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NUMERO 210 - NOVEMBRE / DICEMBRE 2012
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Recenti orientamenti in materia
di elusione tributaria
NORME E TRIBUTI
STEFANO SCOLA
1
Università di Trento
IL COMMERCIALISTA VENETO
SEGUE A PAGINA 6
1
Facoltà di Economia, Laboratorio Tributario, prof. Michele Fiorese.
L
’ELUSIONETRIBUTARIA,CIOÈILCOMPIMENTO
di operazio-
ni volte essenzialmente ad aggirare le norme fiscali per ottenere un
risparmio di imposta, è da qualche anno oggetto di significativi
interventi da parte della Corte di Cassazione la quale, a partire da due
sentenze del 2005 (sentenze 20398 e 22932 del 2005) ha contestato l’elusio-
ne sulla base di un principio di divieto di abuso di diritto di ispirazione
comunitaria, là dove non trovasse applicazione alcuna norma antielusiva.
Secondo le Sezioni Unite (sentenza 30055 del 2008) questo principio sareb-
be addirittura immanente nel nostro ordinamento ed ispirato al principio di
capacità contributiva. Più di recente la Suprema Corte ha anche affermato
la rilevanza dell’elusione sul piano sanzionatorio, sia civile che penale,
contrariamente a quanto aveva più volte sostenuto in passato, vale a dire
che le norme antielusive hanno solo la funzione di applicare la maggiore
imposta relativa alla norma elusa. Questa posizione, sostenuta dapprima
nella sentenza 26723 del 2011, è stata confermata nell’importante sentenza
7739 del 2012, in cui i giudici hanno enunciato il principio secondo cui
l’elusione ha rilevanza sul piano sanzionatorio solo in caso di violazione di
una norma antielusiva.
LEDUE SENTENZEDEL 2005
si pongono alla fine di due contenziosi in
materia di
dividend washing
e
dividend stripping
, operazioni elusive solo
successivamente colpite da due norme antielusive specifiche, che hanno
dato luogo ad una gran mole di contenziosi in cui l’Amministrazione Finan-
ziaria sosteneva di poterle disconoscere sulla base di un’interposizione
fittizia ai sensi dell’art. 37, comma 3, D.P.R. 600/1973 in qualità di norma
antielusivagenerale.Nelle sentenze3979del 2000e3345del 2002 laCassazione
escludeva che l’art. 37 cit. potesse essere utilizzato in tal senso, ma succes-
sivamente (sentenza 20816 del 2005) affermava che la mancanza di una spe-
cifica norma antielusiva non preclude ai giudici di contestare l’elusione sulla
base di altre norme. Si perviene dunque alle due sentenze del 2005 in cui i
giudici suggeriscono l’esistenza nel nostro ordinamento di un principio di
divieto di abuso di diritto richiamato in alcuni precedenti della giurispruden-
za comunitaria. Le operazioni, comunque, vengono contestate in quanto i
contratti di vendita sottesi, volti esclusivamente ad ottenere il risparmio di
imposta, sarebbero stati privi di causa.
La Corte di Giustizia si esprime di lì a poco con l’importante sentenza C-255/
02 (Halifax) ribadendo un principio di divieto di abuso del diritto comunita-
rio, specificando che sono abusive quelle operazioni compiute essenzial-
mente per ottenere un vantaggio fiscale contrario all’obiettivo perseguito
dalle norme comunitarie e dalle fonti nazionali che le traspongono.
DAQUESTOPRECEDENTEIGIUDICI ITALIANI
hanno trattogiustifica-
zione per applicare detto principio anche nell’ordinamento italiano. Nella
sentenza 21221 del 2006 la Cassazione applica il principio antiabusivo ad
una complessa riorganizzazione societaria da cui il contribuente avrebbe
tratto un’indebita riduzione del carico di imposte sui redditi, definendolo “il
divieto di avvalersi in modo abusivo di forme o strumenti giuridici”. Nella
sentenza 8772 del 2008, ancora in materia di
dividend stripping
, la Suprema
Corte ritiene invece che le norme antielusive siano “mero sintomo” dell’esi-
stenza di una regola generale e che sussista abuso di diritto in tutti i casi in cui
vi siano “operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un van-
taggio fiscale”. Ciò premesso “incombe sul contribuente fornire la prova del-
l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di carattere non
meramente marginale o teorico” che giustifichino tali operazioni.
La nostra giurisprudenza, insomma, non verifica che il comportamento del
contribuente si sia posto in contrasto con l’obiettivo perseguito dalla nor-
ma elusa: il principio antiabusivo applicato dai nostri giudici somiglia alla
norma antielusiva di carattere generale prevista dal nostro ordinamento,
l’art. 37 bis del D.P.R. 600/1973.
Questo trova conferma da parte delle Sezioni Unite nella sentenza citata. In
essa si afferma che nel nostro ordinamento è insito proprio un “principio
antielusivo”, ispirato al principio di capacità contributiva, consistente nel
divieto di “trarre indebiti vantaggi dall’utilizzo distorto, pur se non contra-
stante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad
ottenere un vantaggio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprez-
zabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel
risparmio fiscale”. Un “principio antielusivo” immanente nel nostro ordi-
namento, per effetto del quale può dirsi superato il dubbio, sollevato da
alcuni tributaristi, che un siffatto principio trovasse applicazione soltanto
nelle imposte regolate a livello comunitario. Peraltro risale a poco tempo fa
la decisione della Corte di Giustizia (sentenza C-417/10) secondo cui “nel
diritto dell’Unione non esiste alcun principio generale dal quale discenda
un obbligo per gli Stati membri di lottare contro le pratiche abusive nel
settore della fiscalità diretta”, il che convalida la posizione delle Sezioni
Unite, ma esclude ogni giustificazione del principio sulla base del diritto
comunitario.
DESTACOMUNQUEPERPLESSITÀ
che l’Amministrazione Finanziaria
possa contestare un comportamento che non si pone in contrasto con
alcuna norma non in forza di una precisa disposizione, ma in forza di un
principio non scritto. Nel nostro ordinamento infatti non esiste una norma
antielusiva generale: l’art. 37 bis cit., infatti, si applica solo a seguito del
compimento di una delle operazioni ivi indicate. In dottrina si è sostenuto
comunque che - data la somiglianza tra l’istituto dell’elusione secondo il 37
bis (secondo cui l’elusione consiste nel compimento di “atti, fatti e negozi,
anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggi-
rare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere
risparmi d’imposta, altrimenti indebiti”) e l’abuso di diritto (definito dalle
Sezioni Unite come “l’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna
specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un rispar-
mio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifi-
chino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fisca-
le”) così come elaborato dalla nostra giurisprudenza - anche all’abuso deb-
ba applicarsi il 37 bis e con esso tutte le garanzie previste, vale a dire il
contraddittorio col contribuente (comma 4), la motivazione dell’atto di ac-
certamento in relazione alle sue giustificazioni (comma 5), e la riscossione
delle imposte solo dopo la sentenza della commissione tributaria provin-
ciale (comma 6). Non manca però da parte di alcuni tributaristi l’idea che
proprio tale somiglianza debba far ritenere che all’abuso di diritto si appli-
chi il 37 bis, il quale con i suoi limiti fa sì che non esista un principio
antielusivo generale.
LACASSAZIONENONHAMAIRINNEGATO
l’esistenza di questo prin-
cipio, né poteva annullare gli avvisi di accertamento alla base dei contenziosi
su cui è stata chiamata a pronunciarsi per il semplice motivo che gli stessi
non erano stati preceduti dai procedimenti e dalle tutele previste dal 37 bis,
in quanto tali avvisi non erano basati sull’abuso di diritto, ma erano bensì
fondati su altre contestazioni (interposizione fittizia, simulazione, contratto
in frode alla legge ecc.). La stessa è intervenuta però a limitarne la portata.
Ad esempio nella sentenza 1465 del 2009 sostiene che l’indagine attorno
alla sussistenza dei caratteri dell’abuso vada “svolta con tanta più cautela
al cospetto di disegni e costruzioni finanziarie – ancorché non usuali per il
tortuoso percorso seguito rispetto ad un altro più diretto e lineare – che
implichino il parallelo conseguimento di obbiettivi economici ispirati a di-