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NUMERO 213 - MAGGIO / GIUGNO 2013
ALESSANDRO BAMPO
Ordine di Belluno
IL COMMERCIALISTA VENETO
SEGUE A PAGINA 14
Indeducibilità dei costi derivanti da operazioni
intercorse con Paesi a regime fiscale
privilegiato e clausola di non discriminazione
13
L
a notizia riportata sulle pagine
de Il Sole 24 Ore
1
di una recente
sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano (n.
294/5/12
2
) - ove viene affermato che le Convenzioni tra Stati pre-
valgono sulle norme interne
3
- offre lo spunto per formulare alcu-
ne considerazioni in merito alla disciplina tributaria applicabile alle opera-
zioni intercorse tra imprese residenti in Italia e fornitori residenti in Paesi a
regime fiscale privilegiato, attualmente disciplinato dall’articolo 110 commi
da 10 a 12 bis, del TUIR.
Alla luce di tale sentenza, scopo precipuo del presente scritto sarà quello
di verificare la legittimità della norma interna con il principio di “non discri-
minazione” presente nei trattati in materia di imposte sul reddito e sul patri-
monio. In altri termini andrà analizzato, come meglio spiegato in seguito, se
ed in quali termini, la normativa in esame violi il disposto del quarto para-
grafo dell’articolo 24 del Modello OCSE nella parte in cui sancisce:”
Fatta
salva l’applicazione delle disposizioni dei paragrafi 1 dell’articolo 9, 6
dell’articolo 11 e 4 dell’articolo 12
4
,
gli interessi, i canoni ed altre spese
pagati
da un’impresa di uno Stato contraente ad un residente dell’altro
Stato contraente sono deducibili, ai fini della determinazione degli utili
imponibili di detta impresa,
nelle stesse condizioni in cui sarebbero
deducibili se fossero pagati ad un residente del primo Stato
(…omissis
…)
” e quali possano essere i riflessi di detta violazione in capo al contri-
buente italiano qualora l’impresa estera risieda in uno Stato a tassazione
agevolata che abbia stipulato un trattato contro le doppie imposizioni con
l’Italia riportante detta clausola. Ciò risulta ancora più significativo dal
momento che emergono sempre più spesso, nel corso delle verifiche e nei
successivi incontri con gli organi deputati all’accertamento, difficoltà cre-
scenti nel superare la prova richiesta. E ciò anche per la necessità di fornire
elementi oggettivamente non acquisibili o non disponibili, rendendo di
fatto impossibile esercitare effettivamente i propri diritti difensivi.
Peraltro, prima di addentrarci nell’esame di tale specifica problematica, si
ritiene opportuno, in estrema sintesi, inquadrare l’ambito applicativo della
disposizione citata e - per capirne meglio lo spirito - la sua esegesi.
1.
AMBITOAPPLICATIVODELLANORMA
ESUAESEGESI –brevi cenni
L’articolo 110, commi da 10 a 12
bis
,
del TUIR, stabilisce una generale
indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da
operazioni intercorse tra imprese italiane, da una parte, e fornitori imprese o
professionisti (domiciliati fiscalmente in Stati o territori non appartenenti
all’Unione Europea aventi un regime fiscale privilegiato),
dall’altra, salvo
che venga fornita la prova che: (i) l’impresa estera abbia “sostanza” (
rectius
:
svolga un’effettiva attività commerciale”
) ovvero (ii) l’operazione inter-
corsa con il soggetto estero risponda ad un effettivo interesse economico
dell’imprenditore italiano ed abbia avuto concreta esecuzione.
La norma si applica a
tutti i componenti negativi che transitano a conto
economico
.
La circolareAgenzia Entrate 20.09.2012, n. 35/E (par. 4) ha precisato, infatti,
ciò che in dottrina veniva sostenuto da tempo, ovvero che rientrano nel-
l’ambito applicativo della disposizione in esame sia gli
elementi reddituali
derivanti direttamente da operazioni con imprese localizzate in paradisi
fiscali (costo di acquisto di beni e servizi), sia i
componenti negativi deri-
vanti indirettamente da tali operazioni
(ammortamenti, svalutazioni, perdi-
te, minusvalenze), nonché gli interessi passivi e gli oneri di natura finanzia-
ria originati da transazioni aventi causa finanziaria.
Si considera ‘‘privilegiato’’ il regime fiscale dello Stato o del territorio este-
ro, non appartenente all’Unione Europea, qualora, alternativamente:
* venga previsto un livello di tassazione sensibilmente inferiore a
quello applicato in Italia;
* sussista la mancanza di un adeguato scambio di informazioni;
* a ciò si pervenga sulla base di altri criteri equivalenti.
Con D.M. del 23 gennaio 2002, sono stati individuati gli Stati o i territori
esteri aventi un regime fiscale privilegiato (c.d. “paradiso fiscale”).
Tale disposizione, inserita originariamente nel nostro ordinamento tributa-
rio dal Decreto Legislativo 413 del 1991 è stata successivamente modificata
dalla Legge 21.11.2000 n. 342 che, in particolare, ne ha determinato un
sostanziale inasprimento sotto tre diversi profili: (i) sostituendo il termine
“società estera” con quello di “impresa estera”, e pertanto ampliando la
platea dei soggetti esteri coinvolti, (ii) prevedendo, un obbligo di separata
indicazione nel Modello Unico delle spese e degli altri componenti negativi
di reddito ed, infine (iii) allargando il campo di applicazione anche a rapporti
commerciali non intercorrenti all’interno di un Gruppo societario
5
. Peraltro,
tale ultimo ampliamento si giustificava, da un lato, nell’oggettiva difficoltà da
parte dell’Amministrazione Finanziaria di verificare un rapporto di controllo
o collegamento intercorrente con un’impresa estera localizzata in paesi che,
per definizione, non consentono uno scambio di informazioni con l’Ammini-
strazione Finanziaria
6
, dall’altro, nella constatazione di un relativamente faci-
le occultamento di tale rapporto mediante l’utilizzo di istituti ben noti quali
l’intestazione fiduciaria o l’emissione di titoli al portatore
7
.
2.
LEESIMENTI
Affinché le spese ed i componenti negativi di reddito possano essere posti
in deduzione dal reddito imponibile, come già menzionato, è necessario che
l’impresa italiana: dimostri, in via alternativa, che la società (o meglio l’im-
presa) estera svolga un’effettiva attività commerciale (c.d. “prima esimen-
te”) ovvero che l’operazione risponda ad un effettivo interesse economico
dell’impresa italiana e che l’operazione stessa abbia avuto concreta esecu-
zione (c.d. “seconda esimente”).
Ora, la mancanza nel nuovo dettato normativo del necessario collegamen-
to con il gruppo, rende particolarmente difficoltosa la dimostrazione della
“prima esimente”. In vero, la dimostrazione che l’impresa estera abbia una
1
Lugano – Ceppellini,
Le convenzioni internazionali «salvano» i costi black list
, ne Il Sole 24 ore del 6 marzo 2013 p. 19.
2
Quinta sezione della Commissione tributaria provinciale di Milano, Presidente dott.ssa Livia Pomodoro.
3
Così testualmente i giudici di Milano: “Reputa il Collegio che le disposizioni contenute in una Convenzione internazionale, in quanto destinate a disciplinare in via esclusiva
i rapporti tra i soggetti appartenenti ad uno Stato estero ed i soggetti appartenenti allo Stato Italiano, ovvero i rapporti tra uno Stato estero e l’Italia, assumano il carattere di
specialità e, quindi, assumano rilievo rispetto alle normative nazionali quali, nel caso in esame, il TUIR”. Peraltro, nello stesso senso, vedasi anche la sentenza n. 338 del 20
dicembre 2010 (ud 26 novembre 2010) - della Commiss. Trib. Prov., Milano, Sez. XLVI - Pres. Di Oreste Annamaria, con commenti ne Il Sole 24 Ore Norme e Tributi 14.2.2011
- p. 42 dal titolo
Black list: conta il trattato
.
4
Le norme convenzionali citate prevedono la possibilità di rettificare gli utili, gli interessi od i canoni di un’impresa qualora l’ammontare degli stessi sia superiore (nel caso degli
utili) o inferiore (nel caso degli interessi e dei canoni), in virtù di particolari relazioni societarie, al prezzo determinabile sulla base del canone dell’
arm
s length
(o del valore di
mercato): in sostanza, e detto in altri termini, viene fatta salva l’applicazione della normativa sui prezzi di trasferimento infragruppo.
5
Si rammenta infatti che la precedente formulazione normativa prevedeva che essa trovasse riscontro solo in operazioni all’interno del gruppo.
6
In questo senso si è espressa anche Assonime nella circolare n. 65 del 18.12.2000
7
Tale estensione veniva, peraltro, sollecitata in dottrina anche in vigenza della precedente normativa: cfr. T. Di Tanno,
La indeducibilità dei componenti negativi di reddito nei
rapporti con residenti in paradisi fiscali individuati nel D.M. 24 aprile 1992
, Boll. Trib.,1992, p. 1410, ove veniva rilevato che “… l’articolo 2359 c.c. fa riferimento a situazioni,
per così dire, di ordinaria amministrazione: laddove è noto che chi si avvale di società “estere” per finalità elusive si preoccupa innanzitutto di porre in uso meccanismi (peraltro meno
complicati di quanto si pensi) idonei a non rendere identificabile la effettiva compagine di controllo della società in questione….”. La stessa OCSE, nel suo rapporto denominato
“Harmful Tax Competition – An emerging global issue” del primo aprile 1998, ebbe modo di suggerire (c.d. “Topics for further study”) l’inserimento negli ordinamenti tributari di
norme restrittive in merito alla deducibilità di pagamenti effettuati a soggetti residenti in Paradisi fiscali (in termini di negazione della deducibilità o di inversione dell’onere della
prova), al fine precipuo di contrastare manovre elusive perpetuate attraverso l’utilizzo dei medesimi Paradisi fiscali (c.d.”Counteracting harmful tax competition“), senza peraltro
restringere l’ambito applicativo di tali previsioni anti-elusive ai soli rapporti commerciali intercorsi all’interno del gruppo, cfr. in tale senso Circolare Assonime 65/2000.
FISCALITÀ INTERNAZIONALE