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NUMERO 215 - SETTEMBRE / OTTOBRE 2013
IL COMMERCIALISTA VENETO
po tardi.
In linea di principio, un cliente indebitato con terzi
ben può istituire un trust, purché sia consapevole (e
quindi lo si informi) del fatto che esso potrà essere
impugnato dai suoi creditori con l’azione revocatoria.
Vi sono casi, però, in cui si deve assolutamente evitare
di assistere il cliente indebitato nell’istituzione di un
trust, perché ciò comporterebbe la commissione di un
reato da parte sua ed il concorso del professionista nel
medesimo. Mi riferisco, in primo luogo, al cliente pe-
santemente indebitato con il Fisco, stante il disposto
dell’art. 11 primo comma del D. Lgs. n.74 del 10 marzo
2000, intitolato “
Sottrazione fraudolenta al pagamento
di imposte
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; in secondo luogo, al cliente in una situa-
zione di insolvenza e fallibile, stante la possibilità di
un'imputazione per bancarotta ex artt.216 e 217 L.F.
12
.
3. Le insidie del trust testamentario
Una dellemaggiori resistenze che si incontrano allorché
si propone al cliente l’istituzione di un trust è rappre-
sentata dal fatto che egli non è, di solito, disposto a
spossessarsi dei propri beni durante la propria vita per
affidarli ad un trustee. Per vincere quello che sono solito
qualificare, scherzosamente e prendendo a prestito
l’espressione dalla psicologia, come il “
trauma dell’ab-
bandono
”, il professionista potrebbe allora essere tenta-
to di proporre al cliente la soluzione del trust testamenta-
rio (inmodo che, finché il cliente vive, nulla cambierà): a
mio avviso si tratterebbe, però , di un grave errore.
A parte il fatto che il “
trauma
” in esame potrebbe
essere ridimensionato utilizzando il trust
autodichiarato
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, infatti, il trust testamentario appare
decisamente da evitare.
In primo luogo, infatti, ad oggi è ben lungi dall’essere
pacifica la natura giuridica dell’attribuzione
mortis
causa
effettuata dal testatore al trustee.
Dottrina autorevole
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riconduce tale attribuzione alle
tradizionali categorie dell’istituzione d’erede (se il trustee
riceve dal testatore tutto l’asse o una quota indivisa di
esso) o del legato (se egli riceve, invece, beni determina-
ti), ma l’impressione è che – per ragioni che sarebbe
lungo esporre in questa sede
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- essa abbia, in realtà,
caratteri affatto peculiari che la rendono non assimilabile
ad esse. Quando si aprirà la successione del disponente,
dunque, vi è il rischio di trovarsi in seria difficoltà nel-
l’applicare la nostra normativa successoria.
In secondo luogo, se il disponente ha dei legittimari,
non può lasciar loro la legittima avvalendosi di un
trust testamentario: l’art. 549 cc, infatti, vieta al
testatore di apporre pesi o condizioni sulla legittima e
tale appare essere la natura di un trust testamentario,
il quale mira per definizione a differire le attribuzioni
in favore di costoro ad un momento successivo a quel-
lo della morte del testatore
16
.
In terzo luogo, il testatore-disponente non potrebbe
prevedere dei beneficiari di reddito in ordine successi-
vo
17
, perché l’art. 698 cc vieta di predisporre rendite
successive e vi è il pericolo che una siffatta previsione
rientri, per ragioni su cui non è possibile diffondersi in
questa sede
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, nell’orbita di tale divieto.
In quarto luogo, gli effetti di un trust testamentario
ben possono essere raggiunti istituendo un trust con
atto fra vivi e prevedendo che esso abbia efficacia solo
a far tempo dal decesso del disponente: vi è, infatti,
sostanziale concordia nel ritenere
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che trusts del ge-
nere non violino il divieto di patti successori di cui
all’art. 458 cc, essenzialmente perché in essi l’evento
costituito dalla morte del disponente svolge il ruolo
non già di causa dell’attribuzione al beneficiario
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, bensì
quello di mero fatto storico da cui dipende (similmen-
te a quanto accade in presenza di un termine iniziale o
di una condizione sospensiva) l’efficacia dell’attribu-
zione stessa. In altri termini, nelle fattispecie conside-
rate il beneficiario appare titolare, sin dalla perfezione
del negozio-trust, di un’aspettativa giuridica all’ac-
quisto del diritto e potrà concretamente acquistare
quest’ultimo quando si verificherà l’evento costituito
dalla morte del disponente
21
.
4. La legge regolatrice
Si sente spesso affermare che, per istituire un trust
interno, occorre conoscere approfonditamente nume-
rose leggi straniere, onde essere di volta in volta in
grado di scegliere quella “giusta”.
Tale affermazione, se può forse spiegare la diffusione
di corsi di formazione sul tema per professionisti, mal
si concilia con una semplice considerazione: nella prassi
dei trusts interni le leggi utilizzate sono, di solito,
sempre le stesse, tanto da poter essere più o meno
contate sulle dita di una mano
22
.
Molto usata è, in particolare, la legge inglese, la quale
è però fonte, per il trustee, di un inconveniente non a
tutti noto: in base ad essa, infatti, dei debiti sorti dal-
l’attività gestoria del trustee risponderanno non solo i
beni in trust, ma anche (e qui sta il punto) il patrimo-
nio personale di costui (che poi avrà regresso sui beni
in trust), pur se egli abbia palesato, allorché contrasse
con il terzo, la propria qualità di trustee
23
.
In altri termini, dunque, la separazione patrimoniale
10
Cfr M.LUPOI,
Atti istitutivi di trust e contratti di affidamento fiduciario
, cit.; Id.
Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari
cit. In estrema sintesi, a dire
dell’autore tale negozio consentirebbe di ovviare: a) a taluni inconvenienti derivanti dall’utilizzo del trust interno (costituiti principalmente sia dall’esigenza di impiegare, cioè
di conoscere a fondo, una legge regolatrice straniera, sia dalla persistenza di resistenze dottrinali e talvolta anche giurisprudenziali – cfr nota 2 — nei confronti di tale istituto);
b) a taluni rilevanti limiti funzionali dell’atto di destinazione (consistenti essenzialmente — a dire dell’autore — sia nella totale assenza, stante il silenzio di detta norma sul
punto, di obbligazioni fiduciarie a carico del gestore e quindi di una sua discrezionalità gestoria, assenza questa che rende tale istituto idoneo solo a forme di amministrazione di
tipo conservativo e statico, sia nell’impossibilità di farne oggetto beni diversi da quelli espressamente menzionati nella norma, sì che, in caso di alienazione dei beni destinati,
risulta inoperante, così come accade nel fondo patrimoniale, il fenomeno della surrogazione reale, cioè della sostituzione, all’interno del fondo destinato, dei beni alienati con
il corrispettivo di detta alienazione). Tale tesi, come del resto accade sovente in questo contesto giuridico (vista l’autorevolezza della fonte da cui essa proviene), ha finito per
trovare un non trascurabile riscontro nella prassi (cfr ad esempio i contratti di affidamento fiduciario effettivamente stipulati reperibili in Trusts 2011, 335 e 456, in Trusts
2012, 685 ed in Trusts 2013, 422 e 677) e per costituire anche occasione per il diffondersi di corsi di formazione per professionisti, ma ciò non toglie che essa appaia non del
tutto persuasiva (sul punto v.
amplius
S.BARTOLI,
Trust e atto di destinazione
cit., 42 ss.). Non convince, in particolare, l’affermazione dell’autore secondo la quale farebbero
difetto, nell’istituto previsto dall’art. 2645 ter c.c., le obbligazioni fiduciarie: come rilevato da altra parte della dottrina (cfr. G.PETRELLI,
La trascrizione degli atti di
destinazione
, in RDC 2006, §§ 17-18; S.MEUCCI,
La destinazione di beni tra atto e rimedi
, Milano 2009, 314-317), infatti, il silenzio della norma sul punto ben può essere
colmato dall’interprete, sì da rendere comunque ricostruibili gli obblighi del gestore. Ove ci si ponga in tale ottica, pertanto, parrebbe francamente eccessivo prendere le mosse
dal silenzio normativo in questione per andare alla ricerca di un istituto (appunto il contratto di affidamento fiduciario) ulteriore ed alternativo rispetto a quello (l’atto di
destinazione) già previsto dall’art. 2645 ter c.c., apparendo più lineare e proficuo un lavoro ermeneutico volto a ricostruire quest’ultimo istituto tentando di ovviare, per quanto
possibile, alle lacune di disciplina dalle quali la norma appare senza dubbio affetta.
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Secondo tale norma “
E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi
o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri
o su alcuni beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro
duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni
”. Va evidenziato che, fra l’altro, secondo la Suprema Corte il reato sussiste (trattandosi di reato “
di pericolo
” e non
di reato “
di danno
”) per il solo fatto che, all’epoca della stipula del negozio fraudolento, già sussistesse la situazione debitoria del contribuente, essendo irrilevante che egli non
avesse ancora ricevuto la notifica di un avviso di accertamento: cfr infatti, ad esempio, Cass.pen.45730/2012.
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Stante la previsione dell’art.217 bis LF, andrebbe invece esente da tali imputazioni (ma in questa sede il tema può essere solo accennato) il soggetto che utilizzasse il trust nel
contesto di un concordato preventivo di cui all’articolo 160 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182 bis o di un piano attestato di cui
all’articolo 67, terzo comma, lettera d), ovvero di un accordo di composizione della crisi omologato ai sensi dell’articolo 12 della legge 27 gennaio 2012, n. 3, nonché per
effettuare pagamenti e operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a norma dell’articolo 182 quinquies.
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Si tratta del trust in cui il disponente, lungi dal trasferire i suoi beni ad un trustee, si dichiara trustee dei medesimi, conservandone così la titolarità sia pure affetta dal vincolo
di destinazione tipico di qualunque trust.
14
Cfr M.LUPOI,
Trusts
cit., 630 ss.
15
E sulle quali cfr S.BARTOLI,
La natura dell’attribuzione
mortis causa
al trustee di un trust testamentario
, in Trusts 2004, 58 ss. e 179 ss.; ritengono il trustee non assimilabile
ad un erede o legatario anche A.DE DONATO,
Il trust nel sistema successorio
, in Aa.Vv., Il Trust nell’ordinamento giuridico Italiano - Quaderni del Notariato, Milano 2002, 99;
R.CALVO,
Il “trust” testamentario
, in Aa.Vv., Diritto delle successioni, a cura di R.Calvo-G. Perlingieri, Napoli 2008, 76-77; R. FRANCO,
Trust testamentario e liberalità non
donative: spiragli sistematici per una vicenda delicata
, in RN 2009, § 3.
16
Cfr S.BARTOLI – D.MURITANO,
Le clausole dei trusts interni
, Torino 2008, 119 ss.
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Esempio: Tizio istituisce un trust testamentario prevedendo che i canoni di locazione rivenienti dagli immobili in trust saranno attribuiti dal trustee prima a Caio e poi, deceduto
costui, a Sempronio.
18
E sulle quali cfr S.BARTOLI – D.MURITANO,
Le clausole dei trusts interni
cit., 177 ss.
19
Cfr M. LUPOI,
Trusts
, cit., 663 ss.; S. BARTOLI,
Il trust
, cit., 679 ss.; ID.,
Il trust ed il divieto dei patti successori, con particolare riferimento al cosiddetto Totten trust
, in
Trusts, 2002, 207 ss.; P. PICCOLI,
Trusts, patti successori, fedecommesso
, in AA.VV, I trusts in Italia oggi, a cura di I. Beneventi, Milano, 1996, 134 ss.; E. MOSCATI,
Trust
e vicende successorie
, in Eur. dir. priv., 1998, 1075 ss.; S.BARTOLI-D. MURITANO,
Le clausole del trusts interni
cit., 17 ss.; in giurisprudenza esclude la violazione dell’ert.458
cc Trib.Urbino 11.11.2011, in Trusts 2012, 401.
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Nel qual caso, come insegna un tradizionale e consolidato orientamento (cfr A. GIAMPICCOLO,
Il contenuto atipico del testamento
, Milano, 1954, 37-74, 103 ss., 219 ss.;
A. PALAZZO,
Autonomia contrattuale e successioni anomale
, Napoli, 1983; M.V. DE GIORGI,
I patti sulle successioni future
, Napoli, 1976), si è – appunto - in presenza
di un patto successorio vietato.
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Diverso è il caso in cui il disponente si riservi di nominare beneficiari, in aggiunta o in sostituzione di quelli da egli già individuati, mediante un successivo testamento: qui
parrebbe infatti venire in questione il divieto dei cosiddetti “
patti successori indiretti
”, per il quale si veda il successivo paragrafo 6.
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Dalla semplice consultazione, ad esempio. della rivista Trusts e attività fiduciarie (che è di certo ottima ed indispensabile per la sua ricchezza di materiali sia dottrinali che
giurisprudenziali, ma ha forse il limite di ospitare assai di rado opinioni difformi da quelli della direzione scientifica) risulta evidente, infatti, che le più utilizzate sono, di gran
lunga, quella inglese e quelle di alcune Isole poste nel Canale della Manica (Jersey, Guernsey e Man, con netta prevalenza della prima).
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Cfr. ad esempio M.GRAZIADEI,
Diritti nell’interesse altrui
, Trento 1995, 385 ss., nonché la sentenza Watling v. Lewis [1911], 1 Ch.414, p. 424. Tale principio viene spiegato
con la considerazione che, non essendo il trust un soggetto di diritto, l’attività del trustee non può essere equiparata a quella di un organo di un ente e, come tale, non può che
essere imputata al soggetto trustee. La giurisprudenza inglese ha comunque precisato (cfr. Miur v.City of Glasgow Bank [1879] 4 App Cas, 337 at 355, 362; Perring v.Draper
[1997] EGCS 109; Marston Thompson & Evershed Plc v. Benn [1998] CL 613; Watling v. Lewis [1911] 1 Ch 414 at 424; Re Robinson’s Settlement [1912] 1 Ch 717 at 729)
che il trustee potrebbe limitare la sua responsabilità ai soli beni in trust (ovvero, a seconda del tenore della pattuizione intervenuta, anche al valore dei beni in trust o a parte di
detto valore: si avrà così, a seconda del contenuto della clausola in questione, una responsabilità
intra vires e cum viribus
ovvero meramente
intra vires
) ove il contratto da egli
stipulato con il terzo contenga una clausola che lo preveda espressamente.
Il trust interno
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