibilità per il disponente di riservarsi numerosi
poteri comportanti una sua pesante ingerenza sulla
gestione del trust, espongono l’atto istitutivo che vi si
conformi
27
al rischio di esser dichiarato, in sede sia
civile che fiscale, simulato ovvero ad esser riqualificato
come mero mandato, con quali rovinose conseguenze
è facile immaginare
28
.
5. L’esterofilia a tutti i costi
Pur se l’affermazione potrà apparire scontata (ma mi
sento di assicurare che non lo è, visto quel che si sente
dire in giro…), la scelta di istituire un trust all’estero
quando i beni che ne sono oggetto si trovano in Italia e
tanto il disponente quanto i beneficiari sono italiani
appare di scarsa utilità, non solo perché in un eventua-
le contenzioso verrà quasi certamente applicata la leg-
ge italiana, ma anche perché vi sono elevate probabili-
tà che il professionista estero confezioni un prodotto
il quale, pur impeccabile dal punto di vista della legge
dello Stato in cui il trust viene redatto, si ponga in
insanabile contrasto con norme imperative del nostro
ordinamento.
Il discorso è invece diverso, ad esempio, se i beni si
trovano all’estero ed il disponente italiano (e domiciliato
in Italia) intende ledere i diritti dei suoi legittimari
italiani: egli potrebbe riuscire nel suo intento, infatti,
se avesse l’avvertenza di collocare i suoi
assets
in una
giurisdizione
29
le cui norme non tutelano i diritti di
legittimari e vietano anche la delibazione di sentenze
straniere che tale tutela accordino a costoro.
Il trust interno
SEGUE DA PAGINA 14
6. Esistono anche i patti successori “
indiretti
Nella parte conclusiva del precedente paragrafo 3, si è
detto che un trust i cui effetti debbano decorrere dalla
morte del disponente non viola, a quanto ritiene l’opi-
nione dominante, il divieto dei patti successori.
Occorre, però, tener conto del fatto che esiste, altresì,
il divieto dei patti successori indiretti, per compren-
dere il quale (e le possibili implicazioni del medesimo
nell’ambito del trust interno) è necessario fare qualche
breve osservazione.
L’art.1412 c.c. prevede la figura del contratto a favore
del terzo con prestazione da eseguirsi dopo la morte
dello stipulante
30
.
Una tesi minoritaria
31
afferma trattarsi di atto
mortis
causa
eccezionalmente (cioè a dispetto del divieto dei
patti successori di cui all’art. 458 c.c.) valido.
Più precisamente, con riguardo all’ipotesi normale
(prevista dall’art.1412, primo comma, c.c.) in cui lo
stipulante mantenga il potere di revoca pur se il terzo
abbia dichiarato di voler profittare della stipula a suo
favore
32
, l’orientamento in questione evidenzia che
sarebbe – appunto - tale persistente facoltà di revo-
ca
33
a comprovare la natura
mortis causa
dell’attribu-
zione e, al tempo stesso, a giustificarne la validità; con
riferimento invece alla particolare eventualità (pari-
menti prevista dal primo comma della norma citata)
che lo stipulante abbia rinunziato alla facoltà di revo-
ca, la tesi in esame sottolinea che, nel caso di specie, si
sarebbe di fronte ad un’ancor più accentuata deroga al
divieto di cui all’art. 458 c.c.
L’opinione prevalente e preferibile
34
attribuisce, inve-
ce, alla figura in esame natura non già di atto
mortis
causa
eccezionalmente valido, bensì di negozio
inter
vivos
in cui al terzo designato è attribuita sin dalla
stipula (non già una mera aspettativa di fatto, bensì)
un’aspettativa giuridica all’acquisto del diritto, cioè
un diritto la cui efficacia è sospesa fino alla morte del
disponente-stipulante.
La tesi in esame giunge a tali conclusioni, in particola-
re, argomentando dal fatto che l’art. 1412, secondo
comma, c.c. prevede l’attribuzione del diritto (o me-
glio, dell’aspettativa giuridica all’acquisto del diritto)
agli eredi del terzo se questi premuoia al disponente-
stipulante; circostanza questa che, appunto, dimo-
strerebbe che il terzo può trasmettere
mortis causa
la
posizione giuridica già acquisita per effetto del con-
tratto a favore del terzo
35
.
Diverso discorso appare, invece, meritare la fattispecie
di contratto a favore del terzo in cui lo stipulante
(come gli è consentito di fare dalla parte finale dell’art.
1412, secondo comma, c.c.) abbia escluso l’eseguibilità
della prestazione, in caso di premorienza del terzo, in
favore degli eredi di quest’ultimo, poiché in tal caso si
è probabilmente di fronte ad un patto successorio in-
diretto eccezionalmente consentito
36
.
Sembra, invece, doversi escludere l’applicabilità
dell’art. 1412 c.c., dovendosi piuttosto parlare di pat-
to successorio istitutivo “
indiretto
” vietato
37
, al con-
tratto a favore del terzo in cui lo stipulante si riservi di
designare il terzo beneficiario solo nel proprio testa-
mento
38
.
L’espressione “
patto successorio indiretto
”, pertanto,
sta ad indicare che l’attribuzione
mortis causa
vietata
proviene, in detta figura, non dal disponente-stipulan-
te
39
- come accade nell’ipotesi di patto successorio
prevista (e vietata) dall’art. 458 c.c. - bensì dal
promittente.
La natura
mortis causa
dell’attribuzione si evince dal
fatto che, mentre nell’ipotesi ex art. 1412 c.c. il terzo
acquista, sin dalla stipula a suo favore, un’aspettativa
giuridica, nel patto successorio indiretto ogni effetto
acquisitivo si produrrà solo a seguito del testamento
individuante la persona del terzo beneficiario
40
.
Alla luce di quanto si è appena esposto in tema di
24
La dottrina che più ha approfondito il fenomeno della separazione patrimoniale (cfr. A.PINO,
Il patrimonio separato
, Padova 1950, 19; M.Bianca,
Vincoli di destinazione
e patrimoni separati
, Padova 1996, nota 7 alle pp. 181 ss.) parla – appunto - di separazione bilaterale (detta anche ‘‘piena’’ o ‘‘perfetta’’ o ‘‘chiusa’’) quando il patrimonio
destinato risponde solo delle obbligazioni inerenti alla destinazione ed il patrimonio generale del debitore solo di quelle ad essa estranee.
25
Come quella, ad esempio, delle Isole Cayman.
26
All’evidente scopo di attrarre investimenti
in loco
.
27
In particolare prevedendo la libera revocabilità del trust da parte del disponente.
28
L’esigenza che, per effetto del trust, il disponente perda il controllo sui beni destinati è, del resto, espressamente sancita dall’art. 2 della Convenzione. La plausibilità della
conclusione esposta nel testo appare, inoltre, suffragata dall’atteggiamento ostile assunto, nel corso del tempo, dalla nostra Amministrazione Finanziaria. Viene in primo luogo
in questione una fattispecie di trust (denominato “
Gli Aquiloni
”) in cui il disponente: a) rivestiva, altresì, l’ufficio di guardiano ed in tale veste era dotato di potere di veto su tutti
gli atti di straordinaria amministrazione del trustee; b) poteva nominare o revocare i successivi guardiani; c) aveva il potere di impedire al trustee sia di accettare conferimenti
in trust da parte di terzi, sia di sostituire i beni in trust, sia di variare gli investimenti o la struttura investitrice. L’Agenzia delle Entrate, posta di fronte ad un negozio siffatto,
con la sua risposta ad interpello del 24.9.2002 (reperibile in
Trusts
, 2003, 319) ha ritenuto di dover riqualificare il trust come mandato con rappresentanza. In una seconda
occasione, si trattava di un trust in cui il disponente: a) era altresì l’unico beneficiario; b) poteva revocare il trustee; c) aveva diritto alla totalità del reddito prodotto dall’unico
bene in trust – rappresentato da una quota di accomandante in una s.a.s. – senza che al trustee competesse discrezionalità alcuna al riguardo. Anche in questo caso l’Agenzia delle
Entrate, con la sua risposta ad interpello del 1.10.2002 (reperibile in
Trusts
, 2003, 473) ha riqualificato il trust come mandato con rappresentanza. Occorre comunque rilevare
che taluni degli argomenti utilizzati dalle due summenzionate risposte ad interpelli appaiono non persuasivi. Non si comprende infatti, nel primo caso, perché debba desumersi
che il disponente non abbia perso il controllo sui beni in trust dal fatto che egli può nominare o revocare i guardiani. Analogamente, nel secondo caso la circostanza che il
disponente possa revocare il trustee appare irrilevante. Per tacere del fatto che, nel primo caso, l’Agenzia delle Entrate è incorsa in una vera e propria svista allorché afferma
che il trust sottopostole prevedeva, in spregio alla legge regolatrice prescelta, l’inaggredibilità dei beni in trust non solo da parte dei creditori del trustee, ma anche da parte dei
creditori del disponente: è noto infatti che quest’ultimo effetto è proprio di qualunque trust (salva – s’intende – l’esperibilità dell’azione revocatoria da parte di detti creditori,
se il trust sia stato istituito dal disponente in frode delle loro pretese). Più di recente sono state emesse le Circolari n. 43/E del 10 ottobre 2009 e n. 61/E del 27.12.2010, per
le quali vanno considerati “
inesistenti in quanto interposte
” le seguenti tipologie di trust: a) trust che il disponente (o il beneficiario) può far cessare liberamente in ogni momento,
generalmente a proprio vantaggio o anche a vantaggio di terzi; b) trust in cui il disponente è titolare del potere di designare in qualsiasi momento se stesso come beneficiario;
c) trust in cui il disponente (o il beneficiario) risulti, dall’atto istitutivo ovvero da altri elementi di fatto, titolare di poteri in forza dell’atto istitutivo, in conseguenza dei quali
il trustee, pur dotato di poteri discrezionali nella gestione ed amministrazione del trust, non può esercitarli senza il suo consenso; d) trust in cui il disponente è titolare del potere
di porre termine anticipatamente al trust, designando se stesso e/o altri come beneficiari (cosiddetto “
trust a termine
”); e) trust in cui il beneficiario ha diritto di ricevere
attribuzioni di patrimonio dal trustee; f) trust in cui è previsto che il trustee debba tener conto delle indicazioni fornite dal disponente in relazione alla gestione del patrimonio
e del reddito da questo generato; g) trust in cui il disponente può modificare nel corso della vita del trust i beneficiari; h) trust in cui il disponente ha la facoltà di attribuire redditi
e beni del trust o concedere prestiti a soggetti dallo stesso individuati; i) ogni altra ipotesi in cui potere gestionale e dispositivo del trustee, così come individuato dal regolamento
del trust o dalla legge, risulti in qualche modo limitato o anche semplicemente condizionato dalla volontà del disponente e/o dei beneficiari. Ragioni di spazio non consentono
di esporre in questa sede le ragioni della totale infondatezza di gran parte delle affermazioni suddette (dando credito alle quali, in sostanza, risulterebbe pressoché impossibile
istituire un trust…): per una serrata critica ad esse cfr ad esempio D. MURITANO,
Le condizioni dell’Agenzia delle Entrate per la rilevanza fiscale dei trust interni: osservazioni
critiche
, in
Trusts
2011, 263 ss.
29
Non occorre immaginare esotici e lontani Paesi caraibici: si pensi ad esempio all’Isola di Jersey, posta nel Canale della Manica…
30
Questo è il testo della norma in esame: “
1.Se la prestazione deve essere fatta al terzo dopo la morte dello stipulante, questi può revocare il beneficio anche con una disposizione
testamentaria e quantunque il terzo abbia dichiarato di volerne profittare, salvo che, in quest’ultimo caso, lo stipulante abbia rinunciato per iscritto al potere di revoca. 2.La prestazione
deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questi premuore allo stipulante, purché il beneficio non sia stato revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente
”.
31
Cfr. in dottrina L. FERRI,
Disposizioni generali sulle successioni
, in Comm. SB, Bologna-Roma, 1984, 110-111; E. BETTI,
Teoria generale del negozio giuridico
, in Trattato
di diritto civile italiano diretto da F. V
ASSALLI
, Torino, 1950, 320 e 411 (nt. 3); G. MIRABELLI,
Dei contratti in generale
, Commentario del codice civile, Torino, 1987, 445-
446; in giurisprudenza App. Milano 29.7.1957, in Assic., 1958, II, 33.
32
In deroga, quindi, a quanto previsto dall’art. 1411, secondo comma, c.c.
33
Usque ad supremum exitum vitae
”: l’art. 1412, primo comma, c.c., infatti, consente detta revoca allo stipulante anche con disposizione testamentaria.
34
Cfr. in dottrina G. CAPOZZI,
Successioni e donazioni
, Milano 2009, 46; M.V. DE GIORGI,
I patti sulle successioni future
, Napoli 1976, 122-125 ed autori ivi citati alle nt.
10 e 12; in giurisprudenza Cass. 17.8.1990, n. 8335, in RN, 1991, 517.
35
Così anche Trib. Milano 20.3.1956, in FI, 1957, I, 1346.
36
Cfr. in tal senso S. TONDO,
Note sul trust: comparazione con una nostra prassi bancaria,
in RN, 1993, 62 e 64. Sul patto successorio indiretto - che è generalmente vietato
nel nostro ordinamento - cfr. la parte immediatamente successiva del testo.
37
Il generale divieto di patto successorio indiretto soffre ben poche eccezioni: a parte quella di cui alla precedente nt.36, la dottrina menziona (cfr. G. CAPOZZI,
Successioni
,
cit., 50; A. GIAMPICCOLO,
Il contenuto
, cit., 306 ss.; M.V. DE GIORGI,
I patti
, cit., 126 ss.) la fattispecie prevista dall’art. 1920, secondo comma, c.c., nella parte in cui
prevede la possibilità per l’assicurato di designare il beneficiario del contratto nel testamento.
38
Cfr. G. CAPOZZI,
Successioni
, cit., 46; A. GIAMPICCOLO,
Il contenuto
, cit., 301.
39
Cioè dal futuro
de cuius
.
40
Cfr. G. CAPOZZI,
Successioni
, cit., 46.
SEGUE A PAGINA 16