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NUMERO 213 - MAGGIO / GIUGNO 2013
MARCO PASTRO
Ordine di Treviso
IL COMMERCIALISTA VENETO
SEGUE A PAGINA 8
Gli strumenti di contrasto
dell'elusione fiscale internazionale
PREMESSA
Le attività transnazionali delle imprese, attuate mediante schemi di gruppo, stabili
organizzazioni o rapporti commerciali, costituiscono oggetto di attenzione privile-
giata da parte delle Amministrazioni fiscali nazionali, in quanto potenziali veicoli
mediante i quali ottenere un trattamento tributario vantaggioso non previsto dal
sistema. Il concetto a cui si fa riferimento non è quello di evasione fiscale ma di
elusione: mentre il primo comportamento infatti è contrario alla legge
1
, il secondo
ne costituisce un abuso
2
. L’elusione può essere definita come
una forma di risparmio fiscale che è conforme alla lettera
della legge, ma non alla
ratio
delle norme tributarie, in virtù
della quale il contribuente cerca di aggirare la norma ponendo
in essere una serie di fattispecie civilistiche, consistenti nella
scelta di tipi contrattuali o di architetture negoziali comples-
se, al solo scopo di evitare il verificarsi del presupposto cui
la legge ricollega la nascita dell’obbligazione tributaria e con-
seguentemente ridurre l’onere fiscale.
In questa prospettiva, il legislatore italiano ha introdotto una
serie di disposizioni antielusive specifiche, volte a contrastare
l’insediamento di attività in determinati Stati e territori esteri, al
solo fine di ottenere indebiti risparmi d’imposta. Gli istituti
predisposti dal legislatore italiano al fine di contrastare i feno-
meni di elusione internazionale sono la disciplina delle
controlled
foreign companies
(CFC), il regime di indeducibilità delle spese
e di ogni altro componente negativo relativo ad operazioni inter-
corse tra un soggetto residente in Italia e un’impresa residente o localizzata in un
paradiso fiscale e le disposizioni in materia di
transfer pricing
.
LA DISCIPLINA DELLE
CONTROLLED FOREIGN COMPANIES
Tra le principali misure adottate a livello internazionale al fine di contrastare la
concorrenza fiscale dannosa e la delocalizzazione dei capitali da parte dei gruppi
multinazionali in giurisdizioni caratterizzate da regimi fiscali agevolati, assume
particolare rilevanza la disciplina delle
Controlled Foreign Companies
(CFC). Tale
normativa imputa in capo ai soggetti residenti gli utili della società o ente control-
lato localizzato in un altro Paese (in genere a regime fiscale privilegiato o a bassa
tassazione), in misura proporzionale alla partecipazione al capitale ed indipenden-
temente dalla effettiva distribuzione di tali utili sotto forma di dividendi. In termini
generali le norme sulle CFC mirano da un lato ad eliminare il differimento dell’im-
posizione derivante dalla mancata distribuzione dei dividendi (tax deferral), dall’al-
tro a contrastare i fenomeni di erosione della base imponibile in relazione ad inve-
stimenti localizzati in paradisi fiscali.
Ambito di applicazione
La normativa delle CFC, ai sensi dell’art. 167, commi 1 e 2 del TUIR, trova
applicazione nei confronti delle persone fisiche residenti, delle società di persone e
dei soggetti ad esse equiparate, delle società di capitali, delle società cooperative,
delle società di mutua assicurazione, degli enti pubblici e privati (trust inclusi), che
detengono direttamente, indirettamente, per mezzo di schermi fiduciari o per inter-
posta persona partecipazioni di controllo di una impresa, di una società o di altro ente
residente o localizzato in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro
dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’art. 168 bis. L’art. 167, comma 3 del
TUIR prevede che ai fini della determinazione del criterio del controllo bisogna fare
riferimento all’art. 2359 del codice civile in materia di società
controllate
3
.
L’art. 168 del TUIR dispone inoltre che le disposizioni sulle
CFC trovano applicazione anche nel caso in cui un soggetto
residente in Italia detenga direttamente o indirettamente (tra-
mite quindi anche una società fiduciaria o per interposta
persona) una partecipazione non inferiore al 20% agli utili
del soggetto residente o localizzato in Paesi a fiscalità privi-
legiata; qualora poi il soggetto partecipato sia una società
quotata in borsa, il requisito è verificato anche per partecipa-
zioni agli utili non inferiori al 10%. Per quel che riguarda il
riferimento alla sussistenza di una certa percentuale di parte-
cipazione agli utili, anziché ai diritti di voto, vale la pena di
evidenziare come tale previsione sia idonea ad attrarre nella
disciplina sulle CFC ipotesi in cui, civilisticamente, non è
ipotizzabile alcuna forma di collegamento, si pensi ad esempio
al possesso di azioni prive di diritto di voto nell’assemblea
ordinaria, similari alle nostre azioni di risparmio o privilegiate
4
; ai fini della determina-
zione del criterio del collegamento l’art. 168 del TUIR delinea dunque un autonomo
concetto, che si discosta da quello civilistico dettato dall’art. 2359, comma 3 del codice
civile
5
. Nella caratterizzazione e applicazione della normativa sulle CFC è quindi neces-
saria la presenza di un legame di partecipazione qualificata da parte del soggetto residen-
te
6
e la condizione che i redditi prodotti dalla società estera controllata o collegata siano
soggetti ad un regime fiscale privilegiato ai sensi del D.M. 21 novembre 2001.
Determinazione, imputazione e tassazione del reddito della CFC
Se risultano integrate tutte le condizioni che prevedono l’applicazione della norma-
tiva sulle CFC, prima di procedere con l’imputazione per trasparenza del reddito
prodotto dalla società estera, è necessario determinare lo stesso secondo quanto
disciplinato dall’art. 167, comma 6 del TUIR per le imprese estere controllate o
dall’art. 168, commi 2 e 3 del TUIR per le imprese estere collegate.
Per quanto concerne le CFC controllate, il secondo periodo del comma 6 dell’art.
167 del TUIR prevede che il reddito sia determinato in base alle disposizioni
generali relative al reddito d’impresa (titolo I, capo VI del TUIR) nonché tenendo
conto di specifiche disposizioni contenute nel Titolo II, Capo II, Sezione I del
1
KRUSE,
Il risparmio d’imposta, l’elusione fiscale e l’evasione
in Trattato di diritto tributario di Amatucci A., III parte, 1994, p. 207; CIPOLLINA,
La legge civile e la legge
fiscale
, Padova, 1992, p.13.
2
Secondo LUPI,
Elusione fiscale: modifiche normative e prime sviste interpretative
, in Rass. Trib., 1995, p. 409 l’elusione può essere definita come strumentalizzazione delle
norme fiscali, inattaccabile finché non intervengano norme antielusive che consentano di rimuovere la protezione che la legislazione stessa dà all’elusore; per FANTOZZI,
Il diritto tributario
, Torino, 2003, p. 159 nessuna norma di legge proibisce il comportamento elusivo.
3
L’articolo 2359 c.c. al comma 1 definisce le tre tipologie di controllo: controllo di diritto, controllo interno di fatto, controllo esterno di fatto. Il controllo di diritto,
contestualizzato all’ambito della normativa CFC, si verifica quando il soggetto residente detiene la maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (od organo equivalente)
del soggetto residente o localizzato in Paesi a fiscalità privilegiata. Il controllo interno di fatto si realizza quando il soggetto residente detiene una partecipazione nella CFC sufficiente
per esercitare una influenza dominante nella controllata stessa. Infine, il controllo esterno di fatto si verifica allorquando il soggetto residente esercita un’influenza dominante in virtù
di vincoli contrattuali; in quest’ultimo caso è comunque necessario un legame partecipativo (ancorché minimo) per poter imputare per trasparenza gli utili della CFC.
4
Sulla
ratio
ispiratrice della CFC alle imprese collegate si veda STEVANATO,
La delega fiscale
e la CFC Legislation
, in Fisco, 2002, p. 2731 secondo cui se viene individuata
esclusivamente nella volontà di reprimere politiche di differimento della tassazione in Italia di redditi prodotti in paradisi fiscali mediante la postergazione nel tempo della
distribuzione di riserve di utili, l’estensione del regime alle ipotesi di mero collegamento societario suscita non pochi dubbi in relazione al rispetto di principi fondamentali
dell’imposizione sul reddito. Difatti tali politiche di differimento della tassazione presuppongono che il soggetto residente in Italia abbia il potere di indirizzare le decisioni
dell’assemblea della partecipata estera nella direzione della ritenzione degli utili. Ciò non sembra affatto realizzarsi nei casi di mero collegamento non essendovi alcuna certezza che
la società residente sia in grado di influenzare le decisioni dell’assemblea della società estera. Secondo DOMINICI,
Considerazioni sul regime delle “cfc”
, in Corr. Trib., 2003, p. 3123
e ss., l’estensione del regime a questi casi appare invece più giustificata qualora si attribuisca alle norme in discussione una funzione di contrasto a fenomeni di interposizione fittizia,
diretti alla localizzazione in paradisi fiscali di redditi in realtà generati attraverso un’attività che continua ad avere una primaria connessione col territorio dello Stato.
5
DELLA VALLE,
La stabile organizzazione e le disposizioni in materia di rapporti internazionali
, relazione al convegno Riforma fiscale: la nuova imposta sul reddito delle
società, Roma, 23 ottobre 2003, p. 235.
6
Nella maggior parte dei Paesi, la nozione di partecipazione qualificata viene riferita alla partecipazione azionaria e ai diritti di voto posseduti dai residenti in una controllata
estera. Inoltre, per determinare il rapporto di partecipazione qualificata, si considerano, in genere, sia l’interesse diretto che quello indiretto sugli utili derivanti dall’investimen-
to. Ad esempio, la Germania per identificare una situazione di partecipazione qualificata richiede un possesso di partecipazioni che sia “oltre il 50%”.
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FISCALITÀ INTERNAZIONALE