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NUMERO 213 - MAGGIO / GIUGNO 2013
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PROCEDURE CONCORSUALI
LUIGINO EMILIO BATTISTON
Ordine di Pordenone
IL COMMERCIALISTA VENETO
I compensi professionali
nelle procedure concorsuali
SEGUE A PAGINA 24
1. Introduzione
Il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) viene considerato fondamentale nell’ordi-
namento democratico repubblicano. Nello stesso senso la legge prevede che i creditori
debbano avere “eguale” diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore. Ne conse-
gue che solo se è accordato dalla legge possa ammettersi la costituzione di un
privilegio a favore di un creditore, in deroga alla regola della parità di trattamento
degli aventi diritto. Inoltre il privilegio ha pratica utilità soltanto nel caso di
insolvenza del debitore (e/o di insufficienza del suo patrimonio al pagamento di
tutte le sue passività).
L’accertamento delle passività del debitore è finalizzato all’identificazione dei
creditori, aventi titolo anteriore alla procedura che vogliono partecipare al concor-
so, con la definizione dell’ammontare e della natura del credito; l’ammissione al
concorso determinerà il diritto alla partecipazione ai riparti di attivo, realizzato
dalla liquidazione dei beni del debitore. L’attuazione del concorso sostanziale, retto
dalle norme del codice civile, viene convogliata nel fallimento tramite l’osservanza
alla regola del concorso formale di cui all’art. 52 L.F., secondo la quale tutti i
creditori, anche muniti di titolo di prelazione, che intendono partecipare alla ripar-
tizione dell’attivo, devono far accertare le proprie ragioni creditorie secondo il
procedimento speciale di accertamento del passivo.
L’accertamento del passivo non ha natura di cosa giudicata ma solo un valore di
accertamento sommario, ed è compiuto ai fini esclusivi della procedura fallimenta-
re, essendo privo di un qualsiasi valore all’esterno di essa. Nei procedimenti som-
mari, come quello fallimentare di accertamento del passivo si ha che:
-
l’immutabilità degli effetti dei provvedimenti sommari è limitata unicamen-
te al diritto immediatamente fatto valere in via sommaria;
-
l’ambito oggettivo dell’immutabilità che consegue alla statuizione contenu-
ta nel provvedimento sommario divenuto immodificabile è quantitativamente mi-
nore di quello di un accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato
dopo lo svolgimento di un giudizio a cognizione piena.
Queste brevi considerazioni riprese dalla dottrina in tema di giudicato
endofallimentare ci possono aiutare a capire che il provvedimento di ammissione di
un credito al passivo del fallimento del debitore per un determinato importo è cosa
ben diversa di una sentenza favorevole per un creditore che vede il proprio debitore
condannato al pagamento della stessa somma di denaro.
Il concetto di immutabilità degli effetti del provvedimento di ammissione di un
credito al passivo conduce poi verso il concetto di immutabilità del decreto che
dichiara esecutivo il progetto di riparto; infatti quando questo progetto è divenuto
non più impugnabile, la conseguenza è la definitività delle attribuzioni fatte ai
creditori. Capire, coordinare e applicare distinti corpi di norme con le relative
correlazioni, come quelle civilistiche, quelle fallimentari e quelle tributarie, molto
eterogenee tra loro, non è sempre agevole. Già in sede di esame delle domande di
ammissione al passivo dei crediti per prestazioni professionali rese al debitore prima
del fallimento e dei crediti per l’imposta sul valore aggiunto di rivalsa che li accompa-
gna è possibile avere un primo contatto con le problematicità appena indicate.
Non meno problematiche sono le implicazioni legate alla fase del riparto con i
relativi esborsi finanziari e il trattamento della documentazione amministrativa che
perviene al curatore
.
Le norme tributarie nei fallimenti da sempre hanno posto
rilevanti questioni interpretative e con riferimento particolare all’IVA, fin dal mo-
mento della sua istituzione avvenuta con il D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633.
Va ricordato infatti che tale Decreto inizialmente non contemplava alcuna norma
specifica tesa a regolamentare le procedure concorsuali; questo fatto alimentò un
vivace dibattito in dottrina ed in giurisprudenza.
Secondo l’orientamento della giurisprudenza la dichiarazione di fallimento determi-
nava la cessazione dell’esercizio dell’impresa e quindi il venir meno del presuppo-
sto soggettivo dell’imposta di cui agli artt. 1 e 4, 3° comma della legge IVA.
Le difficoltà interpretative vennero risolte con l’intervento del legislatore che con
D.P.R. 23 dicembre 1974 n. 687 introdusse nella legge IVA l’art. 74 bis, il quale
regolamenta, seppur con ulteriori modificazioni successive, ancora oggi gli
adempimenti a carico del curatore. Di fronte al sollevato sospetto di incostituzionalità
dell’art. 74 bis per eccesso di delega, la Corte Costituzionale con Sent. n. 115 del 20
aprile 1986 si è espressa nel senso della legittimità della norma, avendo il legislatore
tributario “
mostrato di non voler distinguere tra l’attività gestionale dell’impresa
e il momento della sua liquidazione, ancorché coattiva”.
1.1 Cenni al privilegi in generale.
I creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le
cause legittime di prelazione. Sono cause legittime di prelazione i privilegi…..”.
“Il privilegio è accordato dalla legge in considerazione della causa del credito.”
Così esordiscono l’art. 2741 e il primo comma dell’art. 2745 del codice civile
vigente, formulazione rimasta immutata fin dalla loro approvazione, avvenuta con
R.D. del 16 marzo 1942 n. 262; formulazione che riproduce in parte l’art. 1952 del
previgente codice civile del 1865.
Il legislatore vuole che certi determinati crediti siano soddisfatti a preferenza degli
altri; e a tale effetto li dichiara privilegiati, e accorda al creditore una prelazione sul
prezzo di determinati beni, o di determinate categorie di beni, derogando alla regola
che tutti i beni del debitore sono la comune garanzia dei suoi creditori e che tutti i
creditori vi hanno un uguale diritto.
Proprio perché è il legislatore che stabilisce quali crediti sono privilegiati, non può
mai verificarsi che vi siano dei privilegi che abbiano origine contrattuale.
Non può quindi considerarsi privilegiato un credito che la legge non dichiara espres-
samente tale, sebbene la sua causa appaia altrettanto meritevole di favore quanto
quella del credito di eguale natura compreso tra i privilegiati dal legislatore.
Quando si parla dei privilegi dello Stato relativamente ai crediti tributari
(la cui
causa del credito è fondata su ragioni di pubblico interesse che esigono la loro
pronta e sicura esazione al fine di non pregiudicare, ad esempio, l’erogazione dei
pubblici servizi)
si ha comunque a che fare con privilegi civilistici.
Il codice civile stabilisce privilegi generali e speciali con riferimento ai beni mobili
del debitore: i primi comprendono tutti i beni mobili del debitore; i secondi colpi-
scono solamente determinati mobili. E’ poi opinione comune che il privilegio gene-
rale sia una qualità del credito che non attribuisce un diritto di seguito e la sua
funzione consista esclusivamente nell’attribuire al creditore la prelazione.
Il privilegio speciale, invece, è un diritto soggettivo e precisamente un diritto reale
di garanzia e attribuisce al creditore, oltre alla prelazione, anche il diritto di seguito.
Nell’ambito dei privilegi speciali sui beni mobili la legge talora accorda anche il
diritto di ritenzione del creditore sullo stesso bene. L’ipotesi è prevista, ad esem-
pio, nel 3° c. dell’art. 2756 c.c., dove viene presa in considerazione la facoltà del
creditore stesso di ritenere la cosa soggetta al privilegio finché non è soddisfatto del
suo credito e può anche venderla secondo le norme stabilite per la vendita del
pegno. Il mancato esercizio del diritto di ritenzione implica la perdita di ogni diritto
di prelazione. La disciplina dei privilegi sui crediti è data da norme del codice civile
(Libro VI, Titolo III, Capo II, artt. 2745 – 2783 bis); i privilegi regolati da leggi
speciali, prevalentemente tributarie e previdenziali, rinviano comunque alle norme
del codice civile. La legge fallimentare disciplina i crediti prededucibili (art. 111 bis)
e detta l’ordine di distribuzione delle somme (art. 111) per i casi di fallimento e si
limita a rinviare alle norme del codice civile (Es.: art. 52, 2° c.; art. 53; art. 54; art. 80,
4°c.) in tutti i casi in cui la distribuzione dell’attivo deve avvenire in via privilegiata
derogando al principio generale della
“par condicio creditorum”.
1.2 Cenni al privilegio generale sui beni mobili
accordato alle retribuzioni dei professionisti
Con l’art. 15 della L. 29/07/1975 n. 426 la disciplina dei privilegi è stata modificata.
Il privilegio generale sui beni mobili del debitore che assiste i crediti dei professio-
nisti originariamente previsto nell’art. 2751 del codice civile del 1942, con la L. n.
426 viene inserito al n. 2 dell’art. 2751 bis.
Questo privilegio introdotto dal legislatore del 1942 non ha precedenti nel codice
civile del 1865 (nulla infatti dispone il vecchio codice, vedere a tal proposito l’art.
1956 del vecchio codice del 1865), e si è accompagnato alla disciplina del contratto
d’opera intellettuale (artt. 2229-2238 c.c.), anch’essa una innovazione del codice
civile del 1942. Il passaggio successivo si ha con l’art. 1 della L. 29 maggio 1982 n.
297, che tra l’altro, ha sostituito l’art. 2776 c.c., dove al secondo comma, prevede che
i
crediti dei professionisti indicati nell’art. 2751bis siano collocati sussidiariamente,
in caso di infruttuosa esecuzione sui mobili, sul prezzo degli immobili, con preferen-
za rispetto ai creditori chirografari, ma dopo i crediti indicati al primo comma.
La disciplina codicistica del contratto d’opera intellettuale nell’ambito del lavoro
autonomo e la previsione del privilegio che assiste i crediti dei professionisti vanno
a sancire il principio della presunzione di onerosità della prestazione del professio-
nista come soggetto facente parte del mondo del lavoro ma anche la fine della
tradizione romanistica che assegnava alle opere liberali il carattere della gratuità.
Nell’accennare in precedenza ai privilegi in generale avevo menzionato un esempio
in cui nell’ambito dei privilegi speciali sui beni mobili la legge talora accorda anche
il diritto di ritenzione del creditore sullo stesso bene; non così certamente per i
professionisti. Come noto, l’art. 2235 c.c. prevede il divieto di ritenzione delle
cose e dei documenti ricevuti dal cliente se non per il periodo strettamente necessa-
rio alla tutela dei propri diritti secondo le leggi professionali.
Tale disposizione è fondata sull’esigenza di evitare al cliente la possibilità di subire
abusi da parte del prestatore d’opera intellettuale, soprattutto nel periodo seguente
alla conclusione della propria prestazione contrattuale; conclusione che può essere
dovuta a molteplici motivi, compreso il caso di fallimento del cliente, dove l’art. 86
L.F. prevede l’obbligo di consegna del denaro, titoli, scritture contabili e documenti
dell’imprenditore fallito al curatore.
1.3 Cenni al concetto di rivalsa dell’onere tributario
e ai privilegi accordati al credito di rivalsa in generale
Oltre ai privilegi, le leggi fiscali prevedono, a tutela del credito d’imposta dello
Stato, altri istituti rafforzativi dell’obbligazione tributaria; tali istituti sono:
-
la sostituzione d’imposta dove taluno è chiamato dalla legge fiscale a ri-
spondere del pagamento dell’imposta in luogo di altri per situazioni e fatti a questi
riferibili;
-
la responsabilità d’imposta dove taluno è chiamato a rispondere del paga-
mento insieme con altri, per fatti e situazioni a questi esclusivamente riferibili;
-
la responsabilità solidale dove taluno è chiamato con altri a rispondere del
pagamento dell’imposta perché coobbligato nell’obbligazione tributaria.
In virtù di tali istituti lo Stato dà luogo a fattispecie di traslazione economica
dell’onere tributario.
Un’altra fattispecie molto frequente nel sistema fiscale di traslazione economica
dell’onere tributario è quella detta della rivalsa, dove:
-
il contribuente di diritto è il debitore dell’obbligazione tributaria tenuto al