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NUMERO 213 - MAGGIO / GIUGNO 2013
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IL COMMERCIALISTA VENETO
dell’Agenzia delle Entrate la quale fornirà le direttive del caso.
Notevole rilievo assume infine il tema dell’onere della prova. Si tratta in altre parole
di stabilire a chi spetti, tra Amministrazione Finanziaria e contribuente, l’onere di
fornire gli elementi di prova della conformità o meno dei prezzi di trasferimento alle
norme di legge. Al riguardo, negli ultimi anni, si sono susseguite sentenze della
giurisprudenza di legittimità e della giurisprudenza di merito che hanno contribuito
a delineare la ripartizione dell’
onus probandi
nelle controversie sui prezzi di trasfe-
rimento. Tra le più significative si richiama la sentenza del 13 ottobre 2006, n.
22023 con la quale la Corte di Cassazione ha stabilito “che l’onere della prova della
ricorrenza dei presupposti dell’elusione grava in ogni caso sull’Amministrazione
che intende operare le conseguenti rettifiche”
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. In altri termini, secondo la Corte di
Cassazione, il contribuente non è tenuto a dimostrare la correttezza dei prezzi di
trasferimento applicati se prima l’Amministrazione fiscale non ha provato il man-
cato rispetto del valore normale. Una posizione contraria che prevede l’inversione
dell’onere della prova a carico del contribuente è stata assunta dalla Cassazione
nella sentenza del 7 maggio 2007, n. 10345, nella quale sono stati ritenuti legittimi
gli accertamenti analitico induttivi fondati sul comportamento “antieconomico”
dell’imprenditore. La Corte statuisce che “se è vero che in tema di accertamento
delle imposte sui redditi, spetta al Fisco dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi
della (maggiore pretesa) tributaria azionata, fornendo la prova di elementi e circo-
stanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggior reddito, è altrettanto vero
che il contribuente, il quale intenda contestare la capacità dimostrativa di quei fatti,
oppure sostenere l’esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi,
deve a sua volta dimostrare gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano”. Sulla
stessa linea interpretativa, vi è una recente sentenza della Corte di Cassazione del
13 luglio 2012, n. 11949, nella quale si ribadisce che “l’onere di fornire la dimostra-
zione dell’inerenza dei costi e, qualora si tratti di cessioni infragruppo soggette alla
disciplina dei prezzi di trasferimento, di ogni elemento che consenta all’Ammini-
strazione di verificare il valore normale dei relativi corrispettivi, incombe sul contri-
buente e non sull’Amministrazione Finanziaria”.
ILCOORDINAMENTO TRALE DISPOSIZIONI ANTIELUSIVE
Dopo aver descritto il funzionamento e le caratteristiche degli strumenti che con-
sentono all’Amministrazione Finanziaria di contrastare il fenomeno dell’elusione
fiscale internazionale, in questo paragrafo vedremo come le diverse disposizioni si
coordinano tra di loro dal punto di vista applicativo.
L’art. 110, comma 12 del TUIR costituisce un’importante norma di coordinamento
tra la disciplina dell’indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi e la
disciplina CFC, che fissa l’alternatività e la priorità di applicazione delle CFC
rules
rispetto all’indeducibilità dei costi con società black list.
Alla disciplina CFC, potremmo perciò dire, è stato affidato in via primaria
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il
compito di vigilanza delle condotte elusive adottate dai gruppi multinazionali rami-
ficati in Paesi a fiscalità privilegiata, individuati come tali proprio in virtù dell’in-
clusione nei listing selettivi
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. L’art. 110, commi 10, 11 e 12 bis del TUIR si rende
applicabile in caso di assenza di rapporti di partecipazione rilevante di controllo o
di collegamento con l’impresa residente in giurisdizioni a fiscalità privilegiata, riser-
vando alla disciplina CFC il ruolo di strumento
ex ante
di
check-up
della struttura
di gruppo, opportunamente contemperato dal controllo
ex post
del valore normale
delle eventuali operazioni commerciali e/o finanziarie intercorrenti (art. 110, comma
7 del TUIR). Qualora sussistano i presupposti per l’imputazione per trasparenza
dell’utile ai sensi dell’art. 167 e 168 del TUIR, l’art. 110, comma 10 del TUIR non
si applicherà
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, con conseguente deducibilità delle spese e degli altri componenti
negativi derivanti da operazioni con imprese/professionisti esteri residenti o loca-
lizzati in Stati o territori non UE aventi regimi fiscali privilegiati; qualora, invece,
non sussistano i requisiti delle CFC
rules
troverà prevalenza l’art. 110, commi 10,
11 e 12 bis del TUIR.
Alla luce di quanto indicato, ne deriva che in caso di omessa presentazione di
istanza di interpello ovvero in caso di risposta negativa dell’Agenzia delle Entrate
ad un interpello disapplicativo delle CFC
rules
, troveranno applicazione gli articoli
167 e 168 del TUIR, con deducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse
con fornitori localizzati in Paesi black list; al contrario, in caso di risposta positiva
all’interpello disapplicativo, non si applicheranno gli art. 167 e 168 del TUIR, con
conseguente indeducibilità dei costi derivanti da operazioni commerciali realizzate
tra imprese residenti ed imprese estere con domicilio fiscale in Stati extra UE a
regime fiscale privilegiato, salvo che l’impresa residente fornisca le prove atte a
soddisfare le condizioni previste per ottenere la disapplicazione della disciplina ex
art. 110, comma 10 del TUIR. Stante l’analogia tra le due disposizioni anzidette con
riguardo alla prima esimente (esercizio di un’effettiva attività industriale o com-
merciale come principale attività e svolgimento prevalente di un’attività commer-
ciale effettiva) ma in virtù della maggiore ampiezza probatoria richiesta alla disci-
plina CFC, in relazione alla quale è richiesta la prova del radicamento con il mercato
locale di riferimento
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, l’interpello favorevole ai fini CFC in merito all’esimente di
cui all’art. 167, comma 5 lett. a) del TUIR, è da considerare valido anche per la
deducibilità dei costi sostenuti con imprese domiciliate in paradisi fiscali, ritenendosi
sufficiente a tal fine la semplice presentazione dell’interpello positivo CFC per la
disapplicazione della presunzione di indeducibilità di cui all’art. 110, comma 10 del
TUIR. La risposta positiva ai sensi dell’art. 167, comma 5 lett. b) del TUIR non
consente invece la disapplicazione automatica della normativa sull’indeducibilità dei
costi black list, ma il soggetto residente in Italia dovrà invece provare alternativamen-
te o il contenuto commerciale dell’attività svolta dal soggetto estero o che le operazio-
ni intercorse con il fornitore estero rispondono ad un effettivo interesse economico.
Inoltre per gli stessi motivi, ma all’opposto, va esclusa la validità automatica anche
ai fini CFC dell’interpello favorevole rilasciato in tema di deducibilità dei costi
black list, stanti i requisiti probatori di minor ampiezza richiesti per la dimostrazio-
ne dell’esimente relativa a quest’ultima disciplina.
E’ importante tener presente comunque che nell’ipotesi di mancata applicazione
sia delle CFC
rules
, sia dell’indeducibilità dei costi da black list, l’Amministrazione
finanziaria, ove se ne verifichino i presupposti, ben potrà misurare la congruità
delle operazioni commerciali di acquisto della società italiana da impresa residente
in un paese a fiscalità privilegiata ed appartenente al proprio gruppo aziendale
mediante il parametro del valore normale di mercato adottabile in tema di prezzi di
trasferimento. A questo proposito giova rilevare come la previsione dell’articolo
110, comma 7 sul transfer pricing si affianchi a quella contenuta, non a caso, nei
successivi commi 10, 11 e 12 bis del medesimo articolo.
L’indeducibilità prevista dall’articolo 110, comma 10 del TUIR in determinati casi
evita che sull’Amministrazione Finanziaria gravi l’onere di provare, mediante i
prezzi di trasferimento, la discrepanza tra prezzo praticato e valore normale dei
beni e servizi ricevuti, onere il cui soddisfacimento è spesso particolarmente arduo.
La regola dell’indeducibilità elimina perciò l’analisi della congruità del valore attri-
buito al costo dell’operazione, se essa intercorre tra i soggetti interessati dall’appli-
cazione di entrambe le norme. Questa situazione potrà verificarsi quando il sogget-
to non residente è un’impresa black list che controlla il soggetto residente o entram-
bi sono controllati da un’impresa terza. Nel caso invece in cui l’impresa residente
controlli quella estera, l’articolo 110 comma 10 del TUIR, come si è detto, non
troverà applicazione, in favore dell’articolo 167 del TUIR (articolo 110, comma 12
del TUIR).
Nonostante quanto appena argomentato, la sinergia tra il transfer pricing e la norma
sull’indeducibilità dei costi sostenuti con imprese domiciliate in paradisi fiscali si
rivela soltanto apparente e destinata a venire meno se si considera che l’articolo
110, comma 10 del TUIR può essere disapplicato tutte le volte che il soggetto
nazionale è in grado di dimostrare che l’impresa estera svolge prevalentemente
un’attività commerciale effettiva. Tale dimostrazione esula dalla verifica di congruità
dei prezzi praticati che, invece, potrebbe essere agevolmente effettuata nel caso in
cui il contribuente scegliesse la dimostrazione della seconda esimente, ovvero la
rispondenza a un effettivo interesse economico delle operazioni realizzate e la loro
concreta realizzazione. Inoltre, in sede di disapplicazione dell’articolo 110, comma
10 del TUIR una società del medesimo gruppo potrà agevolmente accedere alla
copiosa documentazione necessaria per dimostrare lo svolgimento di un’effettiva
attività commerciale della propria fornitrice non residente. In conclusione, per le
operazioni tra società del gruppo l’agevole dimostrazione della effettiva
commercialità dell’impresa black list sarebbe sufficiente a giustificare la deducibilità
delle operazioni effettuate. Risulta quindi necessaria, per sanzionare eventuali scambi
non effettuati a valore di mercato (transfer pricing), la verifica concreta in sede di
accertamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Con riferimento, invece,
alle operazioni realizzate per motivi di reale convenienza economica (tra società
non controllate), la deducibilità dei relativi componenti negativi non potrà trovare
alcun limite in ragione della localizzazione del fornitore, esclusivamente una volta
esperita la relativa procedura di disapplicazione.
Gli strumenti di contrasto
dell'elusione fiscale
internazionale
SEGUE DA PAGINA 10
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Secondo i giudici l’Ufficio avrebbe dovuto, innanzitutto, accertare se veramente la fiscalità in Italia era all’epoca superiore rispetto a quella in vigore nei Paesi di provenienza
dei veicoli compravenduti. In secondo luogo, determinare il valore normale dei veicoli acquistati da Ford Italia verificando, in concreto, se i corrispettivi pagati dalla stessa alle
proprie consociate estere fossero effettivamente superiori a tale valore con indagine estesa alla sufficienza del margine di utile ricavato per coprire le spese di riparazione in
garanzia ed analisi delle condizioni del mercato automobilistico mediante confronto dei prezzi praticati all’interno del gruppo Ford con quello praticato da altre imprese
concorrenti.
24
TRETTEL,
Deduzione dei costi per operazioni intraprese con Paesi a fiscalità privilegiata
, in Corr. Trib. n. 46 del 2009, p. 3748.
25
La disciplina del transfer pricing prescinde dalla qualificazione del paese estero quale black list, ben potendo essere applicata anche a Stati che non rivestono tale
status
.
26
In questo senso anche circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 51/E del 2010, par. 9.4.
27
In questo senso si veda anche circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 51/E del 2010.