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NUMERO 213 - MAGGIO / GIUGNO 2013
IL COMMERCIALISTA VENETO
propria struttura di natura materiale e personale (presenza di mezzi e perso-
ne) richiede necessariamente anche la collaborazione da parte dell’impresa
estera che potrebbe, alla luce della sua terzietà rispetto all’impresa italiana,
anche rifiutare. In merito, invece, alla “seconda esimente”, essa sembrereb-
be, a prima vista, più facilmente esperibile, in quanto avrebbe a riferimento
l’operazione intercorsa tra le parti. Peraltro, proprio con riferimento a que-
st’ultima, in dottrina, già in vigenza del precedente dettato dell’art. 110 ci si
era interrogati sulla valenza della locuzione “
effettivo interesse economi-
co
” ed, in particolare, se tale terminologia potesse essere meramente fatta
rientrare nella più ampia nozione di “inerenza” dettata dall’art. 109 del
T.U.I.R., ovvero, avesse un significato diverso e più specifico.
Quest’ultima interpretazione è parsa essere la più corretta sia in termini
letterali - la terminologia utilizzata dal legislatore - “effettivo interesse
economico” - è infatti diversa rispetto a quella di “inerenza” e non può
essere semplicemente considerata ridondante rispetto a quest’ultima - sia
in termini di
ratio
della norma: non v’è dubbio, infatti, che l’estensione a
rapporti con imprese estere non collegate abbia avuto proprio la finalità
ultima di appurare che le operazioni intercorse non vengano fittiziamente
concluse con soggetti esteri in qualche modo (anche se non ufficialmente)
collegati con l’impresa italiana. E ciò, al solo fine di abbattere reddito impo-
nibile in Italia e di vederlo, per contro, tassato in modo agevolato in Paesi
a regime fiscale privilegiato.
La dimostrazione, quindi, dell’effettivo interesse economico può essere for-
nita mediante
un’apprezzabilità economico-gestionale dell’operazione
. Si
tratterà, in altri termini, di valutare se il comportamento dell’impresa residente
sia economicamente “
normale
” e imprenditorialmente vantaggioso. Circa i
parametri di valutazione dell’indicato presupposto, secondo l’Amministra-
zione Finanziaria (circ. 51/E/2010, § 9.3), la valutazione della sussistenza del-
l’effettivo interesse economico va effettuata tenendo conto di tutti gli ele-
menti e le circostanze che caratterizzano il caso concreto, attribuendo rilevanza
alle condizioni complessive dell’operazione, quali ad esempio:
– il prezzo della transazione;
– la presenza di costi accessori, quali, ad esempio, quelli di stoccaggio,
magazzino;
– le modalità di attuazione dell’operazione (esempio, i tempi di consegna);
– la possibilità di acquisire il medesimo prodotto presso altri fornitori;
– l’esistenza di vincoli organizzativi/commerciali/produttivi che inducono
ad effettuare la transazione con il fornitore
black list
o, comunque, che
renderebbero eccessivamente onerosa la medesima transazione con altro
fornitore
8
.
3.
ALTRECAUSEDIDISINNESCODELLANORMATIVA
Le esimenti finora esaminate costituiscono le fattispecie espressamente
codificate. Queste non esauriscono, tuttavia, le circostanze in presenza
delle quali è possibile neutralizzare l’indeducibilità prevista dalla norma in
commento. La norma non trova, infatti, applicazione qualora la società
italiana abbia richiesto, in via preventiva, di conoscere l’avviso dell’Ammi-
nistrazione Finanziaria (c.d. interpello preventivo) in ordine alla natura ed
al relativo trattamento tributario dell’operazione e ne abbia ottenuto rispo-
sta positiva né quando risulti già applicabile, nei rapporti con il fornitore
estero, la tassazione per trasparenza “CFC” ex art. 167 e 168 del TUIR (in
quanto lo stesso risulta partecipato dalla società italiana)
9
.
4.
OBBLIGODISEPARATAINDICAZIONE
NELMODELLOUNICO
Il delineato regime di deducibilità è completato dall’obbligo di separata
indicazione di detti costi “paradisiaci” nel Modello UNICO. È dunque
previsto l’obbligo per i contribuenti di apportare una variazione in
aumento del reddito imponibile, e contestualmente, una variazione in
diminuzione evidenziate entrambe nel quadro RF della dichiarazione dei
redditi. A fronte della violazione del citato obbligo dichiarativo (ma ricor-
rendo le c.d. esimenti di cui sopra, paragrafo 2), la sanzione, a parere del-
l’Amministrazione Finanziaria, è ora comminata dal D.Lgs. 18 dicembre 1997,
n. 471, art. 8, comma 3 bis, il quale prevede “
una sanzione amministrativa
pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei compo-
nenti negativi non indicati nella dichiarazione dei redditi, con un
minimo di euro 500 ed un massimo di euro 50.000
".
5.
ILDIVIETODI DISCRIMINAZIONEELANORMATIVA
ITALIANA ANTI “PARADISIFISCALI”
Dopo avere sinteticamente delineato l’ambito applicativo della norma in-
terna, passiamo ora ad analizzare l’eventuale contrasto tra questa ed il
principio di non discriminazione previsto nei trattati contro le doppie impo-
sizioni stipulati dal nostro Paese.
Riprendendo il contenuto della sentenza citata in apertura del presente lavo-
ro, va evidenziato come il Collegio di Milano ritenga che, in punto di gerar-
chia delle fonti, ed in ipotesi di contrasto tra normativa interna (nello speci-
fico l’art. 110, commi 10 e ss., del TUIR) e normativa di rango internazionale
(per l’appunto, i Trattati bilaterali per evitare le doppie imposizioni), que-
st’ultima debba prevalere sulla base del criterio di specialità; e ciò anche
qualora la norma interna, sia entrata in vigore successivamente
10
.
Detto questo e nel tentativo di procedere in modo sistematico, va
evidenziato, in primo luogo, che i trattati convenzionali pur essendo fonte
di diritto internazionale vengono recepiti con norma ordinaria (cosiddetta
legge di ratifica) nell’ordinamento italiano; legge che ha anche una valenza
di legge speciale, ed in quanto tale, prevalente sulle altre norme ordinarie.
Peraltro, è lo stesso art. 10 della Costituzione della Repubblica Italiana che
stabilisce che l’ordinamento giuridico italiano si debba conformare alle
norme del diritto internazionale generalmente riconosciute e che, in parti-
colare, la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in con-
formità delle norme e dei trattati internazionali. Da tale principio generale
discende anche il disposto dell’art. 16 delle pre-leggi al C.C. ove viene
espressamente sancito che lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili
attribuiti al cittadino italiano, a condizione di reciprocità, e che tale disposi-
zione vale anche per le persone giuridiche straniere.
Di talchè, la normativa contenuta nei Trattati per evitare le doppie imposi-
zioni stipulati dai singoli Paesi, una volta ratificati, è considerata di rango
superiore rispetto a quella interna degli stati contraenti; su questa afferma-
zione converge oltre che il quadro normativo vigente
11
, l’intera dottrina
che si è espressa sul punto
12
.
Si tratterà, semmai, a questo punto, di verificare la compatibilità della norma
del Testo unico “anti paradisi fiscali” con il principio di non discriminazio-
ne previsto dal Modello OCSE e, quindi, se possa essere confermata la tesi
secondo cui la disciplina dei costi
black list
contenuta nell’art. 110, commi
10 e ss. del TUIR presenti profili di
incompatibilità con le norme conven-
zionali. Infatti, la disposizione pattizia qui in esame e riportata testualmente
all’inizio del presente lavoro, persegue il fine di evitare che, a fronte del
riconoscimento in base alla normativa interna, della deducibilità, in capo ai
soggetti eroganti, degli interessi,
royalties
ed altre spese corrisposti ad un
soggetto residente nel medesimo Stato,
non
vi sia un contestuale
riconoscimento di tale beneficio (la deducibilità del costo) nel caso in cui il
percettore di tali redditi sia un non residente.
Il contenuto della norma presuppone, quindi, una sorta di comparazione
tra la disciplina tributaria interna riservata ai costi relativi ad operazioni tra
imprese dello stesso Stato ed il trattamento fiscale previsto per i costi
relativi ad operazioni della medesima natura, ma intercorse con un’impresa
residente in altro Stato contraente.
Prima facie
, parrebbe, quindi, possibile sostenere, seguendo peraltro il
pensiero della dottrina prevalente, che una disposizione che preveda
l’indeducibilità dei costi sostenuti in relazione ad operazioni intercorrenti
con soggetti non residenti risulti essere incompatibile con l’esistenza di
accordi ratificati che contengono una clausola di non discriminazione
del tenore dell’art. 24, paragrafo 4, del Modello Ocse
13
.
In tale eventualità infatti si creerebbe sia:
(a)
una violazione del principio di
8
Nel senso di un valutazione complessiva all’interesse nell’effettuare l’operazione commerciale, vedasi anche la C.T. Reg. Ancona 22.6.2010 n. 5/3/10, la quale ha ritenuto che
l’interesse economico non si concretizza solo e unicamente nella differenza tra i prezzi praticati, ma deve essere valutato nell’ottica dell’attività esercitata nel suo complesso,
tenendo quindi conto di fattori quali la tempestività del reperimento sul mercato di quei beni, la loro qualità, le condizioni di pagamento, oltre che naturalmente il prezzo; secondo
la citata sentenza “sussiste sempre un effettivo interesse economico dell’impresa quando pone in essere un’operazione in grado di produrre profitto, nell’ambito della specifica
natura dell’attività esercitata, a prescindere dalla dimostrata maggiore convenienza. Un’operazione commerciale, non palesemente in perdita, se effettivamente compiuta, è più
che idonea ad integrare il requisito richiesto dall’Amministrazione Finanziaria”.
9
Vedasi sul punto anche M. Pastro,
Gli strumenti di contrasto dell’elusione fiscale internazionale
, in questa Rivista, n. 213, pag. 10 e 11.
10
Il contrasto tra norme interne e norme pattizie internazionali, infatti, non dovrebbe essere risolto, come sostenuto dagli Uffici, secondo il criterio della successione temporale
delle leggi nel tempo.
11
Vedasi, in particolare, in campo più strettamente tributario, l’art. 75 del D.P.R. n. 600/1973 nonché l’articolo 169 del TUIR in tema di prevalenza – ove più favorevole
– della disciplina convenzionale su quella nazionale.
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In dottrina, per tutti, si confronti lo Studio del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili del Marzo 2012, parag. n. 13 intitolato “I rapporti
tra la disciplina relativa alla deducibilità dei costi black list e le convenzioni contro le doppie imposizioni“. Dello stesso avviso è comunque anche l’Amministrazione
Finanziaria con l’opinione espressa nella circ. n. 33 del 4 ottobre 1984, e confermata nella circ. n. 207/E del 26 ottobre 1999.
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Sostanzialmente tutta la dottrina che si è espressa sul tema è concorde con quanto testè affermato. Per tutti, vedasi, con riferimento alla dottrina più recente e di matrice
prossima a quella ministeriale: S. Capolupo,
Manuale dell’accertamento delle imposte
, Ipsoa ed., VII Ed., 2011, p. 1075 e 1076; G. De Pasquale,
Costi Black List e clausola di
non discriminazione
, Rivista telematica fisco oggi, 11/2/2013; L. Miele,
I costi black list tornano in gioco
, ne Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi del 15.3.2010 , p.41. Contra,
anche se in via isolata e comunque dubitativa, D. Borzumato,
Costi indeducibili verso i paradisi
, Italia Oggi, 14.02.2005, p.14 e ss..
Operazioni con Paesi a regime
fiscale privilegiato
SEGUE DA PAGINA 13
SEGUE A PAGINA 15